Chissà da cos’è dettata la mancata corsa all’Assemblea regionale: se dallo scarso profitto o da un semplice ragionamento all’interno dei partiti. Dalla presentazione delle liste di ieri, comunque, stupisce l’emorragia di assessori musumeciani: al netto di pochi intimi (i forzisti Falcone e Scilla, l’ex Udc Turano e Alessandro Aricò, candidato con FdI), la squadra di governo è fuori dalla partita. Bocciati.

Il nome più altisonante è quello di Razza, assessore alla Sanità, che dopo aver saltato la partita delle Politiche – tutti ipotizzavano un seggio blindato alla Camera – resta anche stavolta in panchina. E a poco servono le parole del ‘delfino’ in una recente intervista (“Con il presidente Musumeci abbiamo valutato l’opportunità e, secondo me, anche il dovere di iniziare la nostra esperienza dentro FdI in modo nuovo”): Razza rimane ai margini della politica siciliana e, a meno di clamorosi colpi di scena, senza incarichi di governo. Dovrà mollare la prestigiosa poltrona di piazza Ottavio Ziino, sede dell’assessorato, la gestione di un business da 9 miliardi (tanto vale la Sanità nel bilancio regionale), oltre a un’influenza non comune (basti pensare al ruolo assunto dal Cefpas in questi anni). Significa zero potere, zero privilegi, zero clientele. Gli rimane la moglie Elena Pagana, candidata nel collegio difficile di Enna, dove se la gioca con pezzi da novanta come l’eterna Luisa Lantieri (Forza Italia) e il sindaco di Troina Fabio Venezia (del Pd). L’ex grillina non ha neppure il paracadute del “listino”.

Tra gli altri assessori azzerati dalle prospettive di governo c’è Gaetano Armao: è vero, si è candidato alla presidenza della Regione contro il centrodestra da assessore del centrodestra in carica (a questo, di per sé, rappresenta un primato anomalo). L’ha fatto grazie alla spinta decisiva di Carfagna e Gelmini, che hanno deciso di testare la propria presa su Calenda (e Renzi) facendo irruzione via mare, e pretendendo che fosse lui, l’assessore all’Economia, la punta di diamante in Sicilia. Ma non avendo velleità di successo, ad Armao non resta che sperare nel boom del Terzo polo, che dovrà superare lo sbarramento del 5% a livello regionale e in almeno cinque province per vedersi riconosciuto un seggio: ci prova da capolista a Palermo, Trapani e Messina. Ma cosa vuoi che sia un posticino all’Ars, in posizione defilata, senza la prospettiva di giganteggiare nei palazzi che contano e coi contatti che contano? Cosa vuoi che sia uno strapuntino di questo tipo – sempre che arriverà – rispetto alla vicepresidenza della Regione, garantita dal ticket con Musumeci, e dall’apprezzamento di Berlusconi, di cinque anni fa?

Uno dei delusi dell’ultima ora è invece Toto Cordaro, altro fedelissimo di Musumeci, che dopo il transito all’Udc (“Un ritorno a casa”), ha dovuto rinunciare alla candidatura perché l’Udc non esiste più. O meglio, esiste; ma è finito nel contenitore della DC Nuova di Totò Cuffaro e deve sottostare ad alcune regole: una prevede che non ci sia spazio per i deputati uscenti. Così Cordaro, evitando di accodarsi ad altri partiti – come alcuni suoi colleghi – ha fatto due conti e ha preferito togliersi d’impaccio: a questo giro rimarrà fuori. Fonderà probabilmente un suo movimento, dopo aver garantito il giusto sostegno a Renato Schifani.

In panchina pure Antonio Scavone, assessore al Lavoro in quota Mpa. Raffaele Lombardo punta tutto sul nipote Giuseppe e su un accordo elettorale con il Cantiere Popolare di Cantiere Romano: anche se la proporzione tra Autonomisti e Popolari, questa volta, gioca a favore dei primi. Di quel gruppo, cinque anni fa, faceva parte (oltre a Cordaro) anche Roberto Lagalla: l’ex assessore alla Formazione professionale, per ovvi motivi, resta fuori dai giochi. Adesso fa il sindaco di Palermo. Il suo successore Alessandro Aricò, invece, torna alla ribalta come capolista di Fratelli d’Italia. Mentre Mimmo Turano (Attività produttive), che s’è ribellato all’inconsistenza dell’Udc accasandosi alla Lega, è candidato nel Trapanese e corre anche per un posto al Senato dietro a Giulia Bongiorno.

Ha scelto di non candidarsi, benché il partito gliel’avesse chiesto, il leghista Alberto Samonà, che resta comunque a disposizione del Carroccio. Fuori anche Manlio Messina. L’assessore al Turismo, che anche negli ultimi giorni ha fatto discutere per la nomina della meloniana Beatrice Venezi alla fondazione TaoArte, non avrà incarichi nell’Isola. Il suo nome non figura nella lista di Fratelli d’Italia: né a Catania né altrove (dov’era lecito ritrovarselo, per una gestione del potere e dei soldi che l’ha reso “famoso” tra gli addetti ai lavori). Invece no: l’assessore al Turismo andrà a svernare a Montecitorio, per fare numero, grazie a un seggio garantito dalla Meloni. Una ricompensa per la fedeltà, per le nomine, per le sovvenzioni. Per le parolacce che gli hanno garantito l’appellativo di Cavaliere del Suca.

Tra gli esclusi di peso anche l’agrigentino Marco Zambuto, passato da qualche mese nell’inner circle di Musumeci. L’assessore alla Funzione pubblica, rimasto formalmente dentro Forza Italia (nonostante le frizioni con Micciché), non è candidato. A differenza del collega Marco Falcone, che dopo aver digerito a malapena l’esclusione dalle Politiche, ci riprova a Catania con tutto il suo seguito. FI è l’unico partito che, ad eccezione di Zambuto, garantisce la candidatura a chi ha avuto incarichi di governo: lo fa con Toni Scilla, assessore all’Agricoltura, a Trapani; lo fa con gli ex assessori, Bernardette Grasso e Edy Bandiera, rispettivamente a Messina e Siracusa; ma lo fa persino con Daniela Baglieri, l’assessore all’Energia che fino all’altro ieri rispondeva all’Udc e oggi è candidata a Ragusa, la provincia che le ha dato i natali, col partito di Berlusconi.

Per il resto siamo di fronte a una giunta di dispersi. E non poteva essere altrimenti, dato che il primo dei ‘naufraghi’ è proprio lui: il presidente Nello Musumeci. Tagliato fuori dai giochi per il bis a palazzo d’Orleans, ha accettato di buona lena l’offerta della Meloni di candidarsi al Senato, soprattutto dopo aver annusato la possibilità di un seggio blindato. Ma attorno a sé ha fatto tabula rasa, preferendo la corsa solitaria. Non portandosi dietro nessuno: né quelli del “cerchio magico”, che gli hanno garantito fedeltà e assistenza; tanto meno i suoi consiglieri di lungo corso, come Enrico Trantino. E così, nonostante la promessa di tornare a fare il militante, si è rimesso in gioco da subito. Quanti anni di semina serviranno, stavolta, per vedere qualche risultato?