Continua la tensione fra Micciché e i falchi di Berlusconi. L’ultima intromissione di Renato Schifani sulle questioni siciliane, arrivata per il tramite del commissario provinciale di Palermo, Luigi Vallone, è l’ultimo episodio di una serie di incomprensioni che nelle ultime settimane hanno messo a dura prova i rapporti tra Gianfranco Micciché e il cerchio magico di Antonio Tajani, attuale coordinatore nazionale del partito. Una guerra fredda iniziata con la nomina dei sottosegretari del governo Draghi e l’esclusione di Matilde Siracusano, indicata dal partito siciliano. E proseguita con la richiesta di Berlusconi a Miccichè di farsi da parte per attenuare i mal di pancia romani (e di Giuseppe Milazzo, collega del Cav. all’Europarlamento), con la proposta di sostituirlo con un uomo di sua fiducia (prima) con un triumvirato (dopo). Un’ipotesi a cui il presidente dell’Ars – il doppio incarico fra Roma e Bruxelles è visto come un problema – ha dato un’altra spiegazione: un tentativo di scalare il partito in vista delle prossime Politiche. E al quale ha saputo resistere con disinvoltura, grazie ai rapporti con Berlusconi. In cambio ha dovuto ingoiare il rospo della conferma di Marco Falcone e Gaetano Armao nella squadra di Musumeci. Una tensione perenne che, per il momento, non si placa.