La storia dell’U.S. Città di Palermo è terminata ufficialmente lo scorso primo agosto, quando la Polizia Municipale, raccogliendo l’invito del sindaco della città, Leoluca Orlando, si è presentata allo stadio “Renzo Barbera” e ha sfrattato il club che Walter e Salvatore Tuttolomondo, accolti come i salvatori della patria, avevano fatto sprofondare negli inferi. Dai playoff di Serie B alla radiazione. Rosanero falliti, di nuovo (l’ultima volta era successo nell’87). Dopo essere passati da vari step che hanno messo a dura prova la fiducia dei tifosi e hanno raso al suolo anni di storia pregiata: una finale di Coppa Italia, la partecipazione alle coppe europee, l’esibizione di fior fior di calciatori come Toni, Cavani e Pastore. Ricordi sbiaditi che Zamparini prima, con le sue arcinote vicende giudiziarie (legate a una gestione dissennata), e i suoi successori dopo, hanno consegnato all’oblio.

Dal 4 dicembre 2018, giorno della presentazione di uno strano gruppo inglese a cui l’imprenditore friulano aveva ceduto la società a dieci euro, è successo di tutto nell’universo rosanero: la minaccia incombente di penalizzazioni in classifica, che è stato Dario Mirri – con la prima “sponsorizzazione” da quattro milioni in corso d’opera – a scongiurare; il ritorno in scena di Rino Foschi e Daniela De Angeli, che scelsero di intervenire per rilevare il club da Sport Capital Group e garantire la continuità in attesa di una vera cessione; l’arrivo di Arkus Network, i cui massimi rappresentanti, Salvatore e Walter Tuttolomondo, furono introdotti a Palermo dal giovane banchiere Vincenzo Macaione; fino alla notte fra il 24 e il 25 giugno, l’ultima notte utile per iscriversi al successivo campionato di Serie B. Obiettivo, va da sé, fallito.

E’ stato l’anno più nero della storia del Palermo calcio, che l’attuale posizione in classifica nel campionato di Serie D – badate bene: la quarta serie nazionale – non riesce a cancellare. Ancora troppo vividi i ricordi di una notte trascorsa allo stadio, era inizio estate, da una manciata di tifosi rosanero in attesa del verdetto della Covicoc. L’organo di vigilanza e controllo sui conti delle società professionistiche, fra il 24 e il 25 giugno, decretò che il Palermo non era in possesso dei “criteri economico finanziari previsti per l’ottenimento della licenza nazionale ai fini dell’ammissione al campionato di serie B 2019/20”. Il Palermo, qualche settimana prima, era stato escluso dalla griglia dei playoff, sebbene la sentenza della Corte d’appello della Figc (-20 in classifica) avrebbe permesso al club di evitare la Serie C. Nulla, però, in confronto a quella notte.

I tifosi attesero Walter Tuttolomondo, gringo di carta, fuori dallo stadio per chiedere informazioni. Lui mise in moto la lingua: prima spiegando ai cronisti di non essere affatto preoccupato, poi rivelando che si era trattato di un imprevisto. Il computer di una compagnia assicurativa bulgara, che avrebbe dovuto emettere in tempo utile la fidejussione da 800 mila euro per salvare capra e cavoli, non aveva funzionato. Ma la ratifica da parte del Consiglio federale della Figc, qualche settimana dopo, rivelerà che non solo mancava la fidejussione. Il club non aveva onorato il pagamento degli stipendi ai calciatori e dei debiti sportivi nei confronti di Lega di B e Figc fra cui la sanzione da 500 mila euro per illecito amministrativo.

L’ultimo anno del Palermo è una storia di furfanteria a getto continuo. Il primo senza Maurizio Zamparini (sulla carta). Dopo sette anni di trattative andate a vuoto (nell’ultima occasione aveva respinto l’assalto di Raffaello Follieri, italo-americano di origini foggiane, che si era presentato con 40 milioni per comprare il club), il patron aveva deciso di cedere a una cordata inglese “fantasma”, rappresentata da un advisor milanese, Maurizio Belli. Il 4 dicembre 2018 si presentarono tutti in conferenza stampa, dopo il closing: Zamparini disse che la cessione a un gruppo inglese composto da “persone serie”, era “l’ultimo regalo alla città di Palermo” che gli si era rivoltata contro.

