Già a guardarselo l’Olimpico di Vicenza di Andrea Palladio, il più antico dei teatri coperti in tutto il mondo, è un urto al sangue. A restarsene seduti lì, poi, per farsi attraversare nelle carni da Pino Micol è come far l’amore in tutte le maniere e i modi propri degli Dei.

Micol sta dettando le parole di Marguerite Yourcenar – Memorie di Adriano, Frammenti, regia di Maurizio Scaparro – il buio di un istante decide il sipario e il pubblico si leva in piedi per un applauso che non finisce mai. È tutto un battimani fatto di bravo-bravo! a significare ancora-ancora come quando da un amplesso assoluto se ne vuole ancora e sempre di più.

Un privilegio la prima all’Olimpico, giovedì scorso, di uno spettacolo che rinnova in ogni esecuzione la perfezione del capolavoro di Yourcenar; un testo collaudato da Giorgio Albertazzi – fu il blasone della sua grandezza – e che oggi, con la regia di Scaparro, trova nella phoné di Micol la completezza panica che lo rende ancor più che repertorio, bensì rito.

C’è la re-ligio in questo testo, ovvero l’essenza del legarsi in una catena di strazianti armonie, non ultima quella dell’estremo passo – entriamo nella morte con gli occhi aperti – e poi anche la sostanza della bellezza. Ed è quel numinoso patto che assegna a ognuno, tra gli individui chiamati dal destino, la responsabilità di farsene custodi del bello. E c’è, infine, tutto quello che il mondo tornerà ad avere: l’iniziazione al mistero di Mithra, la divinità solare che mai riposa.

Mithra è il dio nascosto di tutti i templi. È persiano, indiano, ellenistico e romano, dunque universale. È il Grande Re che Adriano, l’imperatore delle armate di Roma, incontra per tramite dei suoi soldati. L’imperatore Adriano – nella compiutezza di Shab-e Yalda, il solstizio nelle nevi di Persia – riconosce Mithra in un’orgia di tauromachia.

Il sacro Toro è colpito al collo dall’officiante presso l’ara. I serpenti suggono il sangue che sgorga dalla ferita dell’animale, uno scorpione ne rosicchia i testicoli, e così il Dio nascosto assume su di sé il cosmo per farne ordine, alleanza e benefica alba dell’eterno. E del vero.

Non c’è verità che non susciti scandalo. Solo per un inciampo – un capriccio della caducità – il mondo è diventato cristiano e non, come stava per decretare Roma imperiale, devoto a Mithra per come reclamavano le armate dei Cesari nel I e II secolo d.C.

Adriano, a Tivoli, scrive una lettera a Marc’Aurelio, il suo successore. Nessun imperatore può caricarsi il peso della storia sotto lo sguardo del proprio medico ma nel rito che Micol officiava giovedì scorso – ieri sera l’ultima replica – il tempo fuori dal teatro cedeva il passo al sontuoso scandalo consumato all’interno del colonnato: tutto ciò che d’importante è stato proclamato nella storia è stato detto in greco. I barbari che hanno poi lordato il nitore della parola di luce – il logos – inevitabilmente dovranno assomigliare ai nostri padri se vorranno accostarsi alla grandezza.

Un vero e proprio evento, le Memorie d’Adriano. Micol che è stato il migliore dei Cyrano, strepitoso nell’allestimento de La Visita della Vecchia signora di Friedrich Dürrenmatt, nelle mani di Scaparro – chiamati entrambi dal direttore dell’Olimpico, Giancarlo Marinelli, un genio – ha dato il meglio di sé al punto che la Yourcenar, richiamata tra i mortali, giovedì sera era seduta lì, in tribuna, col pubblico che non la finiva più di sfinirsi in applausi.