Fu la prima artista orientale a giungere in Europa e per 51 anni visse a Palermo, tra il 1882 e il 1933: riuscì ad abbattere le resistenze del sistema legato alla statica classicità. La sua migrazione da Tokyo costituì, quindi, opportunità di innovazione. L’arte orientale, fino ad allora considerata una minaccia per l’arte ufficiale, contaminò e arricchì l’espressione artistica italiana. È O’Tama Kiyohara, a cui è dedicata la mostra “O’Tama. Migrazione di stili”, organizzata dalla Fondazione Federico II con il patrocinio dell’Ambasciata del Giappone in Italia in collaborazione con il Centro Regionale per il Restauro, il Museo delle Civiltà – Museo Nazionale Preistorico Etnografico “Luigi Pigorini” e il Liceo Artistico “Vincenzo Ragusa e O’Tama Kiyohara”.

L’esposizione è in programma dal 7 dicembre fino al 6 aprile 2020 a Palazzo Reale in un rinnovato corridoio Dogali e negli Appartamenti Reali, con più di 80 opere, tra cartoni, manufatti, tessuti e 46 acquerelli, visibili per la prima volta dopo essere stati restaurati per l’occasione.

Ancora una volta la Fondazione Federico II affronta il tema della migrazione e ne coglie gli aspetti positivi. Dal Pacifico al Mediterraneo l’artista affrontò un viaggio che divenne una scelta di vita, un cambiamento imposto da due mondi fortemente difformi.

Dopo approfondite ricerche e confronti con i maggiori studiosi della materia, la Fondazione ha ricostruito idealmente un complesso percorso iniziato nel 1882 quando l’artista giunse a Palermo da Tokio per seguire lo scultore palermitano Vincenzo Ragusa. Nella Palermo di fine Ottocento O’Tama Kiyohara è stata pioniera di un percorso artistico, culturale e didattico votato al progresso e all’innovazione.

“Le istituzioni locali dell’epoca e alcune tra quelle nazionali – ha detto il presidente della Fondazione Federico II Gianfranco Miccichè – non compresero la portata innovativa di O’Tama e del progetto, condiviso con Vincenzo Ragusa, di creare una scuola-museo. Oggi entra a Palazzo Reale per restituirle quel valore artistico e storico finora negato e cancellare quelle ostilità che avevano impedito alla città di Palermo di diventare un polo per la diffusione del giapponismo. Quando la Fondazione Federico II organizza una mostra non si limita solo ad esporre ma valorizza le opere d’arte. Perciò abbiamo sostenuto parte del restauro in mostra”.

“Quando si abbatte un muro – afferma Patrizia Monterosso, direttore generale della Fondazione Federico II – il primo mattoncino è il più arduo da buttare giù. O’Tama riuscì a rompere gli schemi e aprì la via all’innovazione. Oggi la Fondazione Federico II vuole rendere omaggio ad una donna-artista che va considerata palermitana, allorché cittadina del mondo. Per sua volontà una parte delle sue ceneri sono custodite nel cimitero palermitano dei Rotoli, oltre che in Giappone”. “Siamo orgogliosi – prosegue Monterosso – di raccontare la straordinaria storia di un’artista dal coraggio e dalla caparbietà eccezionali. Fu in grado di integrarsi in un mondo nuovo con differenti tradizioni culturali e capace di rappresentare un punto di riferimento per la costituzione di una nuova forma di arte, in qualche modo antesignana dei nuovi canoni cosmopoliti tipici del Liberty”.

Pittrice raffinatissima, O’Tama Kiyohara realizzò in effetti una sintesi artistica tra tecnica, eleganza stilistica e realismo, emblema del grande sogno condiviso con Vincenzo Ragusa di un percorso culturale in grado di dare vita ad una scuola-museo. Questo grande progetto, purtroppo, dovette infrangersi su uno stato di abbandono economico legato alla politica che non trovò soluzioni neppure tramite l’allora ministro di Grazia, Giustizia e dei Culti, Finocchiaro Aprile, ritrovando nella sua volontà di creare cultura sperimentale, una forma di crescita in merito a specializzazioni e divulgazioni di arte locale e internazionale.

“Giunta a Palermo – dice la storica dell’arte ed esperta di giapponismo, Maria Antonietta Spadaro -, O’Tama si è trovata a confrontarsi con tutta la storia dell’arte italiana. La sua è una pittura fuori dal tempo, eclettica e variabile. Scelse di utilizzare tecniche che non esistevano in Giappone. Esempio ne è il dipinto della Notte dell’ascensione che lei rappresenta in un notturno. Tutti i pittori del periodo avevano dipinto Monte Pellegrino ma mai di notte. Inventa una visione dall’alto, della passeggiata della Marina, un cielo nuvoloso, i lampioni che fino a quel momento nessuno aveva ritratto. Una novità assoluta i lampioni elettrici per Palermo e per tante altre città. Solo i futuristi lo faranno qualche tempo più in là”.