L’Ucraina per immagini. L’altra faccia del racconto di guerra. Mentre noi ci barcameniamo tra libertà condizionate per la pandemia e lo spegnere i condizionatori d’aria per spezzare le reni alla Russia. Come dire, “Delitto e castigo”, ma anche “Guerra e pace”, versione nostrana.

Prima foto. Il presidente dell’Ucraina Zelensky si fa ritrarre seduto su una passatoia decorata distesa sulle scale di marmo, presumibilmente nel suo palazzo a Kiev. Dietro, a schermare la finestra in controluce col drappeggio dei tendaggi, ci sono mucchi di sacchi di sabbia. Per ricordare che l’Ucraina è in guerra. Con la potenza dell’immagine che è “forma per eccellenza”. Rappresentazione della “verità di un momento che contraddice altre verità di altri momenti”, per dirla con Leonardo Sciascia.

Zelensky, il capo pensoso poggiato sulla mano, il braccio piegato sul ginocchio, è colto nell’atto di meditare. Forse sulle sorti del suo sventurato paese. Seduto su quelle scale a metà tra l’empireo del governo e l’eroica resistenza offerta dal popolo ucraino laggiù, fuori dall’uscio. Nelle città, nei villaggi, nei campi di grano, nelle verdi vallate, nelle steppe battute dal vento dell’Est.

Ma nella narrazione forma e contenuto devono stare in equilibrio, ancorate l’una all’altra. Pena lo scivolamento verso il ridicolo. Effetto virato. Luci da set. Per la sceneggiatura della tragedia che purtroppo, quella sì, è vera. Sulla pelle viva dei poveri cristi che abitano l’Ucraina.

A giudicare dai commenti sui social non si direbbe che la foto abbia riscosso consenso. Tranne giornali e politici che, chissà perché, abitano un altro piano della realtà. Gli italiani, già contrari in maggioranza all’invio delle armi in Ucraina, hanno messo a confronto la guerra nuda e cruda, la pietà per le vittime inermi, col formalismo di un set tanto sofisticato da sfiorare il trash. La caricatura della propaganda. Soprattutto dopo che è stata pubblicata anche la foto dei professionisti armati di microfoni, telecamera e macchina fotografica che riprendevano l’eroe della resistenza ucraina seduto sui gradini del palazzo presidenziale. Questa la “cabina di regia”, come si usa dire. Ma si può chiedere a un presidente, ex attore professionista, di rinunciare a una platea mondiale? Officiando dall’altare dello schermo? Che, poi, è il balcone del momento, il palcoscenico della società dello “spettacolo integrato” già intuito dal filosofo Guy Debord, protagonista del Maggio francese.

Così, tra foto e video, Zelensky ha rilasciato un’intervista in esclusiva all’Associated Press, la maggiore agenzia di stampa internazionale in lingua inglese con sede centrale a New York. Fondata nel 1846, l’agenzia americana sul sito si autocertifica come “the most trusted source of fast, accurate, unbiased news in all formats and the essential provider of the technology and services vital to the news business”. Cioé, “la migliore”, ci mancherebbe. L’agenzia ha un potenziale informativo enorme. Raggiunge 1700 giornali e 5000 emittenti radiotelevisive nel mondo. In Italia l’intervista a Zelensky viene ripresa dal Corriere della Sera col titolo: “Cerco pace coi russi nonostante le loro atrocità”.

Il presidente ucraino dichiara di non voler perdere le opportunità per una soluzione diplomatica del conflitto con la Russia anche se “nessuno vuole negoziare con chi ha torturato la mia nazione”. Inoltre Zelensky dice che è “realistico” non prevedere una rapida soluzione della crisi.

Realistico e credibile. Per il continuo crescendo di parole e immagini. Per l’eccesso di guerra guerreggiata in tv. In video collegamento nei parlamenti, nelle istituzioni militari e civili di mezzo mondo, Italia compresa. Per il continuo rilancio di armamenti all’Ucraina e sanzioni alla Russia. Sempre di più, sempre più oltre. Perché “l’Europa siamo noi”. E ancora per la contestazione della via Crucis ideata da Papa Francesco, “mai porteremo la Croce con i russi”.

Putin, che coi suoi trascorsi non sembra proprio tipo da mettere fiori nei propri cannoni, ha risposto a stretto giro di posta. Ha colto l’occasione della conferenza stampa con l’alleato presidente bielorusso Lukashenko per confermare: “Gli ucraini hanno spinto i negoziati in un vicolo cieco. L’operazione militare speciale della Russia in Ucraina andrà avanti finché non ci saranno negoziati accettabili”. “En attendant Godot”, avrebbe detto Beckett nel teatro dell’assurdo del secolo scorso. Godot che non arriva mai. Siamo alla vigile attesa intorno alla pace.

Seconda foto. L’Ansa, la prima agenzia di stampa in Italia, pubblica un lungo articolo dell’inviato in Ucraina sulle “stragi che scioccano il mondo”. Sul bilancio delle vittime civili di Bucha che si aggrava. “Sarebbero 360, compresi almeno 10 bambini, scrive la commissaria per i diritti umani del Parlamento ucraino Lyudmyla Denisova”. A corredo dell’orrore descritto, “eccidio anche a Makariv, una donna sgozzata dopo gli abusi”, l’Ansa pubblica la foto di una strada fangosa con un manichino femminile fatto a pezzi e abbandonato sui bordi.

Che poi uno si domanda se nelle redazioni guardano quello che pubblicano. Perché il contrasto tra parole e immagine è stridente. Con la seconda a contraddire, quasi a irridere, le prime. Per la cronaca, ci hanno messo in giorno per sostituire la foto con quella della presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen in visita a Bucha.

Certo, vengono in mente letture antiche. Antoine de Saint-Exupéry, aviatore, scrittore e giornalista francese, precipitato nel deserto libico e rimasto illeso, col suo “piccolo principe” che appare inaspettato e dice al superstite: “Non bisogna imparare a scrivere, ma a vedere. Scrivere è una conseguenza”. Il monito di Eschilo, il primo dei tragici greci patrimonio della cultura occidentale. “La verità è la prima vittima della guerra” avverte sulla scena il poeta che, nel rievocare la battaglia di Salamina, narra la disfatta dei persiani dalla parte dei vinti. Non poteva immaginare cosa sarebbe successo 2500 anni dopo causa infodemia. Con la menzogna moltiplicata in modo esponenziale dalle tre www della nostra esistenza. E si potrebbe oggi dire della stampa che “è il Word Wide Web, bellezza”.

Non poteva immaginare, Eschilo, l’invenzione della fotografia. Il potenziale dell’immagine a sostegno delle idee. Il suo primato sulla parola. Un’arte in cui gli americani furono subito maestri.

Terza foto. Robert Capa, fotoreporter “embedded” tra le fila delle truppe alleate durante lo sbarco in Sicilia nel luglio del ’43. Nelle campagne siciliane riarse Capa realizzò una delle sue foto più famose, quella del pastore vecchio e malvestito che indica con il bastone la strada a un giovane, aitante soldato americano.

Propaganda per immagini. Perché l’americano in quel momento era il nemico. E invece “sappiamo che sta indicandogli la strada giusta”, puntualizza Sciascia che della fotografia fu un appassionato. E spiega che il pastore nel soldato vede “il paesano, l’amico, il parente ricco comandato dal suo buon presidente a venire in Sicilia a fare una buona e giusta guerra”.