La svolta che non t’aspetti arriva mercoledì pomeriggio, intorno alle 15, quando Giuseppe Conte sale al Quirinale e consegna al Capo dello Stato la lista dei ministri. Non cambia il numero dei siciliani (tre) ma cambiano i volti. Tutti, ad eccezione di Alfonso Bonafede, amatissimo da Luigi Di Maio, che resta alla Giustizia. Scompare, in una notte, la candidatura di Giulia Grillo, data per certa alla Salute (al suo posto Roberto Speranza, di LeU). Il Movimento 5 Stelle, piuttosto, punta sulla catanese Nunzia Catalfo, che viene “sorteggiata” al Lavoro. Se n’era già occupata da presidente di commissione al Senato nei primi mesi di legislatura. Fra le new entry – ma era nell’aria – anche Peppe Provenzano, attuale responsabile delle politiche del Lavoro del Pd. Scelto da Zingaretti per la segreteria nazionale, andrà a rivestire l’incarico di Ministro per il Sud, al posto di Barbara Lezzi. Fuori anche la palermitana Bongiorno, che Salvini aveva piazzato alla Pubblica Amministrazione.

Il ministro alle Infrastrutture, che faceva molto gola al Movimento 5 Stelle siciliano (avrebbe provato a piazzarci Giancarlo Cancelleri, candidato per due volte alla carica di governatore e attuale vice-presidente dell’Ars), sarà Paola De Micheli del Partito Democratico. Piacentina, un po’ più a sud di Cremona, da dove arriva Danilo Toninelli, che quel ministero lo ha retto per 14 mesi e non ha lasciato traccia. Qualche scoria, semmai: i rapporti tossici con il presidente della Regione Nello Musumeci, che l’ha definito “la sciagura d’Italia”. La relazione non è mai sbocciata. E a pagarne le conseguenze è stata la Sicilia. Per oltre un anno s’è parlato del raddoppio della Ragusa-Catania, ma il progetto della superstrada è impantanato al Cipe; del commissario per le strade provinciali, nominato ma soltanto sulla carta; dello sblocco dei cantieri sulla Palermo-Agrigento e sulla Caltanissetta-Agrigento, che sono ancora fermi; delle ferrovie insufficienti, che hanno persino spinto due deputati regionali del M5s, Cancelleri e Nuccio Di Paola, a denunciare lo stato pietoso del trasporto pubblico dai finestrini di un treno. E’ venuta meno la leale collaborazione istituzionale di cui in questi giorni si fa un gran parlare. Quello di salvare le apparenze, ormai, è un tentativo troppo fragile: con il Movimento 5 Stelle e il Pd al governo della nazione, per Musumeci sarà tutto fuorché una passeggiata.

Non sarà facile trovare delle sponde di natura “territoriale”. Non sono riusciti a garantirla Alfonso Bonafede (Giustizia) e Giulia Grillo (Salute), entrambi del Movimento 5 Stelle. Anche se in questi mesi gli è stata oscurata la vallata. Bonafede è rimasto inghiottito nella gara con Matteo Salvini. Che l’ha sempre sopraffatto, fino a costringerlo ad imitarlo: il video dell’arrivo di Cesare Battisti in Italia, pubblicato sui social come un trofeo di guerra, è stato uno dei punti più bassi di via Arenula. Un incidente di percorso insopportabile per il mazarese Bonafede, pupillo di Di Maio, che ha fatto apparire il suo mandato come qualcosa di grandioso e irripetibile. “Epocale”, per usare una parola che gli sta particolarmente a cuore.

E’ stata epocale la legge “Spazzacorrotti”, con cui credeva di aver debellato una volta per tutte inganni e ruberie; è stata epocale la scelta di abolire la prescrizione dopo il primo grado di giudizio, così da rendere i processi una saga stile Beautiful; lo è stata l’intuizione del “trojan”, il software di ultima generazione che permette di intercettare i suoni e i commenti più disparati, anche dei tizi che discutono di calciomercato al bar. E sarà epocale, memorabile, anche la riforma della giustizia, che la Lega per il momento ha stoppato: prevede la riduzione dei tempi dei processi (da 9 a 6 anni) e il sorteggio per la selezione dei giudici da eleggere al Csm. Non prevede, invece, la separazione delle carriere dei magistrati. Per questo, secondo Salvini, è “acqua fresca”.

