Quando solleva il telefono per parlare con noi, Davide Faraone è diretto a un seminario del Partito Democratico sull’autonomia differenziata. Il tema che in questi giorni non lo lascia dormire tranquillo. Nel quadro dirigenziale “dem” è l’unico ad aver alzato la voce con forza, e persino in anticipo rispetto al resto del gruppo. Ad aver denunciato i danni potenziali che una simile operazione potrebbe provocare al Sud del Paese, e alla Sicilia in particolare. “Io non ne voglio padani nel mio partito – si lamenta il segretario regionale del Pd – Io credo che scimmiottare la Lega per non perdere consensi rispetto al Carroccio è un’idea sbagliata e perversa. Loro hanno a cuore solo una parte del Paese e, anche se non lo dicono più, la costruzione della Padania. Noi siamo un partito nazionale che fa dell’unità nazionale e della parità fra i cittadini una ragion d’essere”.

Martina, il suo candidato al congresso nazionale, è l’unico – a parte lei – ad aver detto “no” a quella che chiamate una secessione mascherata. Come si sta comportando il Pd?

“Male. Il mio partito dovrebbe fare un’opposizione durissima, frontale. E me l’aspetto soprattutto dagli esponenti del Nord. Se la facciamo noi del Sud sembra che siamo rivendicazionisti, che vogliamo la pappa, come diceva il titolo di Libero qualche giorno fa. E invece diciamo “no” a qualsiasi forma di assistenzialismo. A quello sta già pensando il Movimento 5 Stelle con l’avallo della Lega, che dà l’ok al reddito di cittadinanza per non avere rotture di scatole sulla secessione. E’ come se lassù ci fossero quelli bravi, intelligenti, forzuti che pensano al futuro delle loro famiglie e campano un’intera nazione. E qui quattro deficienti che hanno bisogno di essere campati. Lo ripeto: è un patto scellerato a cui il Pd deve opporsi con fermezza. Non bastano i seminari”.

Qual è lo scenario che immagina nel caso in cui si concretizzasse l’autonomia differenziata per Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna?

“I dipendenti regionali avranno uno stipendio più ricco al Nord e meno ricco al Sud. Ci sarà una spesa storicizzata, quindi i trasferimenti statali avverranno in base a quello che c’è e non a quello che ci dovrebbe essere. Prenda gli asili nido. I comuni verranno pagati in base ai posti degli asili nido che mettono a disposizione oggi, quindi se un comune oggi non ne ha, continuerà a non averne per sempre. Chi li ha già, continuerà ad averne sempre di più. E poi la questione della spesa sanitaria, che sarà differenziata da regione a regione. Per cui dei farmaci molto costosi, ad esempio per malattie oncologiche, verranno pagate a peso d’oro in Sicilia e in Calabria e saranno gratuiti in Lombardia e in Veneto. Le regioni più ricche tratterranno le tasse senza che ci sia un riequilibrio, venendo meno al principio stesso di democrazia e di unità nazionale. Dove si sta male si starà sempre peggio”.

Il testo è segreto, ma si sa già che il Parlamento non potrà proporre modifiche. Non sarà emendabile. Perché?

“Questa secessione silenziosa è incostituzionale nel merito, perché va contro la democrazia e non mette gli italiani sullo stesso piano; ma anche nel metodo di approvazione, perché il Parlamento non ha la possibilità di proporre emendamenti. Ricordo che non è la prima volta: già durante l’approvazione della Legge di Bilancio non ci hanno permesso di intervenire. Qui si continuano a scavalcare delle prerogative fondamentali”.

A quale contromossa pensate?

“La cosa grave è che abbiamo subito una marea gialla alle ultime elezioni al Sud e dal Movimento 5 Stelle ci saremmo aspettati qualcosa più di un “ora vediamo, ora sistemiamo…”. Questo è un provvedimento su cui bisogna alzare un muro e chiedere l’intervento del presidente della Repubblica, perché è incostituzionale in tutte le sue parti. E invece il M5S è assuefatto. Anche da parte di tutte le altre forze politiche mi aspetto un intervento netto. Forza Italia non può stare in silenzio perché è un provvedimento che fa comodo a Salvini. Anche loro devono protestare: siamo di fronte a una riforma che massacra il Sud”.

