E anche il Balilla
è rimasto a piedi

E ora chi glielo dice ai tifosi e ai velinari che il Balilla non è diventato sottosegretario di Stato? Chi glielo dice che Manlio Messina, meglio conosciuto come il Cavaliere del Suca, non avrà più tutti quei milioni da spendere e spandere per magnificare le bellezze della Sicilia, per lucidare i bilanci di Mediaset e della Gazzetta dello Sport, per piritolleggiare alla Croisette di Cannes, per sfilare sul palcoscenico di ogni festival e di ogni sagra paesana, per spadroneggiare sull’Orchestra sinfonica siciliana, per scegliere quali produttori cinematografici finanziare tra i tanti che arrivano in Sicilia con il cappello in mano? Il balilla del Turismo è rimasto a piedi. L’hanno fatto onorevole e nulla più. Dovrà contentarsi di portare la borsa al ministro Francesco Lollobrigida, suo vecchio amico e gran protettore...

Che brutta eredità
per Renato Schifani

Il presidente della Regione, Renato Schifani, fa notare con garbo e signorilità che il bando per reclutare dirigenti in pensione da assegnare al Pnrr non porta la sua firma ma quella del suo predecessore. Il flop – solo nove adesioni – dunque non gli appartiene. E da ascrivere alla lista di scandali e disastri che Nello Musumeci, promosso da Giorgia Meloni a ministro della Repubblica, ha lasciato in eredità al nuovo inquilino di Palazzo d’Orleans. Una lista lunga e funesta. Basta pensare alla voragine dei conti e agli imbrogli del bilancio per i quali i magistrati della Corte dei Conti si sono messi le mani ai capelli. Riuscirà il governo che verrà a tirare la Sicilia fuori dal baratro? Sarà un’impresa titanica. Aggravata dal fatto che il padre di tutti..

Governo garantista?
Avevamo scherzato

La politica è fatta così. Basta una settimana e tutto si rovescia. Entriamo negli ingranaggi della giustizia. Fino al giorno delle dichiarazioni programmatiche sembrava che stesse per aprirsi una nuova era. Nell’aula del Senato Giorgia Meloni stroncava con furore i labirintici teoremi di Roberto Scarpinato, ex procuratore generale di Palermo e ora senatore del M5s, il partito che raduna i giustizialisti di Conte e Travaglio. Non solo. Sempre quel giorno gli sguardi erano puntati sul garantismo di Carlo Nordio, nuovo ministro Guardasigilli. Ma in un un batter d’occhi il quadro si è ribaltato. Oggi il governo dovrà decidere sull’ergastolo ostativo e Palazzo Chigi fa sapere che l’orientamento è quello di negare, ai boss che non collaborano, i benefici di legge. Costretta a scegliere tra Nordio e Scarpinato, Giorgia sceglierà Scarpinato...

La nobile decadenza
di Palazzo d’Orleans

Il presidente Renato Schifani aveva immaginato di trasformare Palazzo d’Orleans, con i suoi stucchi e la sua storia, in una nobile residenza per anziani. Voleva chiamare a raccolta i dirigenti in pensione e i magistrati in quiescenza per assicurare alla Regione efficienza e legalità. Non sembra però che la luminosa idea abbia incontrato un grande successo: il bando per richiamare in servizio i riservisti da destinare ai progetti milionari del Pnrr ha raccolto appena nove adesioni. Un flop. La maestosa Rsa non ha molti ospiti e rischia di rimanere semivuota. Riuscirà la politica a riempirla quanto prima con la competenza degli assessori che Schifani dovrà prima o poi nominare? E’ una speranza. Ma l’indifferenza con quale i pensionati hanno risposto al bando dice che Palazzo d’Orleans non esercita più il..

La disfatta in Senato
dell’antimafia chiodata

Per l’antimafia chiodata – quella che alimenta la cultura del sospetto, quella che si nutre di trame oscure e regie occulte – è stato un anno da dimenticare. Si era capito già nel corso della campagna elettorale, con i tormenti farseschi di Salvatore Borsellino, il fratello del giudice Paolo, che non sapeva scegliere tra i quattro magistrati candidati al parlamento: chi era il più giustizialista del reame? Ma la disfatta si è materializzata ieri nell’aula del Senato quando Giorgia Meloni ha raso al suolo i teoremi di Roberto Scarpinato, l’inventore di quella boiata pazzesca che fu il processo sulla trattativa tra lo Stato e i boss di Cosa nostra. L’ex procuratore generale di Palermo aveva costruito un labirintico legame tra neofascismo, presidenzialismo, mafia e stragismo. E la Meloni lo ha..

