“Su Repubblica in questi anni abbiamo scritto di tutto su questa vicenda nata con il governo Cuffaro, ma nessun partito e nessuna procura è mai intervenuta veramente”. Antonio Fraschilla allarga le braccia. Il cronista di Repubblica si occupa da parecchi anni dello scandalo di Sicilia Patrimonio Immobiliare e di un censimento fantasma costato alla Regione siciliana 91 milioni di euro. Segni particolari? Non l’ha mai visto nessuno. “Potevano aprire un’indagine, anche a costo di archiviare. Niente. Solo un muro di gomma – si lamenta il giornalista – Ma come è possibile che in una Regione dove si grida giustamente allo scandalo anche per consulenze di pochi euro, poi su un censimento costato 90 milioni, e mai utilizzato né visto, nessuno dica nulla? Come è possibile?”.

La domanda riecheggia forte sugli organi di stampa, fra cui Buttanissima, che se ne occupa da mesi. Ma, in attesa di conoscere l’eventuale responso delle Procure, non fa breccia nei palazzi del potere, dove la questione rimane inchiodata a pochi sussulti – i grillini – e qualche promessa: Claudio Fava, presidente della commissione regionale Antimafia, si era impegnato a convocare in audizione il vice-governatore Gaetano Armao, che nel 2010, da assessore all’Economia del governo Lombardo, bloccò i pagamenti faraonici nei confronti alla società di Ezio Bigotti, il faccendiere di Pinerolo di cui l’attuale vice-governatore era stato anche consulente. Ma ad agosto anche i buoni propositi passano in secondo piano.

Nessuno è riuscito a scoprire cosa c’è dietro il censimento fantasma da 91 milioni che nel 2007 la Regione affidò a Sicilia Patrimonio Immobiliare. Qualcuno non ci ha nemmeno provato. Altrimenti, circa un mese fa, quando a palazzo dei Normanni fu sollevata la questione di una seconda mappatura, invocata dalla Corte dei Conti, non sarebbe stato necessario prendere altro tempo e nascondersi dietro una password smarrita per dare, all’organo della giustizia contabile, ciò che voleva: ossia una ricognizione straordinaria del patrimonio immobiliare dell’ente. Che avrebbe certamente presupposto costi aggiuntivi e risorse umane – da pescare all’interno del dipartimento tecnico di palazzo d’Orleans e del Genio Civile – e finito per mettere in imbarazzo gli “scienziati” al governo, di cui uno, Gaetano Armao, deve per forza sapere che fine abbia fatto il lavoro eseguito da Spi. Fu lui a bloccare i pagamenti a Bigotti, generando un contenzioso che potrebbe costare alle casse della Regione ulteriori 49 milioni di euro.

Un salasso. Per un lavoro che mai nessuno ha avuto la fortuna di vedere e, aspetto non secondario, pagato a peso d’oro. Avete presente quanti siano 91 milioni? Un terzo dei soldi che dovrà spendere la Regione per realizzare un nuovo centro direzionale, entro vent’anni, nel cuore di Palermo, per allocarvi tutti gli uffici dei vari assessorati. Ripescando le inchieste giornalistiche degli anni scorsi, sembra che la ricognizione, voluta dal governo Cuffaro nell’ambito della cessione di 33 immobili al fondo Fiprs, dovesse costare qualcosa come 13 milioni (già tanti) ma poi le cifre si impennarono e la situazione andò fuori controllo. Il censimento, concluso realmente nel 2009, finì dentro i server di Sicilia Patrimonio Immobiliare, senza che nessuno da quel momento agli anni a venire riuscisse a darci un’occhiata. Inconcepibile. A causa di quegli “impiccioni” dei grillini, ma anche della superficialità con cui è stata trattata dal governo Musumeci – che pensava di realizzare una nuova ricognizione senza fare accenno allo scempio di cui sopra – la situazione è debordata durante la discussione del “collegato” generale alla Finanziaria, in cui l’assessore Armao, con accurate spiegazioni a Sala d’Ercole , proponeva l’approvazione dell’articolo 6, quello relativo a una nuova “ricognizione straordinaria della situazione immobiliare dell’Ente”, defilandosi da vecchie responsabilità che forse gli appartengono (e non solo a lui).

