Una preoccupazione grande per quello che rischia di diventare il suo Pd. Antonello Cracolici, ex assessore regionale all’Agricoltura, fiero componente dell’ala riformista e identitaria del partito, non fa nulla per nasconderla. Anzi, è mettendosi in vista che spera di scongiurarla. Per questo – per evitare “inciuci” con Forza Italia e sbarrare la strada a Faraone – è sceso in campo al fianco di Teresa Piccione. Nonostante lo stesso Cracolici sia stato uno dei pochissimi, forse l’unico, a non perorare la causa dei congressi: “Il nostro è un partito che non ha affrontato nessuno dei problemi all’indomani delle sconfitte elettorali. Rispetto al passato la situazione è più grave: alle Politiche abbiamo preso meno voti che alle Regionali. Era sempre successo il contrario. Il rischio è che l’esito del congresso siano solo macerie e che, al posto di un commissario, venga eletto un liquidatore fallimentare”.

Quale doveva essere il percorso di avvicinamento alle primarie?

“Avevo suggerito di rinviare a dopo il congresso nazionale per darci il tempo di ricostruire una presenza politica nei territori. Non c’è comune dove il Pd non è presente in due o tre formazioni che si sono combattute alle ultime Amministrative. E’ un partito lacerato anche umanamente. Prima del contenitore, andava ricostruito il contenuto. Altrimenti il fatto di stare insieme diventa una finzione”.

Anche l’idea di una candidatura unitaria è parsa una finzione.

“Io infatti non ci ho mai creduto. E quando Faraone è sceso in campo mi ha tolto ogni dubbio. Lui è interprete di quell’idea di politica che prova a costruire qualcosa oltre il Pd”.

Non ha mai fatto mistero di voler costruire un “campo nuovo”, inclusivo, che accolga tutti coloro che non si ritrovano nei movimenti sovranisti e populisti…

“E infatti ha anche aperto la Leopolda siciliana al fianco di Miccichè. In politica i simboli contano molto. Il modello proposto da Faraone è già fallimentare e le ultime elezioni Politiche lo hanno dimostrato. Una parte del Pd aveva messo in conto di perdere, ma non aveva messo in conto che perdesse anche Forza Italia, e quindi che non c’erano i numeri per costruire una prospettiva politica comune”.

Quindi, secondo Lei, è stato un inciucio sin dalla prima ora?

“Secondo me è un tentativo velleitario e sbagliato, che hanno già sperimentato con l’elezione di Micciché a presidente dell’Assemblea regionale. Una sorta di partito dell’antagonismo, una specie di arlecchino del sistema politico italiano. Che vede la Sicilia come una cavia di ciò che accade a livello nazionale. Più che un partito che va oltre il Pd, mi sembra un ulteriore luogo del trasformismo”.

Come legge la richiesta di convocazione “urgente” inoltrata dai deputati vicini a Faraone nei confronti del capogruppo all’Ars Giuseppe Lupo?

“Come una pistola puntata alla tempia. E’ come se volessero dire “adesso ti facciamo fuori”. Siamo di fronte alla classica rappresaglia. E lo dice uno che non aveva votato Lupo come capogruppo”.

Ecco, appunto.

“Io sono di quelli che nel 2010, dopo che Lupo divenne segretario, volevano fare fuori. Ma considero questo modo di operare, ora come allora, il frutto di una selvaggia visione della politica. Il gruppo parlamentare è un luogo istituzionale: deve avere stabilità ed essere legittimato alla funzione. Questo tentativo è la conferma di un gioco brutto che rischia di diventare difficilmente gestibile nei prossimi mesi”.

Eppure sembra che il “vertice” riguardi questioni legate all’Assemblea regionale. O magari non hanno preso bene che il capogruppo si sia schierato apertamente con Teresa Piccione?

“Immagino ci sia anche questo. Qualcuno lamenta – apparentemente – una scarsa capacità di opposizione. E’ vero: il tema esiste, il partito è in crisi e fatica persino a fare opposizione. Ma che questi lamenti giungano da ambienti che hanno flirtato e flirtano col centrodestra, o addirittura da Sicilia Futura, che sostanzialmente è alleato del governo Musumeci, è un paradosso. Il bue che dice cornuto all’asino…”.

E poi c’è questa storia dei congressi provinciali. Lei teme davvero, come ha dichiarato in una recente intervista, che la questione finirà in tribunale?

“Sì, e le spiego il motivo. Il 16 dicembre i cittadini andranno a votare nei gazebo, scegliendo uno dei due candidati assieme ai componenti delle liste che li supportano. Ma eleggeranno solo il 60% dei membri della nuova assemblea perché il restante 40%, da statuto, spetta ai circoli. Alla nuova assemblea del partito – il 60 più il 40 – toccherà ratificare l’elezione del nuovo segretario. La cosa più logica sarebbe svolgere prima i congressi territoriali e poi le primarie. Come dice il regolamento”.

Sì, ma perché la minaccia del tribunale?

“Perché dopo averlo approvato in direzione, la commissione nominata da Raciti, in accordo con Faraone, ha modificato il regolamento senza averne i poteri. Nessuno poteva farlo. Siamo giunti al paradosso che si vuole persino impedire al Pd di dire la sua sul Pd”.

Forse era meglio come diceva lei, cioè di non farlo questo congresso…

“Il congresso non è il luogo della conta, ma è dove si definiscono gli assetti locali. E il segretario regionale non è l’amministratore unico di una società. Chi vince sarà delegittimato dai fatti. Gli elettori delusi, quelli che hanno ricominciato a credere a un’alternativa al Movimento 5 Stelle e vorrebbero un Pd forte e autorevole, assistono sconcertati a quello che sta avvenendo in Sicilia. Non facciamo altro che dimostrare la nostra inadeguatezza”.

Doveva essere il congresso della riunificazione, ma il quadro – dopo il 16 dicembre – potrebbe essere persino più dilaniato.

“Se la prospettiva è quella di fare un partito oltre il Pd, di farlo con Miccichè e il centrodestra, lo facciano pure ma non pensino di portarci dentro me. Io tenterò di fare il Pd, un partito coerente col centrosinistra e coi suoi valori, erede della storia di La Torre e Mattarella. Ognuno di noi deve difendere la propria storia, la propria dignità, la propria coerenza. Dovevo aspettare Faraone per fare il partito assieme a Micciché o, perché no, a Musumeci? Quando un treno è in corsa non sa dove si ferma…”.

Dalle macerie sbuca fuori il nome di Teresa Piccione. Cosa rappresenta secondo Lei?

“Un’idea di un Pd ancorato ai suoi valori e alle sue ragioni fondative. All’incontro del cattolicesimo democratico e della cultura riformista di sinistra. La teoria dell’“oltrismo” ci ha fatto perdere tutte le elezioni degli ultimi anni. E’ una storia ha già avuto una verifica alle urne. Alle ultime Politiche abbiamo perso perché i nostri elettori temevano che finissimo in un partito assieme a Berlusconi”.