Innanzitutto è una donna a cui hanno ammazzato il padre colei che ha scelto di incontrare i boss stragisti Giuseppe e Filippo Graviano. Solo dopo si deve ricordare che Fiammetta Borsellino è figlia di Paolo, il magistrato assassinato dalla mafia. È la stessa Fiammetta a scriverlo nella lettera indirizzata a Repubblica: “Ho sentito la necessità, in quanto figlia di un uomo che ha sacrificato la propria vita per i valori in cui ha creduto e per amore della sua terra, di dovere attraversare questo ulteriore passaggio importante per il mio percorso umano e per l’elaborazione di un faticoso lutto”.

È profonda la lacerazione di Fiammetta Borsellino, la più piccola delle figlie del magistrato, l’ultimo componente delle famiglia a decidere di esporsi per cercare la verità. Negli anni i Borsellino lo hanno fatto ciascuno in maniera diversa. In principio fu Rita, la sorella del magistrato, che ha scelto la strada dell’impegno politico. In contemporanea, il fratello Salvatore, tornato in Sicilia dopo anni vissuti al Nord, ha optato per la militanza urlata, quella dei comitati e degli abbracci con Massimo Ciancimino. Poi, Lucia, anche lei figlia di Paolo, che credette di potere dare il proprio contributo alla stagione politica di Rosario Crocetta. Sappiamo com’è andata a finire, con l’assessore Borsellino che ha lasciato l’incarico quando si è resa conto che il suo cognome serviva per dare lustro al bluff di altri. Manfredi, altro figlio del giudice, davanti al presidente Sergio Mattarella ruppe il suo abituale riserbo per difendere la sorella Lucia che “ha portato una croce”.

Adesso c’è Fiammetta con il suo travaglio umano. Ha incontrato una prima volta i due boss stragisti di Brancaccio ottenendo il via libera dal ministero. Avrebbe voluto parlare con loro di nuovo a quattrocchi, ma stavolta è stata stoppata. Le procure di Palermo, Caltanissetta e Firenze, oltre che la Direzione nazionale antimafia, hanno dato parere negativo. Ufficialmente il diniego non è ancora arrivato, ma appare scontato quando di mezzo ci sono i dubbi che un eventuale nuovo incontro potrebbe intralciare le indagini.

Quelle indagini che per decenni sono state lacunose come Fiammetta Borsellino ha ricordato, ancora una volta, nella sua lettera. Anche dal deposito delle motivazioni del Borsellino quater “dipende un ulteriore prosieguo dell’attività giudiziaria, della procura di Caltanissetta e del silente Consiglio superiore della magistratura, per far luce su ruoli e responsabilità di coloro che hanno determinato il falso pentito Scarantino alla calunnia”. Il Borsellino quater è il processo della vergogna celebrato a Caltanissetta, quello nato dalle macerie dei falsi pentiti. Le loro bugie hanno retto fino in Cassazione durante una lunghissima stagione di processi. Ora c’è una nuova inchiesta sui poliziotti che indagavano sulle stragi e che hanno dato credito ai finti pentiti.

I magistrati che quelle indagini hanno coordinato non hanno mai pagato pegno. La loro distrazione di massa è stata perdonata. Solo a settembre scorso, accogliendo il grido di Fiammetta, il Csm ha aperto un fascicolo sulla gestione di Scarantino. “Denunciamo queste anomalie che hanno caratterizzato la condotta di poliziotti e magistrati che hanno coordinato le indagini e i processi del Borsellino I e II – aveva detto la figlia del giudice – La Procura era formata dal già defunto Tinebra, da Carmelo Petralia, dalla dottoressa Palma, e dal dottore Di Matteo che inizia il suo coinvolgimento nel novembre del 1994”. Non è una questione di nomi, ma di sistema. La magistratura, con le sue lacunose indagini, ha allontanato la verità che tutti i Borsellino, ciascuno in modo diverso, cercano. Per ultima Fiammetta, chiedendo di guardare negli occhi i carnefici.