In attesa che quagli la riforma sulla governance dei rifiuti – ogni cosa va chiamata col proprio nome: il disegno di legge in discussione all’Ars non servirà a rimuovere la monnezza dalle strade – la Sicilia si è accorta finalmente degli impianti di smaltimento di biogas e biometano, più innovativi rispetto alle discariche e meno impattanti dei termovalorizzatori. Una parola che fa paura solo a pronunciarla e che il ministro dell’Ambiente Sergio Costa, durante la visita a Catania di questa settimana, ha bandito dal vocabolario di Musumeci (che, fra l’altro, non ne è mai stato un sostenitore). Peccato che alcuni tecnici del suo ministero, dopo aver stroncato il piano dei rifiuti scritto lo scorso anno dalla Regione, ne avevano ipotizzato l’introduzione anche nell’Isola: “Ma dopo quella relazione sono rotolate delle teste” ha tagliato corto il ministro, utilizzando un lessico talmente crudo da non lasciare spazio a fraintendimenti.

Messi da parte gli inceneritori, la Sicilia si è interrogata a lungo sulla pratica dello smaltimento. E’ vero che potrà migliorare solo dal momento in cui i siciliani sceglieranno di dedicare più cura e attenzioni alla differenziata, conferendo la spazzatura per tipologia. Ma se nelle Città Metropolitane la percentuale continuerà ad aggirarsi sul 10% (Catania è addirittura sotto) non ci sono molte chance di venirne fuori. Non con le discariche: che inquinano, si riempiono e fanno scattare le emergenze.

Come nel caso di Bellolampo, dove l’esaurimento della sesta vasca e la mancata apertura della settima, ha costretto il comune di Palermo a portare i rifiuti nelle discariche private della Sicilia Orientale, a costi impossibili da sostenere per l’azienda (la Rap) e per il comune medesimo. Ma anche la chiusura dell’impianto Exos di Termini Imerese (problemi di inquinamento) per i prossimi 45 giorni, ha generato il blocco in numerosi comuni: a Misilmeri il livello della differenziata si è abbassato come d’incanto dal 60 al 24% e molti sindaci (anche a Trapani e Siracusa) non sanno più dove abbancare la parte organica dei rifiuti, il cosiddetto umido. Quello che dopo due giorni in casa puzza, e dopo un paio di giorni in strada, invece, diventa un ricettacolo di topi.

Il problema dei rifiuti si affronta terra terra. In cambio dei costi non indifferenti della Tari, i cittadini siciliani, i contribuenti “veri”, si attendono un servizio all’altezza. Ma da parte della politica serve una scelta di visione, anziché rincorrere l’emergenza. Per questo alle porte della Regione, per ottenere le necessarie autorizzazioni, è spuntato l’esercito del biogas. I cui impianti servono a smaltire l’umido. Come illustrato sul sito Balarm.it dal geologo Andrea Di Piazza, si tratta di “enormi silos sigillati, dove la biomassa (cioè gli scarti agricoli, zootecnici, alimentari) viene sottoposta ad un naturale processo di degradazione che separa i volatili (i gas appunto) dalla fase solida (il digestato, che è un ottimo fertilizzante per l’agricoltura) e da una fase liquida. La purificazione del biogas – continua lo studioso nella sua analisi – permette di ottenere il biometano, gas con proprietà simili al metano naturale e dunque utilizzabile sia come carburante che per essere immesso direttamente nella rete nazionale. Lo sfruttamento delle biomasse in sostanza trasforma i rifiuti in risorse, in un’ottica di economia circolare e contribuisce enormemente alla lotta all’emissione in atmosfera di gas climalteranti e alla riduzione dell’inquinamento”.

Detta così sembra un affarone. E a confermare il trend sono i consistenti incentivi statali a favore delle aziende titolari degli impianti. In Sicilia ce n’è uno in modo particolare che attende per l’ok per entro la prossima settimna. Autorizzazioni permettendo, verrà realizzato a Marsala da una ditta piemontese – la Asja Ambiente – la quale ha investito 50 milioni per rilevare una piccola azienda siciliana, la CH4. Che, a propria volta, aveva presentato già un paio di progetti per la realizzazione di impianti di biogas: uno è quello di Marsala, l’altro a Biancavilla, dove i sindaci del posto si sono messi di traverso. La Asja vorrebbe realizzarne anche un altro di impianto: ad Alcamo.

Potrebbe andar bene anche ai cittadini. Il guadagno di queste imprese si materializza prevalentemente ex post, cioè non è legato alle tariffe stipulate coi comuni per il conferimento, quanto alla vendita di biogas e compost, cioè i fertilizzanti per la terra che vengono fuori dalla lavorazione della monnezza. Il governo regionale non ha ancora espresso una posizione netta – la sensazione è che qualcuno preferisca i piccoli impianti di compostaggio, evitando la produzione di energia – ma il processo delle autorizzazioni va avanti. E una delle aziende ad aver fatto strada è la Snam, che attraverso la controllata Snam4Mobility nei mesi scorsi ha investito due milioni per acquistare una piccola azienda siciliana (la Enersi Sicilia srl) che è già in possesso dei requisiti per mettere un impianto di biogas nel Nisseno, dove poter smaltire 36 mila tonnellate di rifiuti l’anno (in quelli della Asja Ambiente ne sono previste da 75 a 80 mila).

Sul mercato siciliano c’è anche A2A, la società che gestisce l’energia nei comuni di Milano e Brescia, che vorrebbe riconvertire la centrale di San Filippo del Mela (nel Messinese), dove sembrava poter sorgere il primo termovalorizzatore dell’Isola (bloccato, però, lo scorso anno). Ora, con un investimento iniziale di 35 milioni, A2A vorrebbe realizzare un impianto di biometano che possa smaltire 75 mila tonnellate di spazzatura l’anno. Anche il colosso privato della Eni, che a Gela ha avviato un progetto pilota nella vecchia raffineria, è interessata e vorrebbe spingersi oltre (ad esempio, fino alla produzione di biodiesel riutilizzando gli scarti di cibo).

In ballo ci sono interessi pubblici e privati. Che finirebbero per indebolire, gioco forza, l’oligopolio delle discariche siciliane che nei giorni scorsi ha fatto litigare in aula anche Fava e Musumeci. I soliti noti che alzano le tariffe a proprio piacimento, arricchendosi sulle spalle di enti locali e cittadini, ma a cui la Regione continua a concedere benefici (l’autorizzazione Via Vas è stata rinnovata alla discarica dei Proto, a Misterbianco, per i prossimi dieci anni). La Sicilia, insomma può guardare avanti anche in tema di rifiuti. Tra sé e il futuro ci sono un po’ di carte e documenti da timbrare. Ma ora che il progetto è noto, anche la burocrazia farà il possibile per agevolarlo?