Per rivedere in aula il presidente Musumeci serviva una cattiva notizia. Che è puntualmente arrivata da Roma e rimette in discussione la struttura dell’ultima Finanziaria: il ministro Giovanni Tria, infatti, ha bocciato la spalmatura in trent’anni del maxi disavanzo accumulato dalla Regione Sicilia nei confronti dello Stato (pari, nel complesso, a 2,1 miliardi). I 543 milioni di euro che ci avevano condannato a pagare in tre anni, in realtà, potranno essere spalmati da qui a fine legislatura. In quattro anni, appena uno in più. Il Ministero dell’Economia, facendo leva su una recente sentenza della Corte costituzionale, non intende concedere alla Regione questa possibilità. Non sono bastate tutte le rassicurazioni del caso, né l’eventualità – prospettata – che questa ingente somma andrà a pesare su alcune categorie da proteggere, come ad esempio i lavoratori. La Sicilia si appresta a un periodo dij vacche magrissime. Sempre nell’ambito di una trattativa che fin qui non ha portato a nulla di buono, lo Stato s’è impegnato a reperire dal capitolo investimenti – salvo poi rimpinguarlo – una cifra di circa 100 milioni di euro per permettere alle province siciliane di sopravvivere e non affogare nei debiti. Anche questa mossa non ha convinto l’assessore Gaetano Armao che l’ha ritenuta “non soddisfacente”. Il Pd, con un ordine del giorno, ha impegnato il governo regionale a ridiscutere la questione “al fine di evitare danni gravi e irreparabili all’economia e di garantire i livelli essenziali delle prestazioni irrinunciabili per la tutela dei diritti dei cittadini, a porre in essere ogni iniziativa utile nei confronti del governo nazionale per ottenere il ripianamento trentennale del disavanzo”.