Non ha fatto testo l’indice Rt, che vedeva la Sicilia ben al di sotto della media nazionale, ma anche della soglia di rischio (1.50). Tanto meno il numero contenuto di positivi, per tre giorni di fila sopra i mille, ma niente a che vedere con alcune regioni del Nord, e tanto meno con la Campania, dove ieri Musumeci ne ha contati oltre 4 mila. Allora cos’è stato a far precipitare l’Isola in “zona arancione”? I primi sospetti arrivano dalle opposizioni. Secondo Francesco Cappello (M5s), componente della commissione Salute all’Ars, “Musumeci dovrebbe spiegare ai siciliani quali misure, sul fronte dell’aumento dei posti letto di Terapia intensiva e sub intensiva, la Regione siciliana ha predisposto, adottato e posto in essere da luglio a oggi”. Ma anche “perché dei 125 milioni di euro che lo Stato aveva assegnato alla Sicilia per la lotta al contagio, ne abbia speso solo poco meno di 50”. E soprattutto “perché la medicina del territorio e le USCA (le unità specialistiche di continuità assistenziale, ndr) sono mal funzionanti, lasciando nella completa solitudine, pazienti, Sindaci e dirigenti scolastici delle scuole”.

Insomma, il problema sta tutto lì: nella sanità. In sofferenza da sempre, ben prima del virus. Il nuovo piano è stato illustrato ieri all’Ars, in sesta commissione, dall’assessore Ruggero Razza e, comunque, entrerà a pieno regime non prima di fine mese, quando i posti di Terapia intensiva destinati a pazienti Covid supereranno le 400 unità e quelli totali sfioreranno i 3.600. Già, ma adesso? Tra i ventuno parametri considerati dall’Istituto Superiore di Sanità nel proprio monitoraggio settimanale, alcuni suonano sinistri. Ad aver condannato l’Isola a questo arancio che sa di beffa – ma che fino a alle ventiquattr’ore precedenti sembrava la collocazione più ovvia – sono i parametri 19), 20) e 21). Cioè, rispettivamente: il “numero di accessi al Pronto Soccorso con classificazione ICD-9 compatibile con quadri sindromici riconducibili a COVID-19”; il “tasso di occupazione dei posti letto totali di Terapia Intensiva (codice 49) per pazienti COVID-19”; e il “tasso di occupazione dei posti letto totali di Area Medica per pazienti COVID-19”.

La percentuale di occupazione delle Terapie intensive – l’ultimo rilevamento dice 25,5%, rispetto a una soglia critica del 30% – ha certamente inciso nelle valutazioni del Ministro della Salute, Roberto Speranza. Così come la crescita rapida dei focolai (da 341 a 504 nell’ultima settimana), che risponde al parametro 17), ossia “numero di nuovi focolai di trasmissione (2 o più casi epidemiologicamente collegati tra loro o un aumento inatteso nel numero di casi in un tempo e luogo definito)”. Alla fine, la classificazione complessiva del rischio è risultata “alta con probabilità alta di progressione (molteplici allerte di resilienza)”. Mentre in Campania, dove il governatore Vincenzo De Luca è assai scontento per il posizionamento in zona gialla e annuncia un’ordinanza più restrittiva, la classificazione del rischio è “moderata con probabilità alta di progressione”. Idem nel Lazio. Da qui la differenza cromatica finale.

Non mancano comunque i punti di osservazione, per accostare la Sicilia alle altre due regioni “sorelle” – ma ci sarebbe anche la Liguria di Toti – che hanno ricevuto però un trattamento più benevolo: ad esempio, la probabilità di occupazione al 30% delle Terapie intensive e al 40% delle aree mediche, che nel prossimo mese è superiore al 50%. Anche se il dato campano è meno pessimistico sui reparti di Rianimazione. Quello in cui l’Isola si differenzia davvero – e Musumeci non poteva non saperlo, dato che ci troviamo di fronte a dati scientifici e non empirici – è l’aumento di trasmissione: moderata in Lazio e in Campania, alta in Sicilia. Come noi solo la Puglia. E’ andata peggio a Lombardia, Piemonte, Calabria e Valle d’Aosta.

