Non è più “raggiante” e a volerla dire tutta è pure tecnicamente fallita. A Catania, la giustizia ha commissariato l’economia mentre il nuovo sindaco, Salvo Pogliese, studia il modo per evitare il default. Per salvarla occorrono infatti 300 milioni di euro entro novembre che la nuova giunta sta disperatamente cercando. Pogliese ha provato a farsi ricevere a Roma per chiedere una dilazione che permetta alla città di varare un piano di rientro, ha chiesto sostegno all’Anci, insomma un credito di solidarietà per evitare il dissesto e dunque evitare un (altro) commissariamento. L’ultima speranza di questa città è la “proroga”, una manciata di mesi per strappare ancora vita.

«Catania non esiste» mi dice provocatoriamente il professore Salvatore Silvano Nigro, una eminenza della letteratura italiana che a Catania ha insegnato, vissuto, ma oggi lasciato. «Per me Catania è simile alla Palermo del fotografo Enzo Sellerio. Io non vivo a Catania ma a casa mia. Ho scelto Milano e Catania per me non è altro che una villeggiatura campestre». Catania è uscita da altri cinque anni di ennesima ubriacatura retorica. La città si era nuovamente affidata (per la quarta volta) all’ex ministro degli Interni, Enzo Bianco, che a Catania sta come Leoluca Orlando a Palermo, Vincenzo De Luca a Salerno. Sono sindaci sineddoche, uomini che pensano di incarnare tutto e ingoiare perfino un territorio. Come avviene spesso al Sud, qui la politica diventa il filtro degli stregoni, sindaci taumaturghi a cui non si chiede solo l’amministrazione delle casse ma la cura dello spirito. Bianco non ha salvato Catania (ma poteva?) e forse neppure se stesso. Bocciato da sindaco, non gli è rimasto che Facebook dove a volte alza la voce, scrive, fotografa la città allagata dal nubifragio o la scarsa cura del verde pubblico. È tornato a fare l’ex sindaco di strada dopo una vita da sindaco a palazzo.

Nel vuoto politico si è così inserita la procura che guidata da Carmelo Zuccaro – amatissimo da Matteo Salvini e da Luigi Di Maio – ha prima indagato sulle ombre delle ong e in questi giorni ha addirittura disposto il sequestro del giornale La Sicilia dell’editore Mario Ciancio. È la prima volta che un giornale viene commissariato per mafia. Se c’è un primato che Catania può oggi rivendicare nei confronti della “detestata” Palermo, è proprio il protagonismo di questa squadra di magistrati, le indagini che oltrepassano e sono notiziabili anche oltre lo Stretto. Da sempre la magistratura di Catania ha dovuto difendersi dalle accuse di essere “porto delle nebbie”, termine che nell’ambiente giudiziario è quasi una condanna di complicità.

Sebastiano Ardita, oggi procuratore aggiunto a Catania e da pochi giorni eletto membro del Csm, nel suo libro “Catania Bene” (Mondadori) ha ricordato gli anni in cui erano gli stessi uomini di legge a negare la mafia, quella che Giovanni Falcone e Carlo Alberto Dalla Chiesa avevano non solo intuito ma denunciato in lunghe interviste e che hanno portato all’arresto dei cavalieri dell’Apocalisse (così li definiva il giornalista ucciso dalla mafia, Pippo Fava), vale a dire i costruttori e cavalieri del lavoro Costanzo, Rendo, Graci. Nel 1991, la Corte di Cassazione li ha assolti perché, per quella Corte, furono vittime e non complici, costretti insomma a scendere a patti. Nulla, in questo paese, come si vede, è più interpretabile e discutibile quanto il reato di associazione mafiosa.

