Ci mancava solo il Covid a palazzo: questa Finanziaria – nonostante due settimane di full immersion fra aula e Commissione Bilancio – non s’ha da fare. Senza scomodare i santi, l’epilogo a sorpresa di venerdì, con la sospensione dei lavori per tre giorni e la proroga dell’esercizio provvisorio, sembra un invito alla resa. Un segnale sinistro. Musumeci e il suo governo hanno consegnato tardi la manovra, il 6 febbraio, sperando che i deputati, con un triplo carpiato, gli avrebbero permesso di salvare le apparenze con Roma, approvando la manovra entro il 28. Impossibile. Hanno dato un segnale di buona volontà, evitando di prorogare sin da subito l’esercizio provvisorio (come richiesto dall’accordo). Ma il salto nel buio è stato addirittura peggio: ha costretto la Regione a 27 giorni di gestione provvisoria, coi rubinetti della spesa semi-chiusi, tranne che per pagare gli stipendi e le bollette. Hanno imbottito la manovra di facili clientele, o presunte riforme (in parte anche stralciate) abolendo, di fatto, le residue speranze di ristoro da parte delle imprese. E alla fine della fiera, nonostante tutto, hanno dovuto arrendersi. Ci si è messo di mezzo il fato: un autista del ragioniere generale è risultato positivo al Covid e Micciché, archiviando due settimane di polemica e sofferenze, ha sospeso i lavori e mandato tutti in quarantena per rigenerarsi dalle tossine.

Fra l’altro al termine di una seduta che farà la storia. La sfuriata del presidente dell’Ars, a microfoni aperti, per la mancata concessione dei vaccini ai deputati, è un messaggio che segue due direttrici: da un lato, rappresenta una rivincita sui Cinque Stelle, che avevano sonoramente sbeffeggiato la proposta di vaccinare i politici e il personale alla vigilia di una sessione intricata come quella del Bilancio; dall’altra, di straforo, è una bacchettata per chi aveva la facoltà di intervenire e non l’ha fatto. L’assessore Razza sul tema non si era mai espresso, mentre Musumeci, nei giorni del blitz di Corleone e delle dimissioni del sindaco Nicolosi, si era limitato a un commento generico: “Esprimo la mia amarezza per quegli amministratori e titolari di cariche pubbliche che ritengono di dovere anticipare il loro vaccino. C’è un protocollo e va rispettato”. Per fortuna, al di là del diniego, degli sfottò, del cosa è meglio tra il “dare l’esempio” e “fare un passo indietro”, nessuno della ‘casta’ sarebbe risultato positivo. Almeno per il momento.

La Finanziaria, comunque, resta appena a un filo. Con una ventina di articoli da approvare, tra cui la rubrica dell’assessore Armao. A fare capolino l’articolo 2, composto da 44 commi (praticamente una legge a parte), che esige studio, approfondimento e tantissima pazienza. Il presidente della commissione Bilancio, Riccardo Savona, ha detto che ci vorranno ore. E’ lo specchio di una Finanziaria costruita male, dove manca il tatto. La sensibilità di cogliere le necessità del momento. Di riversare tutto l’impegno possibile per salvare chi rischia di essere sepolto dalla pandemia. Di ristori, infatti, neanche l’ombra. Se non qualche mancetta, qua e là, per i proprietari delle sale cinematografiche, per chi si occupa di spettacoli e wedding, o di intrattenimento. Venticinque milioni a valere sui fondi Poc – i cosiddetti fondi di cartone – che esigono un iter burocratico dalla tempistica incerta, fra Roma e Palermo.

Così, mentre l’Ars al gran completo esultava per aver sanato la posizione di 4.571 Asu, i precari storici dei comuni, o di aver stabilizzato a 151 giorni i lavoratori dei Consorzi di Bonifica, o dato l’ok alla coltivazione della cannabis per l’uso terapeutico – citiamo, di proposito, tre delle norme migliori approvate in settimana – fuori dal palazzo Confcommercio manifestava con le maschere di gomma nella consapevolezza di aver affidato il proprio rantolo disperato a una politica sorda. Non sono bastate le fitte interlocuzioni con il presidente dell’Ars, coi capigruppo, con alcuni esponenti del governo, per dare soddisfazione a Patrizia Di Dio, presidente della sezione palermitana, in prima linea contro le torture del Nazi-Covid: “Se sarà approvata la Finanziaria regionale senza sostegni alle imprese ci troveremo di fronte al più grande scippo della storia recente alla Sicilia che produce e che dà lavoro – ha urlato -. Qual è dopo un anno la strategia politica della nostra classe politica verso la prima questione di cui si deve occupare? È come se mentre fuori c’è il terremoto qualcuno pensa a innaffiare i fiori in giardino”.

