Oggi di Forza Italia, oltre a un consenso sempre più eroso, resta la forza carismatica del suo leader: “Nessuno è insostituibile, tranne Berlusconi” ha detto Gianfranco Miccichè, parlando dell’ipotesi di dimettersi da coordinatore regionale del partito, ipotesi che svampisce ogni giorno di più. Ma almeno la Sicilia – in attesa di capire cosa accadrà a Catania dopo l’abbandono del sindaco Pogliese – si conferma, sempre parole di Micciché, “l’ultima frontiera di resistenza al populismo”. Tanto che a Caltanissetta, scorporati in due liste, gli azzurri si attestano intorno al 23%. Un successone. A Catania per le Amministrative beccarono il 27%, ma è anche vero che in altri comuni a stento raggiungono il 10%. In perfetta media nazionale, dove gli ultimi rilevamenti la danno un pelino sotto il 9. Numeri che proiettati a una decina d’anni fa farebbero impallidire persino un’ottimista di natura come il Cav., che non a caso, e in vista di un suo ritorno in campo per le Europee, ha chiesto agli italiani di svegliarsi e arginare la deriva populista e pauperista del Movimento 5 Stelle.

I Cinque Stelle. Come se la Lega non esistesse. O fosse sparita il giorno dopo aver firmato il patto col diavolo (leggasi governo del cambiamento). E’ Salvini ciò che divide Forza Italia. In chiave romana ma soprattutto siciliana. Nell’Isola, che spesso si rivela laboratorio politico, e in questa fase non fa eccezione, ha vissuto per lunghi mesi una forma interna di autocombustione. Da quando il Ministro dell’Interno cominciò a chiudere i porti e respingere i barconi. L’anima dura di Forza Italia si disse e favore delle prove muscolari, Micciché si recò addirittura a un appuntamento coi centri sociali, e con Laura Boldrini, per censurare questa mancanza d’umanità. E’ la vicenda che ha portato Pogliese, con Catanoso e tutti i catanesi, a rimuginare a lungo sulla coesistenza interna. E, giusto qualche settimana fa, a prendere un’altra Via (il gioco di parole è voluto) non appena da Palermo arrivò il “niet” sulla candidatura di un uomo che nel passato aveva rinnegato Berlusconi con Alfano, e qualche mese fa, come un qualunque “figliol prodigo”, faceva ritorno all’ovile fra i mugugni.

La candidatura, ritenuta strumentale, di Giovanni La Via alle Europee, è stata al centro del contendere tra falchi e colombe, coi primi che hanno deciso, dopo una convivenza affatto pacifica, di migrare verso nuovi lidi (non ancora identificati, ma prossimi a Salvini e alla Meloni). E i Micciché-boys a rinsaldare l’anima di un partito che vorrebbe andare al centro e non a destra, come dimostrato dalle recenti alleanze per le Amministrative. Piuttosto che allearsi con la Lega – è avvenuto soltanto a Bagheria – meglio il Pd. Forza Italia, anche in questa fase, si conferma “una monarchia ottemperata dal più grande quadro di libertà anarchica”, come spiegava nel 2008 Giulio Tremonti, ministro all’Economia del governo Berlusconi. Una definizione che Gianfranco Miccichè ha tirato fuori durante un’intervista al Corriere della Sera, dandole colore: “Forza Italia è un’anarchia territoriale in cui uno comanda e tutti fanno quello che c***o vogliono. Se c’è spazio per Giovanni Toti, vuol dire che ci può stare pure Armao”.

L’ultimo è un riferimento non banale. La seconda questione aperta, lasciando perdere Pogliese. Micciché, che aveva sempre covato al suo interno una certa rabbia, adesso la lascia intravedere. Non sopporta che il vice-Musumeci, e potentissimo assessore all’Economia, messo lì da Berlusconi in virtù di una ragion politica non meglio precisata, a Gela abbia sostenuto la Lega contro Forza Italia. Scegliendo, assieme alla compagna deputata Giusy Bartolozzi, una linea del tutto in antitesi con quella del partito che rappresenta, e togliendo a Lucio Greco – la cui candidatura è figlia di un’alleanza silenziosa con il Pd – un’elezione al primo turno: “Un assessore che dice di essere vicino a Berlusconi e non fa vincere i suoi potrebbe essere guardato male” ha mugugnato Miccichè. Che per una volta è apparso persino più morbido di un suo fedelissimo, quel Michele Mancuso che, da coordinatore provinciale di FI nel Nisseno, ha avvertito sulla propria pelle gli effetti di un tradimento conclamato: “Armao venga cacciato dal governo della Regione. Così la smetterà di essere dannoso”.

Dall’altra parte, però, non recepiscono il messaggio,  sfoggiano sicurezza e si preparano a salire sul carro(ccio) del vincitore. La Bartolozzi (“Eletta nel collegio di Gela con i voti miei e di Lucio Greco” ricorderà Mancuso per l’eternità), ha riacceso la miccia con un post su Facebook, in cui esulta per il risultato di Giuseppe Spata, il candidato di Salvini, e per il successo della sua formazione, #AvantiGela: “Obiettivo centrato. Siamo al ballottaggio e la nostra lista si dimostra, numeri alla mano, straordinaria. Chi credeva che – precludendo a Forza Italia la possibilità di concorrere alle elezioni con il proprio simbolo, così violando le precise direttive del Presidente Berlusconi al solo fine di concludere inciuci con parte della sinistra – ci avrebbe abbattuto con un sol soffio, avrà certamente di che meditare”. Miccichè e Mancuso, al ballottaggio, si ritroveranno contro questi due. Mentre alla Regione governano insieme. Una situazione snervante che il voto sul “collegato” alla Finanziaria, lo strumento contabile firmato e supervisionato da Gaetano Armao, potrebbe trasformare in lotta senza quartiere.

Mentre i primi ufficiali del partito si arrovellano per trovare un antidoto ai populisti (“Forza Italia è nata, e sarà sempre, moderata. Un partito che parla un’altra lingua e maneggia un’altra grammatica rispetto a quella della Lega” ha detto Micciché al Foglio), più di qualcuno è rimasto a flirtare coi leghisti, che da un anno a questa parte, sorvolando Forza Italia e non di poco, costituiscono il nuovo baricentro di una coalizione nata a pezzi. Così, anche se rischia di apparire impopolare, Miccichè ha cominciato a ragionare con la Sicilia Futura di Totò Cardinale e il Pd di Davide Faraone. Sarebbe più auspicabile compromettersi con la sinistra, o con quel che ne rimane, piuttosto che ridursi a lustrascarpe di Salvini e soci. Che col loro operato di governo, totalmente ignaro alle problematiche della Sicilia, risultano persino più equivoci di quando imploravano “Forza Etna”.