Nessuno, o comunque in pochi, s’è accorto del lampadario. Di una bruttezza che grida vendetta contro se stessa. Uno di quei lampadari a grandi foglie cascanti, finta madreperla, come usava negli anni Ottanta-Novanta quando Ikea non era ancora arrivata ad ammodernare, stilizzando, cotanta barbarie. Nessuno, o comunque in pochi, s’è accorto dell’orologio, truciolato effetto legno- antico-simil-country – e per giunta in disuso o comunque sprovvisto di batteria visto che tra le lancette c’è anche appeso un gagliardetto non meglio identificato.

Rassegniamoci. Nel magico mondo del virtuale – nel quale perfino gli smartphone scandiscono quante ore al giorno viviamo e ce ne comunicano la media settimanale come a rammentarcene la posologia – non c’è spazio per il dettaglio, non c’è vita per le nuances, non c’è occhio per i campi. Vince solo il piano, meglio se primo piano. E capita così che un Santo Stefano sonnacchioso come tanti della nostra vita sia ravvivato proprio da un primo piano che scatena l’ennesima querelle intorno a Matteo Salvini, quella che gli annali ricorderanno come “della Nutella”. Tutto parte da lì, ovviamente, da facebook, dal solito selfie privato, domestico, familista, due-camere-e-cucina e proprio in quest’ultimo ambientato. L’iconografia è mangereccia, tanto per restare in tema con le feste natalizie e per sfatare forse la leggenda che vuole i lumbàrd ingollare, in queste giornate, soltanto panetùn. Ordunque, Salvini si selfizza mentre addenta pane (dice lui, in realtà sembra una fetta biscottata ma il pane fa più atmosfera casereccia) spalmato con la mitologica crema di nocciole della benemerita famiglia Ferrero.

Una fetta biscottata, due cazzuolate di Nutella e la faccia rubiconda del ministro dell’Interno nonché vicepremier innescano la polemica. Che si sdoppia in chi condanna lo scarso senso dello Stato di Salvini (poche ore prima è stato ucciso il fratello di un collaboratore di giustizia sotto protezione del suo stesso ministero e i catanesi hanno ballato l’Etna twist non senza conseguenze per nulla edonistiche) e in chi appunta la propria critica sul sottile distinguo socioculturalantropologico tra pane, fetta biscottata, pancarrè (per tacere del mesto apparato scenografico sullo sfondo di cui s’è scritto).

Lungi dall’occuparsi di tali quisquilie, Salvini si gode, ancora una volta, una pubblicità tutta di ritorno, una popolarità di rinculo, acchiappa il boomerang di una malmostosità diffusa con la certezza di poterlo rilanciare per accrescere la simpatia già accreditata presso i suoi sodali e magari sgraffignare qualche sparuto punto tra le frange meno coriacee dei suoi denigratori.

Sembra davvero studiata a tavolino questa campagna di gaffe social una dietro l’altra. I brindisi, le comparsate sul balcone, i gesti di vittoria e i batticinque sugli scranni del Senato, le lattine di Fanta sulle austere scrivanie dei ministeri, la spavalderia con la quale si irride agli altri poteri dello Stato, sono tutte forti demitizzazioni della politica, del suo ruolo, dei suoi rappresentanti, come dire “vedete? non siamo così diversi da voi, anzi, siamo come voi, ci scravattiamo, ci ingiubbottiamo, pure noi siamo la gggente”.

E dal momento che il cibo, la tavola fanno breccia nel cuore della “gggente”, se Di Maio fa sapere twittando che il 26 ha mangiato “come tutti” gli avanzi del pranzo natalizio (nonostante sia stata abolita la povertà-povertà-povertà), il “capitano” Salvini si accredita “uno di noi” tra Nutella, pizza salamino piccante e cipolla condivisa con il figlio, cioccolata calda, tiramisù, tortellini e ragù Star del supermercato come comfort-food in una serata in solitudine. “Più mi attaccano più mi danno forza”, chiosa. E i sondaggi – finora – sembrano dargli ragione.

Perfino quando la storia con la fidanzata del mezzodì in Rai è finita ha tenuto ad attestarsi come un “moroso” qualunque, recitando la parte del maschio scaricato anche per l’ambizione di lei che aveva “altre priorità”. ’Ste donne…