L’unica promessa partorita da un governo che le promesse, fin qui, di rado è riuscito a mantenerle, è l’impegno a erogare per via amministrativa (a Finanziaria conclusa) 200 milioni per le imprese in difficoltà. Anche in quel caso servirà il “via libera” di Roma per la riprogrammazione delle risorse extraregionali che nel frattempo – garantisce Armao – gli uffici stanno raschiando dal fondo del barile. All’interno della manovra, però, s’è trovato lo spazio e il modo di adeguare il trattamento economico della portavoce del presidente della Regione, l’ex europarlamentare del Pd Michela Giuffrida, che percepirà 160 mila euro l’anno, più di un qualsiasi primario. Hanno votato a favore in 27 (contro 26). Qualcuno ha preso le distanze. Ma persino alcuni politici di centrodestra, in chat, diffondono alcuni meme critici con Musumeci: “La gente è alla fame e lui aumenta lo stipendio alla sua portavoce da 60 a 160 mila euro. Vergogna”.

Questa Finanziaria rischia di aver fatto terra bruciata attorno all’esecutivo. Che s’è visto bocciare – complice l’apporto dei franchi tiratori – norme alla vigilia ritenute fondamentali: su tutte l’articolo 16, relativo alla riduzione delle pensioni dei dipendenti regionali (soppresso per volere della stessa maggioranza); o l’articolo 19, che prevedeva il controllo “sugli enti, istituti e aziende sottoposte a tutela e vigilanza regionale”, tramite professionisti esterni incaricati dalla Ragioneria generale; per non parlare dell’articolo 119, l’ultimo della serie, che avrebbe voluto istituire l’agenzia regionale per il controllo del territorio, con un nuovo direttore generale e una spesa prevista di un paio di milioni. E’ saltata pure la nomina dei dirigenti esterni, la riforma dell’Irsap (stralciata), la modifica di un articolo (impugnato da Roma) sul demanio marittimo. La maggioranza si è liquefatta più volte, tradendo un certo nervosismo. Ma soprattutto ha perso Armao, che sull’articolo 8 – la concessione di finanziamenti mediante una convenzione con la BEI dal valore di 1,5 milioni di euro – è stato irriso da un emendamento soppressivo del Pd e attaccato da esponenti della sua stessa maggioranza. L’assessore all’Economia, però, ha ritenuto di doversi sfogare contro un solo giornale, il nostro, colpevole di aver riportato i fatti.

Dopo quel nostro articolo al vicepresidente della Regione sono saltati i nervi: ha minacciato la solita querela e ha tirato fuori il solito repertorio di insulti e di insinuazioni. Ma noi abbiamo solo esercitato il nostro diritto di cronaca. E la cronaca dice che la maggioranza dell’Assemblea regionale ha ritenuto poco ortodossa (eufemismo) la sua proposta di impegnare un milione e mezzo di euro in tre anni per fiancheggiare l’accordo con la Banca europea degli investimenti. Al punto che i deputati di destra e di sinistra l’hanno bocciata. Inesorabilmente. Con commenti che avrebbero fatto arrossire chiunque. Ma Armao, si sa, non arrossisce mai. Preferisce le strade oblique e opache: la minaccia, l’insinuazione, l’avvertimento, l’intimidazione. I bulli sono fatti così.

Per intimidirci – è il suo stile – l’assessore ha ricordato che il direttore di questo giornale è stato “amico dei Salvo e di Montante”. Credeva di metterci il sasso in bocca, secondo una vecchia cultura molto consolidata in Sicilia. E il direttore – molto divertito, bisogna dirlo – gli ha spedito questo messaggio: “Gentile Armao. Quarant’anni fa avrò pure conosciuto i Salvo e avrò pure frequentato – come lei, come tutti – Antonello Montante. Ma per fortuna non ho conosciuto Ezio Bigotti, l’avventuriero piemontese di cui lei è stato amico e consulente e che, con un censimento fasullo, è riuscito a totalizzare un malloppo di quasi cento milioni di euro, transitati non si sa come dalla Regione a un paradiso fiscale. Non ho neppure subìto un pignoramento dello stipendio da parte di mia moglie. Bastano questi due elementi per restituirmi l’onore che lei crede perduto?”. Il molto onorevole Armao non ha risposto. Ha preferito fuggire. Più che un bullo, un vigliacchetto. (g.s.)