Faraone proprio non gli va giù. “Un secondo dopo l’elezione di Zingaretti alla segreteria nazionale, torneremo a parlare di Sicilia”. La tregua dura fino ai gazebo. Poi le questioni rischiano di tornare sul tavolo. E Antonello Cracolici ci sarà, battagliero come non mai. In realtà non ha mai deposto le armi. Non ha mai smaltito l’esito del congresso regionale. Dal ritiro di Teresa Piccione, il clima nel Partito Democratico è diventato insopportabile. Inutile provare a chiedergli un giudizio sul nuovo corso: “Ma cosa dovrei giudicare? Il nulla. L’unica cosa che ha caratterizzato questa prima parte dell’esperienza di Faraone è l’arroganza con cui si sta gestendo la fase finale del congresso…”.

Molti lamentano l’allestimento di pochi gazebo nel territorio.

“Voteremo in seggi che non sappiamo dove saranno, né se ci saranno. Non verranno allestiti gazebo in alcuni comuni a guida Pd, come se il partito volesse delegittimare la classe dirigente che ha sul territorio. Parlo di città come Capaci, Petralia Sottana, Villabate, Vicari. E a Palermo, due intere circoscrizioni, che fanno insieme 240mila abitanti, potranno votare in una piazzetta sperduta nella zona di via Oreto, che nessuno conosce. Tutto questo perché si vuole impedire la partecipazione e ridurre le possibilità di successo di Zingaretti. Non si era mai vista una furbizia da quattro soldi di questo livello. Cose inaudite”.

Lei aveva lamentato l’assenza di regole certe e non aveva partecipato alla prima fase del congresso, quello dei circoli. Perché?

“Mi sono tirato fuori dal voto fra gli iscritti del Pd, per la prima volta nella mia vita, in segno di protesta contro le regole – inventate – che l’attuale, cosiddetto, segretario regionale e i suoi accoliti avevano deliberato. Era scontato che Zingaretti sarebbe stato della partita”.

Ora ha scelto di sostenerlo in prima persona ed è candidato nelle sue liste. Cosa rappresenta Zingaretti per il nuovo Pd?

“Un’occasione per aprire una fase nuova. Per dialogare con la società e con il sistema politico in una logica di convergenza. E credo che Zingaretti, per il profilo della sua candidatura, segni una discontinuità netta con quanto avvenuto di recente nel partito”.

Tornerete a dialogare con le altre forze di sinistra?

“La questione è avere una visione inclusiva, non saccente, non respingente. Più che aderire a una idea di partito, di recente abbiamo quasi stabilito l’appartenenza a una leadership fideistica. E questo ha prodotto un disastro: siamo partiti dal 40% delle Europee e ci siamo ritrovati, dopo una serie di sconfitte fra Amministrative e Regionali, al 40% nel referendum del “noi contro tutti”. Credevamo fosse lo stesso 40%. Ci sentivamo forti, ma alle ultime Politiche ci siamo accorti che il gigante era di carta”.

Dov’è l’errore?

“Abbiamo adottato la teoria del pop corn. Aspettando che implodessero gli altri. Così, quando saremmo ritornati, potevamo dire agli italiani che si erano sbagliati. Questa mentalità ci ha reso antipatici a milioni di persone e non ci ha fatto capire il Paese. Lo abbiamo sorvolato senza approfondirlo. Per anni abbiamo raccontato solo i successi, nella speranza che il volto positivo dell’Italia nascondesse quello della sofferenza. Era una visione illuminista simile a quella di Berlusconi, che durante la crisi non riusciva a spiegarsi perché i ristoranti fossero pieni. Ma un Paese va letto nella sua complessità, non nelle sue schematizzazioni. Che possono farlo apparire estraneo”.

Eppure, ancora oggi, qualcuno nel Pd sostiene che i governi di sinistra – da Letta a Gentiloni – non siano stati poi così malvagi.

“Nessuno dice che sia tutto da buttare. Ma siamo rimasti distanti da quelle che il Paese indicava come priorità. Prenda il Reddito di Inclusione, varato dai governi di sinistra. Lo abbiamo presentato come un piccolo provvedimento amministrativo, solo perché pensavamo si rivolgesse a una minoranza sparuta del Paese. Come se fosse marginale rispetto all’orientamento e allo stato d’animo dell’Italia. Non abbiamo avuto consapevolezza di uno stato di sofferenza che oggi è molto diffuso. Non solo materiale, ma sostanziale, morale, che investe giovani e famiglie. Una condizione che interroga la politica di continuo”.

Perché Zingaretti sarebbe un corpo estraneo rispetto a questa interpretazione lassista del Pd nei confronti della società?

“Lui è un esempio di successo. Ha vinto, da governatore del Lazio, nello stesso giorno in cui abbiamo perso le Politiche, il 4 marzo. Lo ha fatto con un’alleanza larga, con una visione inclusiva, senza apparire arrogante. Il Pd deve essere un partito amico, non ostile. L’Italia deve ricostruire a partire da questa sobrietà”.

Un giudizio su Martina e Giachetti.

“Martina ha avuto il merito di gestire il momento successivo alle dimissioni di Renzi da segretario. Non sarebbe stato facile per nessuno. La sua candidatura sarebbe risultata più sensata se il congresso si fosse celebrato un anno fa. Adesso è un elemento di confusione. Sembra uno che può regolare il traffico, ma senza una proposta o un’idea di futuro. Giachetti ha una posizione più coerente, anche se non la condivido. Si candida per difendere tout court il modello del Pd e l’azione di governo di Matteo Renzi”.

A proposito di Renzi. E’ stato in Sicilia per la presentazione del suo libro. Crede che non abbia più alcuna parte da recitare sulla scena politica attuale?

