Nel marasma bestiale di queste ore, Forza ha riacquisito una certezza: Gianfranco Micciché non ha alcuna intenzione di dimettersi dal ruolo di coordinatore regionale del partito. La domenica sulle montagne russe del presidente dell’Ars, si è conclusa con un’indiscrezione all’Ansa, confermata dal diretto interessato: i falchi non vinceranno. Nemmeno “il ventiquattresimo attacco” scatenato da Marco Falcone e Gaetano Armao, i leader della minoranza rumorosa che hanno definito “ondivaga” la sua gestione, è servito a farlo cadere. Anzi Micciché nella giornata di lunedì si è recato ad Arcore, nella residenza di Silvio Berlusconi, per fare il punto sulle vicende siciliane, a partire dalla candidatura di Ciccio Cascio a sindaco di Palermo.

Attorno alla visita di sabato della Ronzulli sono sorte mille letture, su cui tenteremo di rifare ordine. La prima è che la senatrice spedita in Sicilia in missione di pace, avrebbe accolto con malumore l’assenza dei “frondisti” (Falcone ha dichiarato che “non si fanno inviti alle 21 in chat”): a partire da quella di Armao, che grazie ai suoi buoni uffici è stato scelto, nel 2017, nel ruolo di vicepresidente; la seconda notizia è che la Ronzulli avrebbe registrato con serietà e attenzione, senza fare resistenza, i pareri del gruppo parlamentare azzurro, e avrebbe trasmesso al vecchio Cav. l’intenzione di voltare pagina perché con “Musumeci si perde”. La telefonata di Silvio, nel corso della riunione di palazzo dei Normanni (celebrata con una fotografia di gruppo), è stato “un atto di cortesia” e non un endorsement – come molti degli oppositori interni l’hanno definito – nei confronti del presidente della Regione, che rimane indigesto a una enorme fetta del partito.

Restano alcuni elementi in ordine sparso. Intanto il colloquio telefonico di mercoledì scorso, fra Musumeci e Berlusconi, agevolato dall’intervento di Marcello Dell’Utri. Il pranzo fra il governatore e l’ex senatore, che ha scontato oltre 5 anni per concorso esterno in associazione mafiosa, serviva a Dell’Utri per proporre la donazione di un’enorme biblioteca, che l’ex manager di Publitalia vorrebbe trasferire in Sicilia. Ad Agrigento, magari, con vista sulla Valle dei Templi; o a Palermo, grazie a un contatto con il nuovo rettore dell’Università. Musumeci potrebbe fare da gancio. A tavola, come ovvio, si è parlato anche di Regionali. Così la mente è volata ad Arcore, dove il presidente Berlusconi – telefonicamente – ha invitato Musumeci a fargli una capatina di tanto in tanto. Un’altra coincidenza, dettata dalla buona creanza (più che da un interesse a fare ordine nel caos siciliano), che ha ingigantito ulteriormente le fazioni del tifo.

Perché una cosa è chiara: se una fetta del partito Musumeci non vorrebbe più vederlo in cartolina (sulla falsariga di leghisti e autonomisti), gli altri componenti del gruppo sono suoi convinti sostenitori. A partire da tre assessori su quattro (il terzo è Zambuto), e dal presidente della commissione Bilancio Savona. “Magari sarebbe più corretto che i vari Falcone, Zambuto e Armao lavorassero per unire piuttosto che distruggere – ha spiegato Michele Mancuso, vicecapogruppo di FI all’Ars -. Ricordo che in fondo, rivestono un ruolo all’interno del governo regionale anche grazie al gruppo parlamentare di appartenenza”. La distanza è stata ribadita dalla nota di Falcone all’Ansa, in cui il commissario etneo di FI, nonché assessore alle Infrastrutture e fedelissimo di Musumeci, ha preteso maggiore “collegialità” nelle scelte: “Dopo 4 anni e 4 mesi di governo con Forza Italia, partito di maggioranza, non può che essere espresso un giudizio positivo sul governo”.

In quella nota, però, Falcone ha fatto riferimento alla gestione “ondivaga” di Micciché, aprendo un altro fronte: la scelta del candidato sindaco per Palermo. “Cascio come candidato sindaco va benissimo. E’ stato portato dal presidente Renato Schifani in dissonanza con Miccichè. Fino a ieri il coordinatore regionale diceva che il candidato era Roberto Lagalla: non si possono avere posizioni altalenanti e non va messa a repentaglio la tenuta del centrodestra”. Su questa affermazione – cioè che fosse Schifani ad aver proposto Cascio – si è aperta l’ennesima combutta interna. Basti pensare alla nota di smentita di Andrea Mineo, leader dei giovani di Forza Italia e consigliere comunale a Palermo: “È vero che il senatore Schifani aveva insistito perché il candidato della coalizione alle prossime amministrative fosse espressione di Forza Italia, ma ieri (sabato per chi legge, ndr) l’ex presidente del Senato è arrivato al tavolo con altri nomi, mai presi in considerazione perché poco popolari e sui quali non ci sarebbe mai stata la convergenza degli altri alleati della coalizione. Francesco Cascio è il profilo ideale del candidato sindaco di Palermo. Lo ha proposto alla senatrice Licia Ronzulli, durante la riunione di sabato, Gianfranco Miccichè”. Schifani, all’appuntamento di sabato, avrebbe proposto un’altra cosa: cioè un possibile ticket con lui presidente della Regione (sfruttando l’onda lunga dei sondaggi), e Armao, addirittura, sindaco di Palermo. Una proposta irricevibile per un partito che sin dall’inizio della legislatura ha recepito l’assessore all’Economia come un “corpo estraneo” rispetto al gruppo.

In fondo a questa domenica bestiale, in cui la leadership di Micciché è stata corroborata da una decina di comunicati stampa (compresi quelli di alcuni parlamentari nazionali come Giammanco e Papatheu), resta una tensione di fondo. Una spaccatura nei fatti. Una visione quasi inconciliabile sul futuro del governo della Regione e, soprattutto, sulla sua guida. Chi sperava che la visita di Ronzulli avesse modificato il quadro o ricondotto all’unità, è rimasto deluso. E’ servito, tutt’al più, ad approfondire le divergenze. Ma non a cambiare leader.