Giuseppe Sottile

Da questa Palermo
non si esce, si evade

Il sindaco Leoluca Orlando ha finalmente realizzato – con il sostegno fattivo dell’Anas – un sogno che si porta dietro da almeno trent’anni: trasformare Palermo in un grande e mortificante Ucciardone. Da qualche giorno nessuno può più uscire da questa città. Se uno sventurato automobilista tenta di andare verso Messina o Agrigento trova davanti a sé due sbarramenti: il primo su ponte Corleone, sempre sul filo di crollare ahimè, e l’altro all’ingresso dell’autostrada, tra Ciaculli e Villabate, dove l’Anas ha pensato bene di risistemare il fondo stradale. Stessa disgrazia per il palermitano che voglia marciare in direzione di Trapani o di Mazara del Vallo: il muro da scavalcare si trova, sempre sulla Circonvallazione, all’altezza di via Principe di Paternò, dove c’è un altro dei tanti cantieri che da anni soffocano..

“Porca puttena”,
ha vinto la censura

Nella seconda metà del secolo scorso visse a Palermo un pretore che censurava film, libri e costumi in nome del comune senso del pudore; e che arrivò al punto di ordinare a due turiste svedesi che si aggiravano in piena estate per il centro storico di non indossare più gli hot pants. Quel pretore non c’è più. Lo sostituisce il Movimento Italiano dei Genitori, Moige, che ha puntato il ditino contro Lino Banfi, al secolo Oronzo Canà, allenatore del pallone, ingaggiato da Timvision per pubblicizzare le partite di calcio sulla propria rete. “Porca puttena”, imprecava l’attore barese agitando la parabola, con uno sberleffo a Sky che non ha più l’esclusiva sulla Serie A. La frase ha turbato i guardiani del Moige. Ma tutto ci si poteva aspettare nel 2021, tranne..

Orlando, Musumeci
e i funesti assessori

Girate lo sguardo su Palazzo delle Aquile, sede del Comune di Palermo. Ci troverete un re nudo che recita uno spartito triste, malinconico y final. E’ Leoluca Orlando, il sindaco di una fatua primavera che, per ironia della sorte, sta per concludere la sua parabola tra l’immondizia che soffoca le periferie e le mille bare accatastate senza pudore in un capannone dei Rotoli. Certo, Orlando ci ha messo del suo. Ma una mano, verso la rovina, gliel’ha data Giusto Catania, l’assessore al traffico da sempre attorcigliato alle sue arroganze e alle sue follie: dalle piste ciclabili alle isole pedonali. Si è riprodotto a Palermo lo schema del governo regionale. Anche il presidente Musumeci ci ha messo del suo: ma la disfatta non è da addebitare solo a lui. L’hanno spinto..

Il silenzio della Meloni
sulle volgarità del balilla

Moralisti, moralizzatori e anime belle si sono ritrovati insieme contro quell’anima persa di Claudio Durigon, che voleva intitolare il parco di Latina al fratello di Mussolini. E hanno vinto: il sottosegretario leghista ha rassegnato le dimissioni. Ma gli stessi duri e puri hanno preferito non vedere le volgarità dell’assessore siciliano al Turismo e gli insulti che il medesimo ha lanciato contro Repubblica e altri giornali, colpevoli di avere documentato il suo linguaggio postribolare in un dibattito sul green pass. E’ successo una settimana fa. Dov’è stata per tutto questo tempo la moralizzatrice Giorgia Meloni, leader del partito che ha imposto a Musumeci il raffinatissimo balilla? Quando si tratta della Sicilia i potenti di Roma sgusciano via con una frase che gli imperatori usavano per tenersi lontani dall’Africa. Hic sunt leones...

Disastri e finzioni
di due impresentabili

Oggi quale oltraggio farà ai bilanci della Regione il bullo che da quattro anni impapocchia numeri e cifre e che viene puntualmente bastonato dalla Corte dei Conti e da Palazzo Chigi? E oggi quale altro regalo farà il balilla all’amatissima Itaca, la società alla quale ha assegnato una barca di milioni per pubblicizzare il turismo e le bellezze della Sicilia? Bullo e balilla sono gli impresentabili di Palazzo d’Orleans. Ma sono anche i due intoccabili. Il primo si copre dietro il nome di Silvio Berlusconi ma deve la sua fortuna a Licia Ronzulli, che è solo la segretaria del Cavaliere. Il secondo – quello che si agita tra volgarità e manganello – imbratta invece il nome di Giorgia Meloni mentre il suo padrino politico è tale Lollobrigida, cognato della leader..