Non ci resta che la polemica. E anche la considerazione, un po’ stucchevole, che il governo centrale abbia agito in questo modo per fare un piacere ai governatori amici – lo sarebbero Zingaretti, nel Lazio, De Luca, in Campania, ma anche Bonaccini, in Emilia-Romagna – e non alla Sicilia, rappresentata da un uomo di destra se ce n’è uno. I criteri scientifici – sempre che si decida di prenderli per buoni, senza far scadere la politica a una chiacchiera da bar – non tengono conto delle appartenenze e dei partiti, ma questo è fin troppo logico da ammettere. Semmai, si può dubitare della preparazione di virologi, esperti et similia, della scelta di considerare alcuni parametri piuttosto per altri. Ma quando c’è una regola va rispettata, anche se non piace o (peggio) non la si condivide.

Musumeci ieri non l’ha presa affatto bene e, a differenza di quanto non suggerisca una prima lettura del Dpcm, l’ordinanza di Speranza non è arrivata “d’intesa” col governatore, che infatti l’ha disconosciuta nel giro di mezz’ora. “La scelta del governo nazionale di relegare la Sicilia a “zona arancione” appare assurda e irragionevole- ha commentato il presidente della Regione -. L’ho detto e ripetuto stasera al ministro della Salute Speranza, che ha voluto adottare la grave decisione senza alcuna preventiva intesa con la Regione e al di fuori di ogni legittima spiegazione scientifica”.  “Perché – si conclude la nota – questa spasmodica voglia di colpire anzitempo centinaia di migliaia di imprese siciliane? Al governo Conte chiediamo di modificare il provvedimento, perché ingiusto e ingiustificato. Le furbizie non pagano”.

Qui ci sarebbe da aprire un altro capitolo legato al retropensiero, al complotto di Stato, ai massimi sistemi del mondo e della politica (impreparati, comunque, di fronte a una pandemia). Ma a facilitarci il ragionamento, almeno nella prospettiva del governo della Regione, è il commento di Alessandro Aricò, capogruppo all’Ars di Diventerà Bellissima: “La decisione da parte del governo nazionale di considerare la Sicilia come zona “arancione” è ingiustificata sul versante epidemiologico e sembra motivata da ragioni politiche. Altro che responsabilità da parte del governatore Nello Musumeci. Semmai, l’unica sua “colpa” è quella di essere all’opposizione dell’attuale governo nazionale. Ma di questo siamo orgogliosi”. Ma perché, perché, l’avrebbero fatto? Giocare con la vita di cinque milioni di persone per una semplice scaramuccia fra destra e sinistra?

Musumeci insiste: la decisione di Roma è scriteriata

La scelta del Governo Conte di inserire la Sicilia nella zona arancione è stata “scriteriata”, “mi auguro che si sia trattato di una svista”. A parlare in una intervista all’Adnkronos è il Governatore siciliano Nello Musumeci. Che fa il paragone con le altre regioni inserite nelle zone gialle, come la Campania o il Lazio. “Per carità sono felice per il Lazio, la Toscana o la Campania, ma mi chiedo perché loro sono gialli e noi arancioni? L’ho chiesto anche al Ministro della Salute Speranza, quando mi ha telefonato per comunicarmi, e non per concordare, la scelta adottata”.

Per Musumeci “non c’è una risposta scientificamente valida”. “Noi non siamo assolutamente in sofferenza – dice Musumeci – Abbiamo solo 148 posti occupati in terapia intensiva con una disponibilità di 400 posti, abbiamo il 60 per cento di posti liberi per i positivi che necessitano di un ricovero. Non abbiamo avuto bisogno di convertire tutti gli ospedali nell’isola consentendo quindi la normalità per le altre patologie. Stiamo eseguendo centinaia di migliaia di tamponi rapidi e abbiamo reclutato 3.000 operatori. E a fronte di tutto questo, a Roma, si decide in maniera scriteriata. Voglio davvero augurarmi che sia una svista”.

“Anche noi ci chiediamo perché la Sicilia è arancione – dice ancora Nello Musumeci – è una domanda che sorge spontanea quando si mettono a confronto i dati della nostra regione con quelli di almeno altre 4 o 5 regioni della penisola rimaste, ben per loro, zone gialle. Molti sostengono essere stata una scelta dettata da pregiudizi politici. Io ho il dovere di pensare che, invece, si sia trattato di una lettura svogliata e distratta del dato epidemiologico”.