Ha atteso fino all’ultimo Renato Schifani per presentarsi in conferenza stampa. Aspettava la conferma che tutti i partiti della sua coalizione superassero la soglia del 5 per cento per accedere in parlamento (e al governo). Come il buon padre di famiglia che prima di rimettere in moto l’auto, si assicura che i figli abbiano varcato il cancello d’ingresso della scuola.

Schifani è questo. Un padre premuroso, rispettoso finché si può, ma “costretto” a non suscitare gelosie. A legittimare in egual modo le condizioni dettate da tutti i partiti della coalizione. Ma la possibilità di allargare la maggioranza a Lega, Autonomisti e Democrazia Cristiana gli impedirà di essere condizionato del gioco al massacro che rischia di scatenarsi – specie nella prima fase: quella delle nomine – tra Forza Italia e Fratelli d’Italia, i cui rapporti sono roventi da mesi.

Ed è questa la sorpresa che arriva dalle urne: di fronte alla prospettiva di un testa a testa con De Luca era un po’ scemata l’ipotesi di vedere le cinque liste – tutte e cinque! – all’Assemblea regionale. I sondaggi, soprattutto per gli Autonomisti di Lombardo (in tandem con Saverio Romano) e la nuova Dc di Cuffaro (assieme a Cesa e ai ‘resti’ dell’Udc) non erano idilliaci. Invece ci saranno. Entrambi i partiti scontavano l’assenza dal quadro nazionale, dalla scheda rosa e gialla che avrebbero determinato, inevitabilmente, il ricorso dell’elettorato al voto d’opinione. Non c’erano, ma sono comunque riusciti a ritagliarsi un ruolo da protagonisti su quella verde.

Lombardo nonostante l’inciampo dell’ultima ora che ha portato in carcere Salvatore Ferrigno, uno dei candidati all’Ars in quota autonomista; e nonostante i dissidi con la Lega, che ha convinto l’ex governatore di Grammichele a interrompere (pubblicamente) i rapporti con Salvini e la federazione col Carroccio. Cuffaro, nonostante Cuffaro. Discusso, incolpato, reietto (da parte di taluni), ma capace di armeggiare gli strumenti della politica con assoluta raffinatezza: imponendo il rinnovo della classe dirigente e mettendo alla porta tutti coloro i quali avevano provato a “infiltrarsi” in extremis. La teoria degli ‘zero uscenti’ (stessa mossa dell’odiatissimo rivale, Cateno De Luca) non lo ha danneggiato, anzi. La questione morale è passata in secondo piano. E così ecco il capolavoro. In attesa di conoscere le percentuali finali, e il numero di parlamentari ottenuti sul campo, i due grandi ex della politica siciliana dimostrano ancora di saperci fare e di poter contare.

Riesce anche la Lega, per la verità. Il risultato siciliano vale molto più della debacle a livello nazionale. Perché la Lega è pur sempre la Lega (anche se in versione light: si chiama Prima l’Italia) e la Sicilia è pur sempre la Sicilia. Terra di sbarchi, di caporalato, di assistenzialismo. Lontana dai prototipi del Nord e di Giorgetti. Ma questa è una Lega ammaestrata, moderata, molto democristiana. E quindi avrà accesso a Sala d’Ercole. Per la prima volta dal primo minuto, dopo l’ingresso a partita in corso durante l’ultima legislatura. Sul carro del centrodestra c’è spazio per tutti. Non era affatto scontato.