“Dopo 40 anni da clandestino, sarò palermitano a tutti gli effetti. L’unica cosa che mi mancherà – lo confesso – sarà prendere l’autobus da portoghese, come ho fatto ogni tanto. Adesso dovrò dare il buon esempio, dovrò comprare il biglietto ogni volta”. Wolf Gaudlitz, 63 anni, attore, mimo, regista, intellettuale, globetrotter, avventuroso di cuore e di piedi, “tetésco ti Cermania”, diventa cittadino palermitano il 2 ottobre, al Teatro Massimo, “officia” il sindaco Leoluca Orlando che lui ha anche fatto recitare sul grande schermo.

Andiamo con ordine. Wolf (“lupo”, più una stimmate, un sigillo, un’etichetta che un nome) è un ragazzo di buona famiglia di Monaco, padre ricco commerciante di tessuti e madre artista in un vivace giro di artisti. Fassbinder, per citarne uno, da loro è di casa. Viaggiatore da sempre, Wolf, da quando i suoi, a cinque anni, lo mettono su un treno con un cartello al collo destinazione Berlino, presso amici. Siccome ama più le arti che il taffetà, dopo il servizio militare dice al padre che vuol fare l’attore. E visto che i tedeschi amano fare le cose per bene, viene iscritto alla severissima accademia teatrale di Otto Falckenberg, quella, per dire, che ha diplomato gente come Mario Adorf e Hanna Schygulla. 14 ore di studio e laboratorio ogni giorno, sabato compreso, mica una passeggiata. Il ragazzo promette bene tanto che al debutto fa il Pierrot che fu di Barrault in una rielaborazione scenica di “Les enfants du Paradis” di Carné ma per la gavetta deve tirare silente anche la carretta di “Mutter Courage” di Brecht.

L’amore per la Sicilia lo folgora nel ’75 sulla via di Cefalù, un viaggio in motocicletta, da turista, ma Palermo non la sfiora nemmeno. E’ Palermo che sfiora lui, qualche anno più tardi sotto le fattezze di una bella ragazza in vacanza a Monaco, si innamorano e il 27 dicembre del ’79 lui fa quasi 48 ore di treno per rivederla e sentirsi chiedere dal padre di lei “allora, quando vi sposate?”. E’ qualche giorno più tardi, il 6 gennaio del 1980, che capisce che deve restare e non solo per amore: l’assassinio di Piersanti Mattarella per il giovane tedesco è come uno squarcio. “Ho respirato l’aria tragica di quei giorni, sono tornato in Germania ma avevo capito che qui c’era una sfida quotidiana, c’erano vita e morte che si contrapponevano, giustizia e ingiustizia, quello di Monaco mi sembrava un mondo finto, qui mi sembrava ci fosse un mondo vero pure nella sua spietatezza, nelle sue contraddizioni feroci”.

“Ho imparato l’italiano – racconta – ma ho imparato soprattutto ad amare questa città, a capire che devi riconoscere i suoi colori nei suoi opposti di bianco e nero, che devi sapere interpretare i gesti, il contatto e il tatto, dal buffetto sulla guancia alla stretta di mano, all’abbraccio, che devi saper distinguere tra mezze verità e mezze bugie. Un codice nuovo che mi affascinava”.

A Palermo ha fatto di tutto: dei suoi 12 film, 5 sono girati in città e la raccontano ma ha pure posato nudo, fotografato da Letizia Battaglia per un numero di “Papir” che venne sequestrato per oscenità, ha lavorato a radiodrammi, ha scritto un testo teatrale, “Sabbia”, che non è mai stato rappresentato. In Sicilia ha soprattutto vissuto: 3 figli e 5 mogli, una casa comprata a Castellana dove da qualche anno zappa, vendemmia e produce vino e dove ha trovato una relativa requie il suo nomadismo abitativo (dall’Hotel Patria, “avevo solo io le chiavi”, alla villetta liberty di Basile a Mondello, a Villa Politi).

Il suo film più bello su Palermo? Lui assicura: “L’opera (La musica nasce dal silenzio)”. “Girammo nell’86 dentro il Teatro Massimo chiuso. Ci chiesero: per caso dovete girare un film? Mentimmo senza pudore: no. Lo abbiamo girato invece, quasi in clandestinità. Credo che oggi sia un documento importantissimo con le sue immagini inedite del ‘gigante’ negato alla città”.

E sul suo rapporto con Orlando, quando gli si chiede se non si senta un po’ il “Metastasio di Palazzo delle Aquile” – tante sono state le volte che ha collocato il sindaco al centro del set – sorride e rilancia: “Il mio idolo? Lo stimo ma non è così, a volte ci siamo scontrati duramente, gli ho rimproverato molte cose che non mi convincevano, per anni addirittura non ci siamo parlati. Ma gli riconosco alcune virtù: intanto è un visionario e poi ha quel sesto senso, che hanno solo gli arabi e gli ebrei, di saper distinguere persone e cose di cui fidarsi e altre da cui diffidare”.

In questi 40 anni il “lupo” Wolf non ha ululato con la sua macchina da presa e i suoi taccuini solo a Palermo, lo ha fatto anche in Portogallo, Islanda, India, Corea, Namibia, nel deserto del Sahara, a Capo Verde, ha fatto il corrispondente culturale per diverse tv europee, ha perfino recitato per Fellini. “Era un mio sogno, riuscii ad arrivare alla sua assistente e mi presentai davanti al regista nel leggendario Teatro 5 di Cinecittà. Mi chiese: dove sono le tue foto? Non ne ho, risposi. La sua voce piccola, un po’ chioccia, diventò un uragano: subito le foto a questo ragazzooooo!!! E così mi prese ne ‘E la nave va’, ero il segretario del soprano di quello strano piroscafo che incrociava Storia e fantasia. E ogni tanto, quando controllava il girato, chiamava con tenerezza anche me: vieni qui, Lupetto, guardiamo insieme cosa ho fatto”.