Catania – e questo sì, va dato atto fu merito di Bianco – è riuscita non solo a tirarsi fuori dai veleni di quegli anni ma a sfidare e superare Palermo. Da città di ingegneri, si è sempre vantata della St Microelectronics, quell’azienda italo francese di semiconduttori elettronici che proprio in Sicilia ha avuto un importane polo al punto da far parlare, e scrivere, di Silicon Valley ma con la granita caffè e panna. Dopo anni di crisi è tornata ad assumere, sta pensando a una nuova sede. E però non basta. Oscar Farinetti ha promesso di aprire proprio a Catania il primo Eataly siciliano, ma manca ancora la data e sono molti a pensare che non si farà. Nel frattempo si sono sgonfiati quei centri commerciali che a inizio degli anni duemila avevano cambiato il paesaggio dell’Etna: plastica e parcheggi avveniristici, fontane e sogni a prezzi da saldo. La grande distribuzione, e sono dati della Filcams Cgil e di Cerfdos, ha perso a Catania 2500 occupati. La maledizione della mafia insegue l’imprenditoria catanese.

Con l’accusa di voto di scambio elettorale politico mafioso è stato arrestato l’ex deputato regionale e sindaco di Aci Catena, Pippo Nicotra, un transumante passato dalla Dc, al Psi, all’Udc al Pd con un passaggio anche nel piccolo partito di Rosario Crocetta. Era considerato il re dei supermercati. L’altra importante impresa di costruzioni e infrastrutture, la Tecnis di Mimmo Costanzo, è stata anch’essa commissariata nel 2015 perché coinvolta nell’inchiesta giudiziaria che ha riguardato l’Anas. Costanzo è stato anche accusato dai magistrati, sempre di Catania, di collusioni con alcuni clan. I dipendenti sono finiti in cassa integrazione. Nel 2017 la società è stata riconsegnata a Costanzo dalla stessa procura che in precedenza l’ha sequestrata. Dopo due anni, la procura ha ritenuto le collusioni infondate. Oggi l’azienda sta lottando per sopravvivere e mantenere i livelli occupazionali. Sono rimaste le rovine.

«E se guardo fuori dal mio balcone mi accorgo che molti negozi hanno chiuso per ferie e non hanno riaperto. Catania è un deserto» mi dice ancora il professore Nigro che trova rifugio (intellettuale) a Palermo presso la casa editrice Sellerio che sta per mandare in stampa il suo “La funesta docilità”, un giallo sull’uccisione di Giuseppe Prina, il ministro delle Finanze del Regno d’Italia massacrato dalla folla inferocita. Fu una morte che segnò la vita di Alessandro Manzoni ma anche di Leonardo Sciascia e che oggi fa riflettere Nigro. «A Catania sono scomparse le librerie e l’unico piacere è trovare le biblioteche vuote. Ormai non ci vanno neppure i docenti». A Catania, anche per colpa della riforma universitaria, non arrivano più i grandi maestri. Dall’università da cui sono passati Dante Isella e Carlo Muscetta, non c’è più traccia.

Nigro dice che La Sicilia non si trova più neppure dal suo barbiere. A Catania si è smesso di leggere su carta. In compenso sono maturate interessanti iniziative editoriali che dimostrano benissimo che il temuto monopolio del gruppo Ciancio è già stato superato dal web. Live Sicilia ha una sua redazione guidata da Antonio Condorelli ed è una piccola ma straordinaria cooperativa intellettuale quella di MeridioNews. «In questa città non manca l’informazione mancano semmai le edicole – continua sempre Nigro che ormai non conta più i cartelli che annunciano le liquidazioni e le cessate attività – Catania è una città ingrata. Ha cancellato la sua memoria. Dove si incontravano Verga, Capuana e De Roberto oggi si vendono indumenti di biancheria intima. Vivo circondato da ippocastani coltivando l’illusione di trovarmi in campagna».

Dalla città che “uccideva con l’ironia” se ne è andato anche quel caratterista che teneva accesa la fiammella che fu di Angelo Musco. Morto, pochi giorni fa, Gilberto Idonea, Catania oggi ricorda la novella di Vitaliano Brancati “La nave del Sonno”. Senza forze e senza progetti si muove aspettando la sera per consegnare alla notte le angosce del giorno.