Alla fine, si sa, ognuno a casa sua fa come crede. Giusto, anzi giustissimo. Per cui è anche giusto che il “bando del Biondo” (ufficialmente l’“acquisizione di manifestazione di interesse finalizzata alla individuazione del Direttore dell’Associazione Teatro Biondo – Stabile di Palermo, detta in maniera pomposa ma l’unica possibile dal punto di vista tecnico-burocratico) tra i suoi punti finali precisi che “qualora il Consiglio di Amministrazione dell’Associazione, a suo insindacabile giudizio, non ritenga di conferire l’incarico a nessuno di coloro che hanno partecipato alla presente procedura, esso potrà conferire l’incarico ad altra personalità individuata, ancora una volta a suo insindacabile giudizio, secondo i requisiti…” etc. etc. Insomma, alla fine, scegliamo chi cavolo vogliamo. Come nelle migliori famiglie.

Non avesse risvolti un po’ grotteschi, “il bando del Biondo” sarebbe un ottimo termometro per capire come vanno le cose del teatro, e della cultura in generale, in queste periferiche lande dello Stivale. Dunque “aaa direttore artistico cercasi”, diplomaticamente acclarata come insanabile la frattura tra il primo cittadino Leoluca Orlando e l’attuale direttore in carica Roberto Alajmo ed echeggiati i rumors che vorrebbero la spartizione delle poltrone tra Palazzo d’Orleans e Palazzo delle Aquile (voi vi tenete il Massimo ma a noi date il Biondo).

Fatti salvi i requisiti generali (ma non tutti perché in mancanza del titolo di studi richiesto, la laurea, sarebbe bellissimo poter assistere al previsto esamino di cultura teatrale, da parte della commissione, dei candidati in possesso di semplice diploma) sarebbe interessante sapere chi potrebbe presentare, tra i requisiti specifici, “esperienza altamente qualificata, di durata non inferiore a dieci anni, desumibile da una valutazione globale degli incarichi svolti e dei titoli posseduti nell’ambito delle attività teatrali”. Con il limite dei dieci anni, l’uscente Alajmo (che ha dichiarato presenterà le sue credenziali concorrendo insieme agli altri) sarebbe automaticamente fuori essendo direttore da soli cinque anni, ma è pure abbastanza raro che oggi, in Italia, ci sia una figura che abbia avuto vita così longeva nella gestione di un palcoscenico pubblico o privato, al massimo si contano sulle dita di una mano. La “valutazione globale” poi, capirete, dice tutto e dice niente.

Non è prevista la “bella presenza” e anche qui Alajmo parte svantaggiato essendo egli old fashioned ma nel juke box iconografico dei direttori di teatro – ex, in servizio permanente effettivo o in pectore – non vengono comunque avvistati né adoni né veneri.

Se interessante (ma non ci compete) sarebbe anche leggere le letterine motivazionali dei candidati (1500 caratteri spazi inclusi) che fanno sempre un po’ concorso pubblico del dopoguerra (quelli in cui venivano cestinate le domande che spesso finivano con “mia madre piange e spera”), desta qualche preoccupazione (come sovente accade in questi casi) la richiesta di una competenza almeno triennale in “settori di attività analoghi a quelli oggetto del presente avviso presso soggetti pubblici o privati di eguale o superiore dimensione, tenuto conto dei risultati gestionali conseguiti” considerato che il termine “analogo”, proprio perché a discrezione della commissione selezionatrice, vaga, il più delle volte, negli spazi interstellari, si aggira fantasmaticamente dal museo d’arte moderna all’industria conserviera del pesce (un’analogia la si trova sempre). Se poi per “eguale o superiore dimensione” si vuol essere fiscali e invece che alla cubatura o allo spessore culturale (o analogo) di ciò che si è gestito ci si volesse riferire al numero di poltronissime, poltrone, palchi di vario ordine, logge, loggioni e barcacce sarebbero esclusi i gestori di teatri da meno di 935 posti, tanti ne fa la sala grande di via Roma (più 100 il Ridotto).

Infine la “perla” l’articolo numero 7, anche quello comunque inappuntabile, indiscutibile, proceduralmente senza una grinza. Dice testualmente: “La presente procedura di selezione non costituisce impegno ad affidare l’incarico da parte dell’Associazione che, pertanto, si riserva la facoltà di non dare corso alla copertura della posizione in assenza di manifestazioni di interesse ritenute in possesso delle caratteristiche auspicate, ovvero di prorogare, sospendere, modificare o revocare, in qualsiasi momento ed a proprio insindacabile giudizio, la presente procedura”. Articolo detto anche “abbiamo scherzato” o “niente ci fu, pigghiàmunni un cafè” o anche vediamo che fine fa il governo, che succede con le prossime elezioni, se Trump ritira altre truppe, se le scie chimiche producono altri effetti o se finalmente – dato il caso specifico – arriva Godot.

Intanto la città che fa? Sta alla finestra a guardare, l’intellighenzia che aveva alzato gli scudi tre estati fa alla prima sortita Orlando vs. Alajmo s’è via via intiepidita, addirittura silente o col naso un po’ arricciato di fronte alla recente “Tempesta” di Andò (più calore senza dubbio da parte del pubblico pagante) che è il suggello di fine mandato del direttore uscente. Oltre al successo della “Tempesta” (decretato dunque da abbonati e sbigliettanti, oltre che dalla critica), Alajmo incassa la firma del prossimo spettacolo, “Chi vive giace”, da lui scritto e affidato a un regista navigato, di solido mestiere quale Armando Pugliese e con un cast tutto siciliano, da Stefania Blandeburgo a Roberta Caronia, David Coco, Roberto Nobile, Claudio Zappalà. Debutto venerdì 18 gennaio, ore 21. Data fatidica: otto ore prima – sul filo di lana, scadenza fissata lo stesso giorno, ore 13 – potrebbe aver già presentato la domanda il futuro direttore dello Stabile.