Alla Regione Siciliana c’è bisogno di personale. E’ quanto emerge in questi giorni dall’esame del “ddl assunzioni”, il collegato del “collegato” alla Finanziaria, uscito dalla commissione Affari Istituzionali, che vorrebbe inaugurare una nuova stagione concorsuale per tamponare l’emorragia. Non si riesce a raggiungere il fabbisogno, nonostante la Regione Sicilia schieri ai nastri di partenza un’immensa platea di dirigenti (1.400), che costituiscono più o meno un terzo dei dirigenti di tutte le Regioni d’Italia, e circa 15 mila dipendenti. La Corte dei Conti, anche in occasione dell’ultima parifica, ha ribadito che sono e costano troppo, ma secondo governo e assemblea non bastano. Per cui, servono i concorsi.

Ma c’è un pezzo del disegno di legge che ignora la procedura. Se ne infischia. Riguarda i dirigenti regionali di “terza fascia”. Oggi sono circa 1.200. Una categoria a sé, istituita diciannove anni fa, in deroga all’ordinamento nazionale, con la legge n.10 del 2000. In una sola notte 2.700 funzionari direttivi, ex ottavo livello, ebbero una promozione inattesa. Persino Cuffaro, presidente della Regione, divenne un dirigente di “terza fascia”. Al comma 5 dell’articolo 6, si stabiliva che “agli eventuali posti residui” della seconda fascia dirigenziale (questa sì, riconosciuta come nel resto del Paese) accedono “i dirigenti della terza fascia a seguito di concorso per titoli ed esami”. “Per il quinquennio successivo alla data di entrata in vigore della presente legge – si legge inoltre – i posti da conferire (…) sono per il 50 per cento riservati ai dirigenti della terza fascia. Successivamente detta riserva opera nel limite del 30 per cento”.

Quindi, dato che Legge non ammette ignoranza, se parti dalla “terza fascia”, e vuoi salire di grado, devi partecipare a un concorso. Perché quelli di “terza fascia” nella pratica non sono dirigenti, ma semplici funzionari. Nel vuoto legislativo di questi anni, in cui, però, si è annidata la giurisprudenza, nessuno ha modificato l’aspetto transitorio della norma, né ha avuto da ridire, e in Sicilia, come conferma l’onorevole Stefano Zito del Movimento 5 Stelle, “nulla è più permanente del transitorio”. Così il governo, emendando il testo del “collegatino” emerso dalla I commissione, ha provato ad affermare un altro concetto. Il seguente (art.6, comma 8): “I dirigenti della terza fascia del ruolo unico della dirigenza transitano alla seconda fascia, nella misura massima del 50 per cento dei posti della dotazione organica, attraverso lo scorrimento di una graduatoria triennale redatta a seguito di procedura di valutazione comparativa di titoli e servizi”.

Insomma, con un colpo di genio l’esecutivo ha deciso di abolire la procedura concorsuale per l’avanzamento di carriera, in barba ai dirigenti già presenti in Regione (di prima e seconda fascia, naturali destinatari di incarichi dirigenziali) e di chi, fuori dai palazzi del potere, è in attesa di partecipare alla partita. Ma ciò che più sorprende di questo articolo – al momento accantonato, se ne riparlerà martedì – è il tema dell’incostituzionalità. Ci sono valide ragioni per credere che la Consulta possa impugnare un simile procedimento. Ed è la storia, direttamente, a consegnarcele.

La prima volta, nel 2001, il commissario di Stato decise di starsene buono per il contenuto della norma – che avrebbe regolato l’accesso agli incarichi dirigenziali previo concorso – ma già nel 2003, di fronte a un nuovo tentativo di “furbata” dell’amministrazione regionale, fu costretto a farsi sentire. Nell’articolo 11 della legge n. 20/2003, infatti, si tentò di allargare la platea dei destinatari dell’incarico di dirigente generale “a dirigenti dell’amministrazione regionale, appartenenti alle altre due fasce, purché, in tal caso, gli stessi siano in possesso di laurea, abbiano maturato almeno sette anni di anzianità nella qualifica di dirigente”. Non solo i dirigenti di seconda fascia; persino quelli di terza (i funzionari della prima ora) sarebbero potuti diventare dirigenti generali. Il commissario, quella volta, cadde dalla sedia e, invitando il governo a cancellare il comma incriminato, evitò l’intervento a gamba tesa della Corte costituzionale. Venendo meno il motivo del contendere.

Negli anni seguenti, abbandonata la locuzione di “terza fascia”, parte dei funzionari – protetti dalla politica – riuscirono a ottenere ciò per cui avevano resistito e si erano fortemente battuti: il riconoscimento degli incarichi dirigenziali. Ne arrivarono a bizzeffe. In un clima di assoluta omertà, nessuno ebbe da eccepire. Finché l’ex capo di gabinetto di Totò Cuffaro, Salvatore Taormina, esautorato dal governo Lombardo, decise di presentare, assieme ad Alessandra Russo, ricorso contro la nomina a segretario generale della Regione di Patrizia Monterosso, un’esterna, ad opera dello stesso governatore di Grammichele, e alla proroga che portava in calce la firma di Rosario Crocetta. Con una sentenza pronunciata a giugno 2014, il Tar gli diede torto, specificando che i dirigenti di “terza fascia”, come Taormina e la Russo, non potevano aspirare a quella posizione.

