Può succedere che il 24 di questo mese, nel pieno di quel gennaio “catastrofico”, come lo ha definito uno degli scienziati che collabora con il governo, alla prima votazione, venga eletto il nuovo presidente della Repubblica. Può capitare che, smentendo tutte le previsioni, nei prossimi giorni i leader dei partiti, o almeno quelli dell’attuale maggioranza, trovino un’intesa per garantire la prosecuzione della legislatura, intensificare la lotta contro il virus e attuare il PNRR. Che non è una roba da poco! Berlusconi, nel frattempo, avrà capito che il ruolo di padre della patria non corrisponde alla sua storia politica e giudiziaria e si sarà accontentato di aver recitato per alcune settimane un ruolo di protagonista, tornando ad avere una funzione residuale all’interno del centro destra. Sarà successo che i grandi elettori del Movimento 5 Stelle abbiano trovato miracolosamente la loro unità, che Salvini sia riuscito a mantenere per qualche giorno la medesima posizione e a far prevalere l’interesse del Paese sulla voglia di togliere a Meloni l’esclusiva dell’opposizione e che le correnti del Pd si presentino per una volta unite all’importante appuntamento. Vorrà dire che il numero di franchi tiratori sarà stato esiguo e comunque ininfluente, che, in una parola, il sistema dei partiti è risultato più solido di quanto sia stato descritto.

Può darsi che tutto questo capiti, o è più probabile che io abbia immaginato il migliore dei mondi possibili, che un passaggio fondamentale, nel passato spesso lacerante, sia avvenuto in modo tranquillo e tale da tenere in vita questa bizzarra maggioranza, risultato dell’emergenza sanitaria e della ferma volontà dell’attuale capo dello Stato, nel contesto della fragilità e della inadeguatezza dei partiti. Ho delineato uno sbocco che potrà esserci solo se saranno confermati Mattarella e Draghi nei ruoli oggi ricoperti. Per quanto mi lascia prevedere la mia esperienza e mi fa capire l’attenzione che continuo a porre alle vicende del Paese, questo quadro non può reggere ad altre soluzioni. Non può rimanere in piedi poggiando su uno solo dei supporti che l’hanno faticosamente garantito in questo anno. Un’intesa che preveda Draghi al Quirinale non fermerebbe la spinta centrifuga da lui tenuta sotto controllo con la costante attenzione di Mattarella e non garantirebbe di conseguenza la prosecuzione della legislatura.

La stessa situazione si determinerebbe se il presidente della Repubblica venisse eletto da una maggioranza diversa da quella attuale. In tutta la storia precedente, in occasione delle elezioni per il Quirinale, il primo obiettivo è stato quello di evitare che i partiti a sostegno dei governi si dividessero e, quando è successo, nel 1971, se un lontano precedente può essere di qualche utilità, quando Giovanni Leone fu eletto con i voti della Democrazia cristiana e del Movimento sociale e il dissenso dei socialisti e degli altri partiti del centro sinistra, non resse nulla. Pochi mesi dopo fu sciolto il Parlamento e per ricucire i rapporti precedenti passò parecchio tempo con in mezzo un governo di centro destra. Nel 1992 l’emergenza determinata dalla strage di Capaci mise fine alle ambizioni e ai contrasti di Giulio Andreotti e di Arnaldo Forlani al consueto, prolungato gioco fra i partiti e i grandi elettori votarono Oscar Scalfaro. L’emergenza di oggi, della cui gravità non si scorge né il contenimento né la fine, potrebbe o dovrebbe indurre Mattarella a superare la giusta, sincera, ripetuta ritrosia a rimanere dov’è e Draghi a rinunciare ad una legittima ambizione, entrambi chiamati a continuare a servire il Paese, evitando che esso si laceri ulteriormente sul piano politico e su quello sociale.

Anche quando l’avvicendamento è previsto ed è opportuno, in certe condizioni, lo stato maggiore deve rimanere ai posti di comando.