Musumeci potrebbe davvero mandare in frantumi la coalizione di centrodestra. Non solo in Sicilia. Ma persino a Roma. Anche se l’incontro di ieri fra Silvio Berlusconi, Giorgia Meloni e Matteo Salvini si è tenuto a Villa San Martino, Arcore. E’ stata l’insolenza di un comunicato di Fratelli d’Italia a irritare il Cav., fino a quel punto un padrone di casa più che ospitale. “I nodi aperti – ha detto la Meloni in una nota – cominciano dalla non ancora ufficializzata ricandidatura del presidente Musumeci su cui la personale dichiarata disponibilità di Silvio Berlusconi si è fermata di fronte alla richiesta di Matteo Salvini di ritardare l’annuncio del candidato”. Berlusconi, dipinto come “disponibile”, a stretto giro di posta ha fatto trapelare “sorpresa e irritazione” per il comunicato. Spegnendo le voci sull’assist di Forza Italia al bis del governatore uscente. Un assist fin qui negato in tutte le salse da Gianfranco Micciché, coordinatore regionale del partito che Berlusconi, da un’altra villa della collezione (Villa Grande, a Roma) aveva confermato nei panni del leader.

Berlusconi non sconfessa Micciché. Ma soprattutto, nel gioco delle torri, ha preferito tenersi Salvini piuttosto che la Meloni. Affinità caratteriali e politiche, che s’incrociano persino sulla via di Palermo. Dove la Lega è stata lestissima a prendere le distanze dalle letture asincrone fornite alla Meloni dai suoi “colonnelli”. Spiegando, in una nota firmata da Nino Minardo, segretario regionale del Carroccio, che non c’è trippa per gatti: “La Lega sulla Sicilia non ritarda nulla. I dubbi su Musumeci – specifica il deputato modicano – non sono di Salvini o della Lega, ma semmai della netta maggioranza dei siciliani, stando ad esempio all’ultimo sondaggio pubblico di Swg, che lo vede purtroppo terz’ultimo per gradimento in tutta Italia”. Poi ribadisce il concetto: “La Lega continua a sostenere lealmente la giunta Musumeci e a lavorare non per interesse di partito ma per il bene dei siciliani, e la scelta sul futuro governatore verrà presa in Sicilia, non a Roma o a Milano, dopo le vittorie di Palermo e di Messina”.

Ecco l’altra questione aperta. La decisione su Musumeci, come ribadito da Salvini a margine dell’ultima udienza al processo Open Arms, non verrà presa a un tavolo romano (che rappresenta l’auspicio della Meloni). Ma a Palermo. Dalla classe dirigente siciliana. Dove la linea del ‘no’ ha maggiori chance di prevalere. Trasmettere il faldone a palazzo dei Normanni e nelle segreterie regionali di partito, rischia di essere letale per Musumeci, che al netto del ‘cerchio magico’ e dei pochi lealisti, non può contare su grossi numeri. Lo hanno testimoniato gli ultimi episodi a Sala d’Ercole, per l’approvazione della Finanziaria; ma anche le uscite pubbliche dei vari Miccichè, Minardo, Sammartino, Lombardo. Persino Fratelli d’Italia, nonostante la sua accentuata visione leaderistica, potrebbe vacillare. E’ chiaro e risaputo che all’interno del partito prevalgono i No Nello, e se chiamati in causa, finirebbero per indirizzare la scelta. Palermo è una trappola per Musumeci, che infatti cerca consolazione a Roma. Non dovesse trovarla per proseguire l’esperienza a Palazzo d’Orleans, gli rimarrebbe il Senato. Non si butta via niente.

Anche la partita giocata dalla Meloni, francamente, sembra più un tentativo di posizionamento, che non una reale aspirazione. “Bocciando la ricandidatura di Musumeci – dicono in Fratelli d’Italia – Salvini vuole metterci le dita negli occhi”. Meloni, dopo essere rimasta in compagnia del solo Berlusconi (Salvini è tornato a Roma un’ora prima) ha provato a convincere il Cav. sulle chance di Nello. Spiegando che l’unica possibilità per il centrodestra di perdere le elezioni, era presentarsi con un paio di candidati (uno c’è già: Cateno De Luca). Ma non ha mosso di un millimetro il Cav., che pur non avendo giocato un ruolo di prim’ordine, conosce a menadito le resistenze siciliane: non solo per i racconti di Micciché, ma anche per quelli della Ronzulli, la sua ambasciatrice, che nei mesi scorsi ha provato a ricucire i rapporti dentro il partito siciliano (senza farcela). Inoltre, come sottolinea l’Huffington Post, “è lo stesso Berlusconi che, inedito assoluto nella recente storia del centrodestra, prende le distanze platealmente rispetto a uno dei partner, lo fa sulla ricandidatura di Musumeci, a proposito della quale sembra fortemente tifare non Meloni ma Salvini, a riprova che il partito unico forzaleghista di fatto già esiste ed è il vero motivo del nervosismo estremo mostrato in questi mesi dalla leader di FdI ed esploso nel vertice di Arcore”.

“Il centrodestra è unito perché solo un pazzo manderebbe all’aria la coalizione”, ha affermato apertamente il Cav. dopo l’incontro, mentre la Meloni ribadiva tutt’altro concetto: “L’unità della coalizione non basta declamarla. Occorre costruirla nei fatti”. I due, comunicati alla mano, sembrano entrati in rotta di collisione e sarà sempre più difficile venirne fuori. Specie se la spinta siciliana, come si augurano Salvini e lo stesso Micciché, dovesse risultare determinante sulle scelte da compiere alla Regione. Troppi gli episodi che hanno portato i tre leader –specie Salvini e Meloni – ad allontanarsi: l’elezione del Capo dello Stato, la ‘minaccia’ di Giorgia di correre da sola nei collegi uninominali alle prossime Politiche, il mancato impegno di Lega e Forza Italia a smarcarsi da eventuali, nuovi governi di unità nazionale (con Pd e Cinque Stelle). E, infine, Musumeci. Uno che non appartiene a nessuno dei tre partiti, ma che, in preda al demone della ricandidatura, crede gli si debba riconoscere l’eterna permanenza sul trono di Orleans perché la legge del contadino ha deciso così. Perché i suoi assessori, che non si scuciono dalla sua vestaglia, hanno deciso così. Perché i sondaggi realizzati ad arte dicono che non esistono alternative. Aveva detto che si sarebbe ritirato se c’era il rischio di spaccare il centrodestra. Mentiva.