Proveremo a ricostruirlo a Genova ma smetteremo di immaginarlo a Messina dove è crollato come idea e non sarà mai più l’azzardo dell’ingegneria. E infatti svanisce dal mercato elettorale la grande opera accarezzata da Bettino Craxi, Silvio Berlusconi, Matteo Renzi, quel ponte che da Reggio Calabria a Messina fa galleggiare la Sicilia nel Mediterraneo e la illude di essere “sale della terra”, separata e incompresa. Da quando sono arrivati i populisti al governo e il “No” è finito per essere la parola d’ordine (No Tav, No Tap, No Vax …) abbiamo accantonato i progetti che da cinquant’anni gli architetti producono e abbiamo perfino smesso di indicare una data di possibile inizio lavori.

Mai abbiamo creduto alla sua costruzione che è sempre stata ostacolata da scettici e ambientalisti. Solo qui i ponti anziché unire allontanano e siamo bravissimi a fare passerella ma non a fabbricarla. Spaventati dalla possibile catastrofe, ci siamo affezionati perfino all’idea del terremoto che – denunciano i contrari – potrebbe spazzare questo ponte, ma ci siamo dimenticati che, in Italia, i ponti crollano per abbandono e incuria. Prima che il ministro delle Infrastrutture si mettesse a giocare con i modellini nel salotto di Bruno Vespa, per ragionare sulla costruzione abbiamo costituito la Società Stretto di Messina.

Dal 1981 – ne ha scritto bene e tanto Antonio Fraschilla nel suo Grandi e Inutili (Einaudi) – questo laboratorio di chimere è costato 600 milioni di euro, ha dato lavoro a 53 dipendenti e ha distribuito consulenze anziché riscuotere pedaggi. Il Meridione vive (e guadagna) grazie alle congetture. A furia di speculare sulla possibile edificazione siamo arrivati perfino al tunnel sotto lo Stretto. C’è un romanzo sull’argomento. È di Mauro Coppola e si chiama appunto “Il ponte sotto lo Stretto”. Il ponte è stato fino a oggi il doping della politica nella fase terminale, gli steroidi da ingerire durante il calo di consenso. Fateci caso, l’ultima volta che ne abbiamo ascoltato l’annuncio è stato con Matteo Renzi e un po’ tutti avevamo capito che la sua parabola stesse così per tramontare.

Monorotaia per quanto riguarda i trasporti ferroviari, ferry-boat per legarci alla penisola, in Sicilia il vero privilegio è il movimento ma l’ambizione è la staticità che in economia è appunto il reddito di cittadinanza che si appresta a consegnare il M5s proprio al posto di questo ponte. Insomma, non verrà mai più posta la prima pietra a Messina ma l’ultima. Quella del sepolcro. Eppure qualcosa rimarrà. Sarà la carta. I fascicoli e le interrogazioni; le denunce e i bilanci. Non costruiremo un ponte ma un giorno, c’è da scommettere, i populisti proporranno di farne un archivio. Forse un museo che riempiranno di dipendenti regionali. È il destino del Mezzogiorno. Mezzi lavori, mezza sanità, mezzi trasporti. Qui le uniche cose vive sono gli aborti.