Un’altra che s’è vista poco, nonostante le dichiarazioni d’intenti e i buoni propositi, è la catanese Giulia Grillo. Che, nominata ministro, è diventata mamma. “Un anno bellissimo”. Nei giorni scorsi s’era detta stanca e pronta a farsi da parte. E così sarà. Il medico anatomopatologo, classe ’75, ha invocato a fine agosto una legge anti-violenza per proteggere i medici aggrediti in corsia (due casi si sono verificati di recente a Palermo). Lei dice d’aver fatto tanto: “Siamo quelli che hanno ricominciato a investire nella Sanità pubblica – ha scritto la Grillo nel suo messaggio d’encomio, dopo le dimissioni di Conte – Quelli che hanno rilanciato tante questioni ferme da decenni, sbloccato le assunzioni, avviato la riforma per superare la carenza dei medici, recuperato 2,5 miliardi dalla spesa farmaceutica, investito per ridurre le liste di attesa e rilanciato la lotta alla corruzione nel settore sanitario. Noi siamo l’Italia del cambiamento”. Alla Sicilia, non ce ne voglia la Grillo, servirebbe qualcosina in più e di diverso.

Una spinta che non potrà più dare Giulia Bongiorno, la prima leghista siciliana della storia a mettere piede al Ministero della Pubblica Amministrazione. Nel giorno delle comunicazioni di Conte al Senato, il 20 agosto, ha annunciato assieme al Ministro all’Economia Giovanni Tria lo sblocco di 5 mila assunzioni tra ministeri, Aci, agenzie fiscali e avvocatura generale dello Stato. Ha esultato per l’approvazione del “Codice Rosso”, la legge che difende le donne vittime di violenza. E poi ha lasciato traccia – come sospettano i più maliziosi, fra il cui il senatore dem Davide Faraone – per aver fornito completa assistenza legale a Matteo Salvini, che in questi mesi ha dovuto contrastare più di un “assalto” da parte delle procure, specie quella di Agrigento.

“Non fa più il ministro, ma il suo avvocato a tempo pieno” aveva detto l’ex segretario regionale del Pd riferendosi alla Bongiorno. Che la ministra sia brava con la toga indosso, non si discute. Lo ha confermato mettendosi di traverso, fino a contestarla punto per punto, sulla bozza di riforma della giustizia annunciata da Bonafede. Uno dei tanti motivi di rottura col Movimento 5 Stelle. “Noi chiediamo una riforma vera, globale, che abbracci tutte le materie. Non possiamo pensare a una riforma che non raggiunga i suoi obiettivi” aveva detto la Bongiorno, ex legale di Giulio Andreotti, per smarcarsi dal collega.

Chi ci ritroveremo al governo del Paese è Peppe Provenzano. I rumors lo danno al Lavoro (insidiato da Morra), al Sud o alle Politiche Giovanili. Di lavoro se ne intende, avendo ricoperto in questi mesi l’incarico di responsabile nazionale per il Pd, nominato da Zingaretti. Ed è stato anche vice presidente dello Svimez. L’unico in lizza sul fronte democratico. L’unico nome spendibile, uno dei pochissimi a non aver partecipato alla stagione del governo Crocetta o dell’ultimo congresso. Provenzano non deve raccogliere macerie. Al lavoro, inoltre, ci sarà Nunzia Catalfo, la teorica e la prima sostenitrice del reddito di cittadinanza. Si occuperà di lavoro e avrà subito a che fare con alcuni tavoli di crisi: da Almaviva a Blutec, cui è appena stata prorogata la cassa integrazione. Già. L’occupazione è l’altra emergenza siciliana. Mentre il reddito di cittadinanza è un semplice brodino che rischia di fare flop (cosa sono 200 posti nei centri per l’impiego a fronte di 162 mila beneficiari?).