Pure Giorgia ha paura
del “balilla” di Sicilia

A ogni ora del giorno salgono sul teatrino della politica e recitano la litania delle parole austere, nobili, altisonanti: trasparenza, pulizia, onestà-tà-tà. Ma poi, quando li inviti a rendere conto delle proprie azioni, puntualmente scompaiono. Prendete la leader di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni. Per motivi tutti da chiarire il suo partito ha imposto, come assessore al Turismo della Regione Siciliana, Manlio Messina. Un uomo senza voti e senza storia. Un uomo volgare. E non solo per il linguaggio da lupanare con il quale crede di difendere in pubblico posizioni senza capo né coda. Anche per gli insulti che rivolge ai giornali e per l’idea che ha del confronto con l’opinione pubblica. Credevamo che Giorgia, la moralizzatrice, fosse una donna di grande coraggio. Ma il suo silenzio dimostra che un bullo,..

Palermo, la recita è finita
Giù il sipario, per favore

Che immagine vogliamo usare per dipingere gli ultimi giorni di Leoluca Orlando, sindaco stanco della Palermo che brucia? Per quasi trent’anni ha recitato la parte dell’uomo nuovo, dell’eroe antimafia, del populista senza macchia e senza paura. Per quasi trent’anni è stato lì a impartire lezioni sul buon governo, sull’onestà, e sulla primavera di una città che invece – il disastro è sotto gli occhi di tutti – ha visto aumentare il degrado, la sporcizia, il malcostume, la corruzione. Che cosa resta di Orlando? Niente. La sua antimafia è servita a nascondere il vuoto dell’iniziativa politica. La sua vocazione internazionale gli ha regalato molti titoli sui giornali ma non ha alzato di un millimetro la credibilità e la vivibilità di Palermo. Ora il sindaco coraggioso non trova altro coraggio se non..

Musumeci ha portato
un balilla al potere

Gli americani lo chiamano loft-talk, linguaggio da stalla. Ma la volgarità di Manlio Messina – assessore regionale al Turismo – non sta tanto nelle parole da lupanare con le quali infarcisce discorsi senza capo né coda. Sta soprattutto negli insulti che rivolge a Repubblica e agli altri giornali; nell’immagine che lui ha della stampa e dell’informazione, del dibattito e del confronto politico. Diciamolo: più che un inquilino di Palazzo d’Orleans sembra un picchiatore fascista, un bullo travestito da balilla, una macchietta con la divisa da avanguardista. Abbiate tanta pietà per lui. Ma non per chi lo tiene in piedi. Un Presidente della Regione degno di questo nome lo avrebbe già cacciato a pedate: la decenza, annotava Eugenio Montale, è una qualità della vita. L’ex camerata Musumeci invece lo alleva e..

Anfuso e Musumeci
I gerarchi di Catania

Qualcuno – il solito esagerato – ha tentato di paragonarlo a Filippo Anfuso, il diplomatico catanese che negli anni infelici del fascismo fu un gerarca superiore. Ma Nello Musumeci rimane molto al di sotto da quelle vette. Conquistato Palazzo d’Orleans, avrebbe potuto giocarsi le carte migliori. Ma si è circondato di bulli e ominicchi. Ha avuto paura della propria ombra e si è chiuso nella retorica dell’onestà-tà-tà. Non ha varato una sola riforma; non ha presentato una sola finanziaria con i conti in ordine; ha lasciato la Sicilia nella peste più nera. Non è riuscito nemmeno a fare il caporale di giornata: l’altro ieri, quando ha riproposto l’obbligo della mascherina all’aperto, lo hanno fischiato persino i sovranisti di Salvini e Meloni. Un gerarca minore: così lo avrebbe chiamato il radicale..

Ma la bella musica
non salva Musumeci

Per quattro anni Nello Musumeci ha imposto alla Regione il primato dei catanesi: ha dirottato sul suo territorio molte risorse e non ha certo tirato al risparmio quando, con il Bellini Festival, ha deciso di spargere musica di altissimo livello tra Catania e Taormina. Un progetto monumentale che ha mobilitato artisti come Riccardo Muti e Placido Domingo e che andrà avanti fino a ottobre. Poteva essere l’inno trionfale, l’annuncio tambureggiante della ricandidatura. Ma Catania è diventata, nell’ultimo miglio, croce e delizia. Perché da lì è saltato fuori il risentimento di quel Luca Sammartino che il governatore, al tempo dell’onnipotenza, aveva abbondantemente umiliato. Il deputato di Italia Viva è salito, con i suoi trentamila voti di preferenza, sul carro della Lega e Matteo Salvini, in cambio, ha liquidato le ambizioni di..

Gerenza

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