“Io lo considero una risorsa per il Paese. L’idea che chi smette di avere un ruolo debba essere cancellato dall’anagrafe mi pare un’idea stalinista. Ma Renzi deve essere consapevole che non rappresenta più la sintesi dei progressisti in Italia. Anzi, la sua idea di sintesi crea ostilità in una larga parte dell’opinione pubblica progressista. Aspettare che passi il tempo per riappropriarsi della scena, non è una soluzione. Mi sembra l’attesa del messia che non arriva mai”.

Tornando al Congresso: la vittoria di Zingaretti potrebbe riaprire la partita anche in Sicilia?

“Io mi auguro, ed è anche questo il senso della battaglia che sto facendo, che si rimetta ordine dentro il Pd, dove ognuno ha diritto di militare con la propria idea e le proprie battaglie politiche. Ma sa che in questo momento c’è l’attuale segretario regionale di Sicilia Futura (Giuseppe Picciolo) candidato a Messina nelle liste di Martina? Fino a qualche giorno fa elogiava il discorso di Musumeci al congresso di Diventerà Bellissima, dicendo che era una prospettiva su cui lavorare. Adesso si candida col Pd. Fra l’altro quella formazione è sempre stata una costola del centrodestra siciliano. Tutto questo non può durare. Ed è opera di uno e uno solo: Davide Faraone”.

Il gruppo all’Ars, anch’esso dilaniato fino a qualche settimana fa, si è ricompattato attorno all’operato – per voi negativo – del governo regionale?

“Quando c’è un terreno di sfida comune, le differenze si attenuano e si tende a far prevalere ciò che unisce rispetto a ciò che divide. Ed è quello che è avvenuto. Diamo la percezione di essere un gruppo unito. Ci sono passaggi in cui emergono attenzioni e sensibilità diverse, ma credo che durante l’approvazione di questa finanziaria il Pd ha tenuto un profilo alto. E’ stata una forza d’opposizione che ha fatto la sua battaglia, una battaglia riformista, e ha contribuito a offrire una soluzione ai lavoratori dei consorzi di bonifica e dei trattoristi, costruendo le condizioni per parlare a un pezzo della società siciliana dei suoi bisogni. L’abbiamo fatto nell’imbarazzante silenzio dei Cinque Stelle”.

Che hanno ritirato fuori il vecchio mantra dei costi della politica. L’Ars costa più della Casa Bianca: hanno ragione?

“I grillini in Sicilia non sanno neanche cosa sono: se vicini a Musumeci, se una forza d’opposizione… Questa condizione d’incertezza li rende silenti. Ora sono tornati alla politica degli scontrini, agli orari, a quanto tempo dura l’assemblea: quando non sanno che fare buttano la palla in tribuna costruiscono nell’immaginario collettivo dell’anti-politica la loro ragion d’essere”.

Con la Finanziaria appesa a un filo – ossia la spalmatura del disavanzo in trent’anni che solo Roma può concedere – si torna in aula per il Collegato. Altra battaglia strenua?

“L’unica cosa che prevarrà è una marmellata di norme, nelle materie più disparate, che provano in qualche modo a calmierare gli appetiti dei deputati. Per sua natura il “collegato” alla Legge di Stabilità dà attuazione a provvedimenti specifici del programma di governo, che in questo momento però è sub judice per la sua dimensione finanziaria molto grave. In attesa di questa negoziazione con Roma per recuperare risorse e dare copertura alle spese, l’unica idea di “collegato” che mi rimane è quella della marmellata”.

Adesso c’è pure la questione dei vitalizi. La Regione ha scelto di non impugnare la norma contenuta nella Legge di Bilancio, che prevede la riduzione dei trasferimenti qualora non si ottemperi al taglio delle pensioni degli ex deputati regionali. Sul modello del Parlamento italiano.

“E’ l’epilogo della marcia di avvicinamento del governo regionale al governo gialloverde. Spera nel Movimento 5 Stelle per salvare il suo governo dal naufragio. Musumeci subisce il ricatto di Roma per barattare la norma che consente di spalmare i 390 milioni di debito nei prossimi 30 anni. Nel frattempo lascia ai singoli pensionati il compito di opporsi a questa assurda pretesa di ricalcolare i vitalizi che ledono diritti essenziali degli aventi diritto. Pretesa già respinta dall’ufficio legale dell’Ars. Vergogna”.

Musumeci, durante il congresso regionale, ha attaccato alcuni deputati della sua maggioranza. Dicendo che non cederà ai ricatti. Pur nella consapevolezza che la maggioranza non esiste. Come si esce da questo rebus?

“Intanto sarebbe interessante sapere chi sono questi esponenti della maggioranza e su che cosa lo ricattano. Musumeci nega l’esistenza di una maggioranza perché serve a giustificare l’assenza di un’azione di governo. Ma la maggioranza c’è: Sicilia Futura non ha mai fatto venire meno il suo sostegno. Sono 38 deputati su 70. E non mi pare che i 5 Stelle se ne stiano col coltello fra i denti. La situazione politica è la stessa, più o meno, degli ultimi dieci anni”.

Però continua il tira e molla. Una sfuriata dietro l’altra e i numeri non si vedono.

“Musumeci deve chiarire i termini del ricatto subito da questi deputati. Lui stesso sembra ricattarli sventolando l’arma delle dimissioni. Ma mi chiedo: se dopo un anno le cose vanno già in questo modo, fra due o tre si lanceranno le molotov? La separazione è una delle conseguenze del matrimonio. Spesso precede la separazione il tradimento. Ma se uno dei coniugi tradisce durante la luna di miele, questa è una notizia”.