Ma a quel punto l’assessore si incartò di fronte alle domande dei grillini che, preceduti dalla loro fama di “onesti”, non potevano accettare un simile spreco di danaro pubblico: “La Regione ha acquisito il server – disse Armao, a proposito del censimento fantasma – ma ad oggi (era l’inizio di luglio) non risulta disponibile la password per entrare nel documento. Abbiamo fatto un’intimazione alla proprietà, ma non è questo il contesto. Stiamo tutelando gli interessi dell’Amministrazione nel miglior modo possibile ma, ad oggi, questa banca dati non è direttamente disponibile e, comunque, trattandosi di valori immobiliari andrebbe certamente aggiornata”. Un modo caparbio per dire che il censimento da 91 milioni c’è ed esiste. Ma che, a causa di un arbitrato (strano che la storia venga fuori a dieci anni di distanza), non è possibile accedervi. Meglio, quindi, procedere col piano B. Ma i grillini costringono Armao a tornare sui suoi passi, ritirare la norma e presentarsi in prima commissione per illustrare la situazione di partenza e fornire ulteriori spiegazioni. E cioè: qualcuno ci può rivelare i dati del primo censimento? Se no, perché? Se sì, quando?

Sull’incontro in commissione, sorvoliamo. Non è mai avvenuto. I deputati del Movimento Cinque Stelle Nuccio Di Paola e Antonio De Luca arrivano a chiedere al presidente della commissione regionale Antimafia, Claudio Fava, di intervenire con una audizione ad hoc del vice-presidente della Regione e coinvolgono nella discussione anche Musumeci: “Anche su questa vicenda brilla per il suo inqualificabile silenzio – attaccava Di Paola –. Cosa che è inaccettabile. Su questo ennesimo scandalo che rischia di costarci 140 milioni, se si considerano anche eventuali contenziosi, venga a riferire in aula, magari sull’inchiesta interna che avrà sicuramente avviato perché è impensabile che su uno scandalo del genere non abbia mosso un dito”.

Fava, rispondendo al pressing di Buttanissima, conferma che l’audizione ci sarà, ma soltanto al termine del ciclo di incontri sul caso Antoci, l’ex presidente del Parco dei Nebrodi sfuggito a un attentato mafioso. Nel frattempo, da abile stratega, Armao annuncia in tempi record (una settimana) che la password per aprire il server di Sicilia Patrimonio Immobiliare è stata ritrovata e che entro il 17-18 luglio – altra cosa mai avvenuta – i dati saranno a disposizione di tutti (così facendo, ammette l’insussistenza di arbitrati tali da impedire l’accesso al censimento). Poi, dopo aver pensato di riproporre la norma sulla seconda ricognizione, come emendamento aggiuntivo, all’interno del Ddl assunzioni, uno dei mini-collegati che ha paralizzato i lavori dell’Assemblea, con un coup de theatre l’ha ritirata, togliendosi dall’imbarazzo di dover rispondere a nuovi interrogativi sorti fra i banchi delle opposizioni. Tutto magnifico.

Pur di non fornire spiegazioni su un censimento fantasma di dieci anni prima, costato 91 milioni di euro, l’assessore all’Economia della Regione Siciliana ha preferito, per il momento, non ottemperare nemmeno alle legittime richieste della Corte dei Conti che avrebbe voluto avere il quadro più chiaro sugli immobili dell’ente. E va beh… Ma fra le tante cose che non tornano di questa storiaccia, ad esempio, è che fine abbiano fatto quei soldi. A seguito di dettagliate inchieste giornalistiche, come quella di Antonio Fraschilla su Repubblica, si venne a sapere che Ezio Bigotti, tuttora amministratore delegato di Sicilia Patrimonio Immobiliare (in liquidazione), gestiva il 25% della società in mano ai privati per conto della Psp Scarl, una società consortile che raggruppava alcune sigle fra cui la Sti Servizi dell’imprenditore piemontese, che al momento si trova ai domiciliari per le sentenze pilotate al Consiglio di Stato (altra questione, medesima stoffa).

Ed è notorio come la F.B. (Finanziaria Bigotti), sia detenuta per il 45% dalla Lady Mary II, società con sede fiscale in Lussemburgo. E’ assai probabile, quindi, che la Regione abbia pagato 91 milioni estero su estero a una società lussemburghese di proprietà di un avventuriero. Il quale, come se tutto questo non bastasse, ha buone chance di aggiudicarsi i due arbitrati in corso – di cui nessuno, a Palermo, sembra conoscere i dettagli – facendo ulteriormente cassa. Sulle spalle dei siciliani. Se questo non è uno scandalo, fatichiamo a trovarne un altro.