“Va bene dare un respiro più ampio alla propria azione politica, ma un sindaco non deve dimenticare innanzi tutto di essere amministratore”. Parola di chi il sindaco avrebbe voluto farlo per ben due volte, ma in entrambe le occasioni si è ritrovato nel tritacarne di Leoluca Orlando. Fabrizio Ferrandelli oggi è candidato alle elezioni Europee con +Europa, ma non ha mai perso il filo del discorso che lo lega a palazzo delle Aquile, dove è il leader dell’opposizione.

Orlando, che sindaco lo è già, ogni giorno s’inventa un diversivo. Particolarmente di tendenza è la battaglia, soprattutto social, con Matteo Salvini. Il “professore” ne è quasi ossessionato. Dopo averlo sfidato sul terreno infido del decreto sicurezza, adesso ha scritto a tutti i sindaci italiani, invitandoli a “diventare partigiani della Costituzione”. Perché, secondo il professore, “le recenti direttive emesse” da Salvini “rappresentano la trasposizione, ancorché non legislativa, di posizioni che tentano di ridurre l’autonomia costituzionale di organi il cui ruolo è, appunto, sancito, garantito e disciplinato dalla Costituzione: le forze armate da un lato, i comuni dall’altro”. “E’ vero – conferma Ferrandelli – bisogna sempre stare attenti alla propaganda, richiamare i valori costituzionali, immaginare un fronte largo in cui riscoprire le battaglie che ci hanno reso liberi. Ed è legittimo per i sindaci occupare questo spazio. Più che in Orlando, però, mi rivedo in Pizzarotti”.

E’ il capolista di +Europa, come Lei, nella circoscrizione Nord-Est. E’ normale essere in sintonia.

“Gli ho chiesto anch’io di candidarsi per testimoniare l’impegno di una rete di sindaci che non hanno un partito e vogliono costituirlo insieme. Questa generazione, d’altronde, è post ideologica e orfana di un’appartenenza vera e propria. Quando, però, Pizzarotti ha scelto di candidarsi, ha lanciato un messaggio ai suoi concittadini, dicendo che resterà comunque sindaco di Parma”.

Fabrizio Ferrandelli

Per Orlando il problema non s’è posto. Non è neanche candidato alle Europee.

“Tra essere e fare il sindaco c’è una bella differenza. Quando si è primo cittadino, bisogna proporzionare gli impegni e dare priorità alle questioni amministrative. E soltanto dopo muoversi all’interno di una cornice di valori in cui tutti possiamo convergere. Lei crede che io non avverta il richiamo ai valori della costituzione, l’importanza delle libertà democratiche, e la difesa dei diritti come principi fondamentali? Ma chi è sindaco di una città complicata come Palermo non può farne un’attività prevalente, perché stride col vissuto quotidiano dei cittadini e torna indietro come un boomerang”.

Crede che questa strenua opposizione al Ministro dell’Interno stia portando Orlando a inimicarsi più gente di quanta se ne faccia amica?

“Che vive in una città sporca, piena di traffico, coi servizi che non funzionano, con 200 milioni di spesa comunitaria che tornano indietro, rischia di non provare più simpatia per un sindaco che ha l’esposizione mediatica come obiettivo primario. Se, glielo ripeto, a sostenere questa battaglia fosse il sindaco di un comune virtuoso e di una città ben gestita, come Pizzarotti a Parma e Sala a Milano, sarebbe diverso”.

Quindi è il solito discorso: Orlando avrebbe poca voglia di fare il sindaco.

“Lui ha già provato a evolversi politicamente, diventando europarlamentare, o portavoce nazionale di Italia dei Valori, cercando di andare incontro – ma senza riuscirci – alla sua naturale vocazione: fare il ministro. Oggi vive la sua dimensione da sindaco non come l’opportunità di restituire un grande patrimonio di relazioni e di esperienza, ma come un ripiego, come l’ultimo e l’unico predellino politico che si è ritagliato. E’ come se volesse fare altro, ma per poter esistere – ancora – in politica non poteva che tornare a fare il sindaco perché gli altri spazi di rilievo gli sono stati preclusi”.

Cosa pensa dell’ultimo tentativo di screditare Salvini? Attraverso l’Anci Sicilia, di cui è presidente, ha inviato un messaggio a tutti i sindaci italiani per diventare partigiani della Carta Costituzionale.