Gli inglesi non escono subito allo scoperto: molti, trattandosi di società quotate in borsa, rimangono nell’anonimato. L’unico personaggio semi-noto, ma sin dall’inizio ai margini, era David Platt, ex centrocampista di Juve e Sampdoria, che non rimetterà mai più piede in città dopo la presentazione e un ricco pranzo a Sferracavallo. Era solo un consulente. Poi c’è Clive Richardson, uomo d’affari non meglio precisato, e i suoi collaboratori più stretti, che in poco tempo mettono ai margini lo storico direttore sportivo, Rino Foschi. Comincia la prima guerra intestina – fatta di colpi bassi sui social network – che l’amministratore delegato Emanuele Facile a stento riesce a placare. Ma gli inglesi, che hanno rilevato il club per dieci euro, non solo non investono un centesimo: ma prima di salutare la compagnia pretendono d’incassare. Gli va male.

A febbraio, dopo appena un paio di mesi, il Palermo comunica che “a seguito delle note difficoltà della Sport Capital Group nel dar corso al progetto di rilancio della U.S. Città di Palermo (…), la gestione è stata affidata a due soggetti di garanzia (il direttore Amministrativo Daniela De Angeli e il direttore dell’Area Tecnica Rino Foschi) che condurranno la Società, con trasparenza e piena indipendenza, nella fase di traghettamento al nuovo investitore”. Molti intravedono in questa mossa il ritorno in incognito di Zamparini, che nel frattempo sconta i domiciliari nella sua tenuta di Cividale del Friuli, in attesa di affrontare un processo a Palermo per falso in bilancio. Daniela De Angeli, che è la storica collaboratrice dell’imprenditore friulano, smentisce. E, come da comunicato, traghetta il Palermo – ma prima si palesa un paio di volte un rischio di penalizzazione in classifica, per il mancato versamento degli stipendi ai calciatori – verso una nuova disavventura: che si materializza a inizio maggio con l’avvento di Arkus Network, un “colosso” del turismo con capitale sociale da un milione di euro. “Un acquirente autorevole e credibile – secondo Rino Foschi – un gruppo molto importante e molto serio dal punto di vista imprenditoriale e finanziario, sia etico che morale”.

Walter Tuttolomondo, in realtà, aveva già condotto al fallimento la finanziaria Fiscom, mentre all’interno dell’organigramma di Arkus compare Stefano Pistilli, un politico vicino agli ambienti dell’ultradestra. In società c’è pure Alessandro Albanese, leader di Confindustria Sicilia, che assume la carica di presidente (più onorario che altro) e dovrebbe essere il garante dell’intera operazione, il facilitatore dei contatti con l’imprenditoria palermitana. I Tuttolomondo promettono un investimento da trenta milioni, pressoché immediato, e poi la Serie A. Si rassegnano all’idea dell’esclusione dai playoff (comminata dalla Corte d’appello federale per l’illecito amministrativo di Zamparini) ma rilanciano, ingaggiando Pasquale Marino come tecnico per la stagione successiva. E’ tutta una pia illusione. Mentre il nuovo direttore generale Fabrizio Lucchesi, che ha preteso l’addio di Foschi, lavora alacremente al mercato, la Covisoc comunica che il Palermo non ha le carte regole. Da lì parte l’ennesima pantomima, coi Tuttolomondo in fuga – per evitare il linciaggio della piazza – che minacciano ricorsi e sovvertono l’ordine del Cda, mettendo fuori dalla porta Albanese e Macaione.

A ottobre, Di fronte al collegio della quarta sezione del tribunale di Palermo, viene aperta la procedura di fallimento dell’U.S. Città di Palermo. Il solito Zamparini, attraverso il figlio Andrea, si era offerto di versare dieci milioni nelle casse della società per ottenere un concordato e, di conseguenza, scampare a un avviso di garanzia sempre più probabile per bancarotta. Ma in piena estate, dopo la ratifica degli organi del calcio, l’Amministrazione comunale aveva pubblicato una manifestazione d’interesse, con alcuni paletti insormontabili, per affidare a qualcuno di serio la nuova società. Se l’era aggiudicata il gruppo Hera Hora di Dario Mirri e Tony Di Piazza, un imprenditore italo-americano con la passione per il calcio. Battuti in extremis il presidente della Samp, e imprenditore cinematografico, Massimo Ferrero, e altre cordate.

Comincia una faticosa risalita, che punta sul marchio e sul rilancio del brand. Che riesce a coinvolgere una fetta importante di tifosi in una campagna abbonamenti da record (superate le 10 mila tessere). Ma è pur sempre la Serie D e la fiammella della passione va tenuta viva. Il Palermo comincia con numeri da record – 10 vittorie nelle prime 10 partite –, mette al sicuro il titolo di campione d’inverno, ma la benzina si esaurisce e il Savoia, secondo in classica, rimonta da -13 a -3. Non è più il campionato in solitaria che la piazza si aspettava e in un certo senso pretendeva. Anche nelle categorie inferiori bisogna versare lacrime e sudore. Palermo, come nessun’altra città che ha vissuto di calcio, dovrebbe saperlo. Anche se dalla polvere ci si può sempre rialzare.