Giuseppe Sottile per Il Foglio

C’era la felicissima Palermo, ora c’è un deserto di idee

Meno male che in questa Palermo afflitta dalla sete e dall’arsura ci sono i teatranti che, con l’ironia, rivestono di umanità ogni tragedia. “Moriremo con le labbra spappolate dall’arsura, ma moriremo abbronzati”, declama Salvo Carabillò, confuso tra gli attori del Politeama. E il riferimento è al sole che da cinque mesi fiammeggia ininterrottamente, con amore e crudeltà, ogni tetto e ogni strada: le cupole maiolicate di San Giuseppe dei Teatini e le lenzuola azolate appesi ai balconi della Kalsa, i labirinti di Ballarò e i giardini pensili di quella che, nel secolo degli arabi e dei normanni, fu la città delle fontane e dei gelsomini: “Vuote le mani, ma pieni gli occhi del ricordo di lei”, annotavano i poeti incantati dalle palme che circondavano il Palazzo Reale, da venti “morbidi..

Come eravamo. Noi bravi ragazzi della profonda Sicilia

Chi me lo doveva dire – ero un ragazzino di dieci anni, nato e cresciuto su un pizzo di montagna tra i Nebrodi e le Madonie – che alla fine dell’estate mio padre mi avrebbe portato a conoscere il mare? A quel tempo, nella profonda Sicilia dimenticata da Dio e dagli uomini, succedevano cose che molti anni dopo – muchos anos despues – avrei letto in un libro che arrivava dal Sud del Mondo e che aveva come titolo Cento anni di solitudine. Anche lì c’era un eroe, Aureliano Buendia, che un giorno “si sarebbe ricordato di quando il padre lo portò a conoscere il ghiaccio”. Ma il luogo geometrico del mio incanto non si chiamava Macondo, come nel romanzo di Garcia Marquez. Era Pedara, un paesino di pietra nera..

Per Mori tre assoluzioni non bastano: quarto processo

Fateci caso. Ogni anno, quando si avvicina il 23 maggio – giorno tragico in cui fu massacrato sull’autostrada di Capaci il giudice Giovanni Falcone – i magistrati antimafia lanciano un ruggito di verità e giustizia. Ogni anno, alla vigilia del 23 maggio, noi vecchi cronisti abbiamo puntualmente assistito a clamorose retate di persone “insospettabili” finite in manette sotto il peso di accuse ovviamente “solide e argomentate” ; a rivelazioni di pentiti che, manco a dirlo, avrebbero dovuto riscrivere addirittura la storia dell’Italia; ad avvisi di garanzia spiccati a grappolo per “inchiodare” finalmente all’albero della gogna protagonisti e comprimari di patti occulti e scellerati tra i boss di Cosa nostra e i servizi deviati. Quest’anno, trentaduesimo anniversario della strage di Capaci, la vittima sacrificale che viene deposta sull’altare elevato in memoria..

Trattativa rasa al suolo, salvate i Cavalieri della Fuffa

Pensavate che bastasse una sentenza della Cassazione per stroncare un teorema giudiziario? Venite a Palermo. Scoprirete che i Cavalieri della Fuffa, quelli che per dodici anni hanno tenuto in piedi un processo senza prove e senza reato, non hanno ancora calato il sipario sulla grande sceneggiata della Trattativa. Scoprirete che quei magistrati, ovviamente coraggiosi, sono ancora ai loro posti di combattimento in attesa, come nel deserto dei Tartari, che sulla linea dell’orizzonte si affaccino nuovi complotti, nuovi nemici, nuovi misteri e nuovi fantasmi. Scoprirete, insomma, che i protagonisti del più fantasioso romanzo costruito dentro il Palazzo di Giustizia resistono e non si arrendono. Né mostrano il minimo rimorso. Hanno inchiodato, per tanto tempo, all’albero della gogna tre alti ufficiali del Ros e due uomini politici, accusati di avere stretto un..

In morte di un boss. S’apre la danza su complotti e misteri

Ora che la morte ha sigillato per sempre i suoi occhi indemoniati, ora che il cancro gli ha devastato il corpo e gli ha stroncato gli ultimi furori mafiosi, ora che le tre donne chiamate al capezzale dell’agonia – la sorella, la nipote e la figlia ribelle – si preparano ad accompagnarlo al cimitero senza nemmeno la benedizione di un prete, ora che la giustizia chiuderà per sempre un fascicolo di nefandezze rimasto aperto per oltre trent’anni, chi si ricorderà di Matteo Messina Denaro, killer e boss di Cosa nostra, accusato di avere fiancheggiato, nella terribile stagione delle stragi, i sanguinari corleonesi di Totò Riina? Parce sepulto, verrebbe da dire. Ma non sarà facile per nessuno stendere un velo di misericordia sulle sue imprese criminali. Non lo permetteranno i familiari..

Le verità farlocche che piacciono all’antimafia chiodata

“La luce taglia le tenebre ma le tenebre non l’afferrano”, annotava l’apostolo Giovanni in apertura del suo Vangelo. Si riferiva ai misteri dell’universo, all’eterna lotta tra bene e male, al difficile cammino della ragione per afferrare la verità. Un’annotazione terribilmente attuale per chiunque voglia capire che cosa è successo, da trent’anni a questa parte, attorno al mistero delle stragi. Mysterium iniquitatis, per dirla ancora una volta con le sacre scritture. La luce della Cassazione, con una sentenza che non si presta né ad equivoci né a interpretazioni, ha tagliato le tenebre di un processo durato quasi dodici anni, ha smontato le elucubrazioni di una boiata pazzesca e ha detto chiaro e tondo che lo stato non è mai sceso a patti con i boss di Cosa Nostra per sovvertire l’ordine..

Berlusconi e i magistrati: un assedio durato trent’anni

Ma come ha fatto? Per quasi trent’anni ha dovuto fronteggiare una macchina di guerra che non era quella gioiosa e spompata di Achille Occhetto ma quella d’acciaio e fiele messa in piedi da un esercito di magistrati – tutti coraggiosi, tutti valorosi, a tratti persino spocchiosi – che lo hanno accerchiato, assediato, asfissiato. Lui, Silvio Berlusconi, si è difeso con le unghia e coi denti. Non gli sono di certo mancati i soldi né il potere. Ha schierato in campo il fior fiore degli avvocati. Ma se oggi, in un qualche angolo del cielo, qualcuno gli chiedesse di ricostruire le fasi della sua guerra con la giustizia non avrebbe altro modo se non quello di proiettare su uno schermo i numeri e le immagini di un’avventura che ha riguardato solo..

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