“Credo che utilizzi anche l’Anci in maniera strumentale. Mi piacerebbe che lo facesse per creare un coordinamento tra comuni siciliani e, magari, ottimizzare l’utilizzo dei fondi comunitari dato che siamo l’ultima regione in Europa per capacità di spesa. Invece lo fa in maniera pretestuosa e segue un clichè”.

Quale?

“In politica crearsi un nemico paga. Lui ha sempre mirato al bersaglio più grosso. Lo diceva anche a me: meta dell’operazione politica è il fare, l’altra metà è il disfare. Più forte è il nemico, più forte è il posizionamento dell’ “anti”. Che lui stia tentando di agire in questo senso, è sin troppo chiaro agli addetti ai lavori, ma anche ai cittadini. Sposta l’attenzione dai problemi reali e tenta di accrescere la propria visibilità. Una volta ci riusciva pure: l’Orlando degli anni ’80 che si schierava contro Andreotti era più credibile”.

Perché?

“Era espressione di una società civile fresca e giovane che imprimeva un ritmo e un’energia diversi alla gestione della cosa pubblica. Oggi, invece, si è circondato della vecchia classe dirigente, come se la città fosse rimasta cristallizzata nel tempo, lasciando fuori le forze del cambiamento. Ma il palermitano medio l’ha “sgamato”. Che utilizzi l’Anci come grancassa per arrivare alla politica nazionale è chiaro”.

Ci vede un potenziale rischio?

“Sì. Il rischio è che se qualcuno prova antipatia per Orlando finisca per consegnarsi, pur pensandola diversamente, alle forze populiste. Lui ha questa voglia innata di rappresentare l’anti-qualcuno, ma per la sua scarsa credibilità di amministratore finisce per rendere simpatici gli altri. Le fasce popolari, ma anche un pezzo della media borghesia, guarda ai Cinque Stelle e a Salvini con sempre maggiore curiosità”.

Poi c’è questa polemica rovente fatta attorno al 25 aprile. Salvini l’ha definito un derby tra comunisti e antifascisti, Orlando ci ha ricamato sopra la nuova carta dei partigiani.

“Se io fossi stato sindaco al posto di Orlando, dopo un saluto istituzionale al Giardino Inglese assieme all’Anpi e all’esercito, il resto della mia giornata l’avrei trascorso in giro per la città, a risolvere problemi. Ce ne sono tanti: l’illuminazione, i rifiuti, la mobilità. Visto che parliamo tanto di Costituzione, l’articolo 1 recita che l’Italia è una repubblica fondata sul lavoro. Ma la nostra è una città che, grazie alla paralisi amministrativa, non consente agli esercizi commerciali di mettersi in regola, ai cittadini di chiedere un suolo pubblico, alle imprese di posizionare un carrabile per dei lavori di ristrutturazione. I tempi per le licenze sono impossibili. Se siamo davvero per la Costituzione cominciamo a garantire i diritti costituzionali come il diritto all’impresa. Chiunque si sia imbattuto allo sportello unico per le attività produttive, avrà capito quanto il comune di Palermo sia nemico di chi vuole creare lavoro e produrre ricchezza. Gli imprenditori scappano per non sbattere sulla burocrazia”.

Ma all’insediamento della nuova giunta è seguito un cambio di passo?

“C’è stata un’annacata. Ogni volta che si cambiano gli interlocutori, qualcosa accade: gli uffici hanno la sensazione di essere coinvolti, i dirigenti vengono richiamati. Ma io sono convinto che si tratti solo di un’annacata perché non è cambiata la visione amministrativa. Io immagino Palermo come una città moderna che guarda gli investimenti, alle opportunità garantite dai fondi europei, alla creazione di lavoro, in cui il Comune sia soltanto un organismo di organizzazione e controllo e il resto sia fatto dalle imprese. Orlando, invece, è il classico sindaco “statalista”, il quale crede che mamma-Comune deve farsi carico di tutto. Così non funziona. E gli assessori vagano a vuoto”.

Però c’è una maggioranza più coesa, in cui tutti i partiti sembrano coinvolti.

“Infatti, c’è una co-gestione dei problemi. Tutte le forze politiche che lo hanno sostenuto ci mettono la faccia, ma non c’è un cambio di passo. Mi creda, io dall’opposizione non gioco a fare il Pierino, a segnalare gli errori e dire che si doveva fare in un altro modo. Una mano proverò sempre a darla, pungendoli nell’orgoglio. Perché bisogna pensare anche a chi verrà dopo. Palermo non è di questa amministrazione comunale, è dei palermitani”.