Qualche settimana fa, siamo a giugno 2019, il giudice del Lavoro di Palermo, Elvira Majolino, accoglie la causa intentata da Alberto Pulizzi, dirigente di seconda fascia, nei confronti della Regione. Il proponente aveva contestato la nomina di Fulvio Bellomo e Vincenzo Palizzolo, entrambi dirigenti di “terza fascia”, a capo del dipartimento tecnico. La nomina, durante il governo Crocetta, sarebbe avvenuta in violazione del procedimento fissato dalla Legge. Anche la Corte d’Appello di Palermo, pochi anni fa, si era interessata alla questione, ritenendo inammissibile il ricorso di un dirigente di “terza fascia” contro la mancata nomina a dirigente generale. Tutti i tribunali, e questa è un’evidenza, si sono pronunciati in modo inappellabile: per scalare una montagna occorre una bici, per scalare posizioni serve un concorso.

Persino la politica, qualche anno fa, aveva preso ufficialmente posizione. Durante la sottoscrizione di un accordo Stato-Regione fra il governo Renzi e il governo Crocetta, non solo si evidenziò che la Sicilia dovesse adeguarsi alla norma nazionale – in vigore è la legge Madia – e prevedere una sola fascia dirigenziale, ma si intimò la Regione a non procedere con promozioni automatiche o legate a concorsi per soli titoli (e senza esami) perché palesemente contrari ai precetti costituzionali, che invece mirano alla buona amministrazione e alla trasparenza.

Stefano Zito dei Cinque Stelle

“La terza fascia esiste solo in Sicilia – ha detto Zito, del M5S –. Contestiamo che il 50% di questi dirigenti, senza un concorso, possano essere promossi a incarichi dirigenziali. Non si tratterebbe di una procedura aperta, mentre nel resto d’Italia, per quanto riguarda gli incarichi apicali, si fanno i concorsi. Come impone la legge Madia sulle stabilizzazioni del personale – ha aggiunto il portavoce del Movimento 5 Stelle – per la promozione dei dirigenti non sono ammesse deroghe. Ne va del buon andamento dell’amministrazione”. I grillini, su questo, non intendono recedere: “E’ una battaglia che porto avanti sin dalla scorsa legislatura – spiega Zito – Al massimo possiamo riservare un 20 o 30% dei posti a quelli di “terza fascia”, ma devono comunque passare da un concorso. Nessuno può avere scorciatoie. Se un dirigente è capace, non teme il concorso. Lo teme, forse, chi è sempre stato sotto l’ala protettiva della politica. Su questa vicenda faremo le barricate. E’ una legge incostituzionale”.

Il secondo casus belli relativo al “collegato” sui concorsi alla Regione riguarda l’assunzione di un centinaio di “esterni” in uffici scoperti dei vari dipartimenti, come quello all’Energia. Anche in questo caso per chiamata diretta e senza concorso (per una durata media che va da 3 a 5 anni). Tecnicamente, si tratta di “procedura selettiva comparativa”. E’ il tentativo, da parte della Regione, di recepire il decreto legislativo nazionale 165/2001 (art.19, comma 6), utilizzato da numerose amministrazioni. Secondo la Legge, gli incarichi dirigenziali per chiamata diretta “possono essere conferiti entro il limite dell’otto percento della dotazione organica vigente dell’amministrazione regionale fornendone esplicita motivazione, a persone di particolare e comprovata qualificazione professionale”. Incarichi che non potrebbero essere ricoperti da dirigenti in dotazione, perché in assenza di competenze. Ecco perché occorre rivolgersi all’esterno.

Strano, però, che per tale scopo la Regione possa stanziare la modica cifra di 200 mila euro: “Con quei soldi dirigenti ne paghi un paio – ha fatto notare, in aula, il senatore del Pd Antonello Cracolici – Non è che il governo debba fare una cortesia a qualcuno?”. Anche Zito, sul tema, cade dalle nuvole: “In carenza di organico, per garbo istituzionale, puoi fare atto di interpello per vedere chi vuole andare in un determinato settore. Nel nostro caso il Dipartimento Acque e Rifiuti, rimpasto scoperto. Ma, poi, è possibile che un assessore o un presidente non possa spostare d’imperio un dirigente in quegli uffici per non lasciarli sguarniti? Mi sembra molto curioso che su 1500 non se ne trovino 6 in grado di rivestire l’incarico. E comunque, se vuoi sistemare la baracca, non puoi limitarti a un “collegato” del “collegato”, ma devi fare una legge di riforma della pubblica amministrazione, che metta al centro l’efficienza e poi i concorsi: vero che abbiamo un numero esorbitante di dirigenti, ma restiamo una delle burocrazie più lente in assoluta. La situazione è allarmante”.

E, in caso di nuovi ingressi, risuonerà l’allarme anche nei corridoi della Corte dei Conti, che in sede di parifica ha evidenziato come “il numero dei dirigenti regionali siciliani è oltre un terzo (37%) di tutti i dirigenti” delle Regioni d’Italia e “come la consistenza numerica dei dipendenti di ruolo della Regione siciliana rappresenti quasi un quarto (23,5%) dell’ammontare complessivo del personale di tutte le Regioni”. Insomma, là dentro sono in troppi. Ma ne cercano altri. Viva i concorsi.