Il governo regionale della Sicilia, attraverso Musumeci, ha chiesto al premier Conte di rispettare alcuni criteri fondamentali come la perequazione fiscale e infrastrutturale…

“Si tratta di una letterina di fronte a un carro armato. Musumeci è capo di una Regione che può partecipare anche al Consiglio dei Ministri. E questa Regione deve difenderla. Ma deve avere le carte in regola per farlo: fare riforme, non chiedere assistenzialismo, presentare progetti e proposte per una Sicilia più libera, aperta e meno burocratica. Se hai queste carte in regola, ti presenti a Roma, batti i pugni sul tavolo e ti scontri frontalmente. Il problema è che Musumeci è debole”.

Qualche giorno fa ha incassato colpi durissimi in assemblea.

“Hanno approvato una Finanziaria che dipende dalla volontà del Movimento 5 Stelle, tanto è vero che il M5S voleva utilizzarla come ricatto per entrare al governo e occupare le poltrone, pur avendo perso le elezioni. La proposta di governo tecnico fatta da Cancelleri e soci andava in questa direzione. E poi il governo è debole anche nei confronti della Lega, che se mette il pollice verso il basso può decretare il fallimento della Regione. Come può un governatore così debole difendere la Sicilia per me è un grande punto interrogativo… Il dramma è che se non ci riesce a pagare sono i siciliani, non Musumeci e i suoi assessori”.

Dall’ultima Finanziaria è venuto fuori un dato politico incontrovertibile. Che con questa maggioranza Musumeci rischia di andare sotto un giorno sì e l’altro pure. Avrebbe persino pensato alle dimissioni.

“Il problema è che alle dimissioni non bisogna solo pensarci. Se non si è in grado di fare nulla, bisognerebbe firmarle. O si è nelle condizioni di rappresentare un governo che mette in campo riforme, anche di natura istituzionale, e leggi che servono. O se ne traggono le conseguenze. Le uniche nuove leggi approvate dall’aula sono leggi finanziarie, che in caso di mancata approvazione avrebbero fatto cadere il Parlamento. Se non si è in grado di andare avanti, si riforma la legge elettorale, approvandone una che tiene conto del tripolarismo, si toglie questo maledetto voto segreto e si introduce il voto di fiducia, cioè la possibilità per un presidente di mettere in discussione la sua permanenza se non passa un provvedimento, e si va a votare subito”.

L’avvicinamento alle primarie nazionali del Pd, il 3 marzo, è stato scandito dal botta e risposta fra lei e Zingaretti. Il governatore del Lazio non ha ancora digerito le modalità della sua elezione a segretario regionale del partito.

“Io non cambierò a 43 anni, non porto il cervello all’ammasso. Rispetto tutti, ma non ho mai rispettato le gerarchie che mi sono state imposte o le file che mi sono state indicate dai notabili di turno. Ho sempre fatto le mie sfide, vincendo o perdendo, ma sempre a viso aperto. Sono uno coerente, non salto sul carro a seconda di chi vince o chi perde, pratica molto diffusa nella politica ma anche nel Pd, soprattutto al Sud. Gradirei essere rispettato per quello che sono. Non accetto nessun tipo di lezione, né gente che viene qua e sculaccia. La Sicilia la conosco io, la conosciamo noi, non abbiamo bisogno di qualcuno con la mazzetta di giornali sotto il braccio che arriva e ci dice cosa fare. Possono anche risalire sull’aereo e tornare da dove sono venuti”.

Quando Zingaretti ha detto che nel Pd siciliano bisogna “ristabilire i processi democratici”, a cosa alludeva secondo lei?

“Non voglio entrare in polemica con Zingaretti o chiunque altro. A me interessa lavorare e da quando sono stato eletto segretario non mi sono fermato per un istante. Ho ributtato le bandiere del Pd in piazza e nelle strade, stiamo organizzando proteste al fianco degli allevatori, degli agricoltori che non riescono a pagare l’acqua. Abbiamo fatto battaglie per le infrastrutture che qui non si riparano né si realizzano, mentre al Nord fanno tutto con rapidità e addirittura si possono permettere di accantonare la Tav. Voglio continuare a fare ciò che ho fatto finora perché è la cosa che mi appassiona. Tutto il resto mi annoia”.