Quella di un deputato regionale che, con senatrice annessa, fa il salto della quaglia e approda alla Lega di Salvini, non è una notizia. Fatti di questa natura ce ne sono stati tanti e altri personaggi fremono davanti all’asticella, pronti a spiccare il volo con una agilità da fare invidia al nostro Tamberi, quello che ha vinto la medaglia d’oro a Tokyo.

Ridotta all’osso, la vicenda è questa: uno che possiede alcune migliaia di voti, li ha ricollocati al borsino del potere regionale, spostandoli da un settore merceologico all’altro, sulla spinta di un prevedibile migliore rendimento. Il rapporto di dare e avere è ben definito: io ti porto il mio patrimonio, con il quale accresci il tuo potere e vedi all’orizzonte la possibilità di fare della Sicilia una colonia della Padania, che non si nomina più per evitare di rinnovare certe memorie e che tuttavia rimane come prevalente sede di interessi che non hanno nulla da spartire con quelli del resto del Paese e con l’Europa e tu mi garantisci la prosecuzione della carriera nelle istituzioni. Tutto semplice. Non esiste in questi casi il fastidioso problema di quello che, un tempo forse enfaticamente, si chiamava progetto, non si inciampa nelle diversità culturali e ideologiche, posto che ancora reggano, tra centro, sinistra e destra, non si pensa neppure per un momento a banali questioni di coerenza e di dignità.

Nulla di nuovo in un mondo che tenta costantemente di togliere senso e valore alle istituzioni repubblicane, riducendole in alcuni casi a luoghi di scambio, a botteghe all’interno delle quali si negoziano piccoli e grandi affari. Adesso non devo fare né l’ingenuo, né il moralista. Non c’è mai stata un’età dell’oro, nel corso della quale tutto avveniva sulla spinta di valori e di ideali. Nei primi due decenni del secolo scorso, con una croce di cavaliere e una rivendita di sale e tabacchi, si diceva che Giolitti conquistasse alla sua maggioranza parecchi parlamentari del Mezzogiorno. E ancora prima dello statista di Dronero, Federico De Roberto, lo riporta su un quotidiano Francesco Merlo, ad uno dei suoi personaggi, casualmente catanese, faceva dire “monarchia o repubblica, religione o ateismo, tutto era questione di tornaconto materiale o morale”. Il protagonista de I Viceré “aveva fatto strada con questo mezzo, affermando e negando le stesse cose”.

Negli anni della prima Repubblica, quella pagina non gloriosa di storia nazionale sembrava chiusa. C’erano guasti e spesso anche notevoli di altra natura. Ma la forza delle ideologie, la rilevanza dei valori, la durezza dello scontro politico, il vissuto, si diceva, erano roba seria e avevano uno spessore tale da non lasciare passare nessuno da una parte all’altra. Gli interessi, elemento del tutto normale nella politica, erano mitigati dall’appartenenza, dall’adesione ad un programma, dall’opinione pubblica che non avrebbe tollerato i transiti e da una sintassi articolata e complessa che non rendeva facile l’abbandono di un linguaggio per un altro.

Il passaggio da Italia Viva alla Lega, dicevamo, non è una vicenda politica, semmai si tratta di un episodio commerciale e di costume. Non del costume dei personaggi che oggi sono agli onori, si fa per dire, della cronaca né a quelli di ieri, né a quelli dei prossimi giorni. Ché a cambiare abiti di scena questi ci mettono meno di Zelig. Il problema riguarda la cosiddetta società civile, quella che segue questi episodi con assoluta indifferenza, se non con condivisione e con ammirazione per quanti sanno curare bene i propri affari, per gli “sperti”.

Ancora di più è o dovrebbe essere un problema per migliaia di persone che cambiano livrea insieme al loro padrone e continuano a servirlo, che accettano di essere trattati alla stregua di quote azionarie da spostare da una società all’altra. Tra i tanti voti che il deputato catanese con senatrice annessa possiede, ci sono quelli di coloro che lucrano, saltando insieme a lui. In una logica di scatole cinesi, attraverso le quali ci si garantisce posti di sindaco, di consigliere e varie altre utilità.

Poi ci sono coloro che non traggono profitto immediato, che sperano di trarlo, un giorno o l’altro, che amano vivere scaldati dal sole del potere. Ma quanto resiste il clientelismo! E intanto seguono. Neppure loro si pongono problemi di coerenza e di dignità. “Francia o Spagna purché si magna”. O si spera di magnare. O si sta semplicemente vicini alla tavola imbandita.

Dopo uno sfogo tra il moralismo e il patetico rimpianto di un tempo che aveva tante pecche ma costringeva a rimanere nel recinto scelto, devo ammettere che la vicenda potrà avere ripercussioni al borsino del potere regionale. Probabilmente a palazzo dei Normanni sarà candidato uno di destra espressione di Salvini piuttosto che di altre forze politiche. Ma a chi può interessare, oltre che ai protagonisti e ai loro più stretti congiunti?

Comunque, andiamo piano con le previsioni. Alle elezioni manca ancora molto e chi lo dice che le quaglie, dopo il recente salto, rimarranno ferme fino all’autunno del 2022? Chi garantisce che la lenta discesa di Salvini non subirà un’accelerazione tale da non rendere più vantaggiosa una collocazione al suo fianco? Il tempo può ancora cambiare e il loro programma politico – quello delle quaglie -, la loro etica, ci perdonerà Aristotele, l’insieme dei loro valori, possono essere così sintetizzati: mittemuni cca’ e gghiemu vidennu.