Forza Italia nelle mani
di un “patriota azzurro”

Il primo schiaffo è stata la nomina di Nello Musumeci a ministro della Repubblica. L’ex governatore della Sicilia non ha avuto deleghe di peso ma – a dispetto di Gianfranco Miccichè e di tutti quelli che lo hanno costretto a lasciare Palazzo d’Orleans – avrà il privilegio di guardare il mare da Palazzo Chigi. Il secondo schiaffo ha il volto dell’ex deputata Giusy Bartolozzi, magistrato, meglio conosciuta come la moglie che pignorò lo stipendio al marito Gaetano Armao: dopo la rottura con Berlusconi e un duro scontro con Marta Fascina, affiancherà Carlo Nordio al ministero della Giustizia. Ma il peggio deve ancora venire: Renato Schifani – lo chiamano il “patriota azzurro” perché imposto alla presidenza della Regione da Ignazio La Russa – sta per formare la giunta. Forza Italia avrà almeno la possibilità di una rivincita? No: potrà solo porgere l’altra guancia.

Premiato dalla Meloni
il presidente dei disastri

Succede in Sicilia. Succede solo qui, in questa terra di mezzo, che un Presidente della Regione se ne sta per cinque anni a Palazzo d’Orleans senza varare una sola riforma degna di questo nome. Poi delega tutti i poteri a un cerchio magico che spende e spande forsennatamente senza mai controllare i conti, che trasforma gli assessorati in confraternite per amici parenti e Cefpas, che devasta la Sicilia, che non trattiene le sue arroganze nemmeno di fronte a Santa Romana Chiesa. E succede pure che quel presidente, detronizzato dalla impuntatura di un suo ex alleato, venga risarcito dagli onnipotenti colonnelli di Giorgia Meloni che lo prendono in carico e addirittura lo premiano nominandolo ministro della Repubblica. Non gli assegnano deleghe di peso. Ma intanto lo fanno sedere a Palazzo Chigi...

Non ha ancora finito
di devastare la Sicilia

I lettori di Buttanissima conoscono bene Gaetano Armao, l’uomo politico dei bluff e delle imposture, l’assessore dei bilanci farlocchi, il cucchiaio di tutti gli scandali e di tutte le minestre maleodoranti. Con le sue scempiaggini e le sue piritollagini ha trascinato la Regione oltre il baratro, alle soglie del default. Danni inestimabili, secondo la Corte dei Conti: mancano all’appello un miliardo di euro. Una mazzata sul collo del neo presidente, Renato Schifani, brutalmente azzoppato già prima di partire. Ma come in tutte le tragedie siciliane, il disastro si accompagna sempre alla farsa, all’assurdo, al paradosso. Armao, che per cinque anni è stato il sovrastante dell’inutile Musumeci, il 26 settembre si è subito riciclato ed è diventato il più influente consigliere di Schifani. Ci apparecchierà altre sventure.

Nostalgie del Balilla
“Cairo uber alles”

Chissà quale delusione avranno provato venerdì gli irriducibili velinari e gli intrepidi pagnottisti che, nei giorni della formazione del nuovo governo, hanno tifato perché Giorgia Meloni elevasse al grado di ministro l’ex assessore regionale Manlio Messina, meglio noto come il Balilla del Turismo. Mi associo al loro dolore e alla loro costernazione. Il Balilla – conosciuto anche come il Cavaliere del Suca – avrebbe cambiato l’Italia con un solo decreto. Avrebbe trasformato il Belpaese in un perenne, continuo, vorticoso e inesausto Giro d’Italia. Avrebbe portato alle stelle, senza badare a spese, la Gazzetta dello Sport del suo fraternissimo amico Urbano Cairo. Avrebbe anche risuscitato Bartali e Coppi. Ma non per un malinteso omaggio al tempo che fu. Lui di nostalgie ne ha una sola. Avrebbe tappezzato i muri d’Italia con..

Ma chi crede ancora
in questa Regione?

In meno di un mese Giorgia Meloni ha messo su il governo. Noi, poveri elettori di Sicilia, dopo un mese, non sappiamo ancora chi sono gli eletti all’Assemblea regionale. Sappiamo a stento che Renato Schifani sarà il presidente per i prossimi cinque anni e che non avremo un governo prima di Natale. Qui la politica è avvolta da una coltre di indifferenza. La gente ha sperimentato che la Regione, così com’è, non serve a nulla: è più un intralcio che un aiuto. Forse nemmeno Schifani crede nel potere salvifico dell’istituzione che presiede: se ci credesse avrebbe messo a ferro e fuoco uffici e tribunali per costringere le 48 sezioni elettorali a sciogliere i dubbi e dare alla Sicilia la verità dei numeri. Invece sta lì che aspetta: fa cose, vede..

Gerenza

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