Proprio ieri, 4 settembre, che ricorre la festa della patrona di Palermo, Rosalia, mi è capitato di leggere l’elenco degli artisti che parteciperanno alla mostra d’arte contemporanea “La Sicilia fredda”, che si terrà all’eremo di Santa Rosalia alla Quisquina dal 12 settembre al 12 ottobre 2021, secondo un progetto di Alfonso Leto ispirato da “Il cavaliere e la morte” di Leonardo Sciascia.

E sono stata colta da un brivido che non saprei definire se di sorpresa o raccapriccio nel notare come, là, in quel luogo adiacente alla grotta dove pare che Rosalia abbia vissuto almeno dodici anni, sfuggendo alla volontà paterna di sposarsi e condurre vita di corte, si svolgerà questa mostra a cui parteciperanno ben ventuno artisti (sembrerebbe il palindromo degli anni ivi trascorsi dalla futura Santa); e come, tra questi ventuno artisti, non compaia una sola donna.

Ci sono due coppie di padri e figli, Giuseppe e Dimitri Agnello e Lorenzo e Christian Reina, come ad evocare una sorta di rigido principio ereditario maschile tramandato attraverso un femminile ignoto (o ignorato?) – e tutto qui.

Una Sicilia fredda, quella in cui il femminile è completamente ignorato, una Sicilia altera, diremmo, che non si relaziona, paga della sua superiorità intellettuale, isolata nella sua bolla tra i lontani Sicani, creativa nella mente e non nel corpo né nel cuore, congelati sotto una neve che non perdona, che non lascia scampo alla vita, alla gioia, anzi alla felicità. Sì, perché la parola “felicità” deriva da un’antica radice dhe- che significa nel contempo allattare ed essere allattati/e, una radice antica quanto il mondo che allude all’unità tra dare e ricevere, un’unità che scalda, che fa vibrare, che non separa, che insegna non solo ad ascoltare ma a sentire. Una radice che evoca un gesto, il primo gesto, che non ha bisogno di parole, perché ha già in sé tutto quello che basta e che serve, benché da quella stessa minuscola radice derivino anche parole come “femmina”, “feto”, “figlio”, che tutte si riconnettono all’essere e non all’avere. Le parole della terra, le parole del corpo, le parole del sentire.

Una Sicilia non solo “fredda”, ma addirittura assiderata, allora, questa che immaginiamo distendersi sotto le stelle – sidera – che la gelano nella notte. Ben diversa da quella che considera, guardandole tutte insieme, le stelle, unendole in percorsi immaginari che attivano e disegnano il mito e le storie, le parole delle donne, degli uomini, dei bambini e delle bambine che sono esistiti prima di noi; ben diversa, questa inesistente Sicilia “fredda”, anche da quella che desidera, cercando le stelle durante la navigazione per orientarsi, per dirigersi cioè verso il sorgere del sole.

Il 4 settembre del 1165 fu trovata morta, Rosalia: ma se io oggi ho pensato a lei, e non per devozione, qualcosa ancora rimane. Di lei, del nostro femminile, della Sicilia che fredda proprio non è. Anche quando si abbassa la temperatura.