C’è la presenza costante di Gioacchino Lanza Tomasi a fare da fil rouge a questo racconto di Luigi Falorni, La nascita del Gattopardo, ritratto di Giuseppe Tomasi di Lampedusa: con la sua sagacia, il suo humor, la sua arte del narrare familiare, il figlio adottivo dello scrittore fa anche da deterrente al rischio di un’agiografia dalla quale, in verità, per struttura del racconto, mix tra documento e fiction (i testimoni dell’epoca “interpretati” da attori), il regista si tiene già alla larga.

Scritto da Bernhard Pfletschinger, Thomas Keutner (a cui si deve l’idea) e dallo stesso Falorni, La nascita del Gattopardo (in anteprima a Palermo al Rouge et Noir) è la storia di questo aristocratico siciliano che – parole di Lanza Tomasi – «non fa niente tutta la vita, poi scrive un romanzo e diventa immortale».

A sbrogliare la matassa di una vita tra agiatezze e rovine, tra illusioni e disinganni, tra affetti complessi (la madre che si rivolge a lui, anche in età adulta, sempre al femminile, nel ricordo “malato” di una figlia morta di difterite) e cattiverie, tra ricevimenti aristocratici e scandali da cronaca nera, c’è pure il biografo David Gilmour.

Personalità complessa, quella di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, che oscilla tra l’ossessione dell’equazione vita-letteratura o, meglio, della letteratura come unica interpretazione della vita, e un certo atteggiamento oblomovista, un’indolenza aristocratica nei confronti delle cose e del mondo, al tempo stesso però carica anche di scelte coraggiose e di passioni (l’amore inseguito geograficamente e con non poche complicanze morali, sociali, comportamentali, per Alessandra Wolff Stommersee, la sua Licy, l’amore di una vita intera), di affetti cari frammisti a gelosie (quella per il cugino Lucio Piccolo che arriverà prima di lui, e in vita, alla fama), di ambizioni («perché non posso essere come loro?», si chiese a conclusione di un convegno cui partecipavano i più grandi scrittori degli anni ’50).

Una vita che corre lungo la Storia (l’alba del secolo scorso con la Palermo cara a nobili e regnanti di mezz’Europa, le due guerre mondiali, la difficile ricostruzione economica, fino a quel manoscritto che a fine anni Cinquanta consegnerà il protagonista, già morto da un anno, all’albo d’onore della letteratura italiana), corre lungo la Sicilia intera (dal palazzo avito di Palermo alle villeggiature nel grande verde di Santa Margherita Belice, dal castello diruto di Palma di Montechiaro alle piccole stanze della casa-rifugio post-bellica di Ficarra, alla villa dei Piccolo a Capo d’Orlando) ma pure attraverso il mondo (da Londra a Berlino, alla fredda Lettonia di Stomersee, croce e delizia dell’amore per Licy), la parabola insomma di un mondo che, nel giro di pochi decenni, ruota di 360 gradi.

E poi la nascita del manoscritto, iniziato e poi interrotto, sollecitato più volte dalle amorevoli premure della moglie, il libro che poteva illuminarsi solo di una storia privata, familiare, essere insomma anche il suo specchio. Quelle pagine di complicata destinazione editoriale che parlava di nobili eppure sarebbe piaciuto un sacco «perfino ai comunisti».

Montato da Wolfgang Grimmeisen, fotografato da Roland Wagner, su musiche di Karlis Auzins, coprodotto da più sigle europee e sostenuto dalla Sicilia Film Commission, distribuito dall’Istituto Luce, La nascita del Gattopardo dopo l’anteprima palermitana, comincia il suo percorso tra varie manifestazioni, poi sarà in dvd.