Favori e clientele all’ordine del giorno. Così fan tutti. Ma la politica siciliana è sprofondata, ancora, in una torbida questione morale. Sono sedici i deputati regionali attualmente sotto indagine: tredici appartengono alla maggioranza di governo. E persino la squadra di Nello Musumeci non gode di buona salute: sono quattro gli indagati. Anche se a fare più danno di tutti, stando agli ultimi filoni d’inchiesta, sono gli ex deputati: da Giovanni Lo Sciuto, di Forza Italia, che secondo la procura avrebbe creato una superloggia con cui indirizzare nomine e incarichi; a Paolo Ruggirello, che si sarebbe avvalso dei voti della mafia (addirittura) per essere rieletto – senza fortuna – a palazzo dei Normanni. Molti sono rimasti fuori dalle istituzioni e dentro i palazzi di giustizia. Parecchi, invece, giocano su entrambi i tavoli.

Capitolo giunta: secondo Musumeci “diventerà bellissima”. Ma il governatore non ha ancora detto una parola sulle questioni che ammorbano il suo esecutivo. Il primo a finire sotto inchiesta, lo scorso novembre, fu l’assessore alle Attività Produttive, Mimmo Turano. L’esponente dell’Udc è stato raggiunto da un avviso di garanzia in cui gli si contestano corruzione e abuso d’ufficio nell’ambito dell’inchiesta che ha portato ai domiciliari l’ingegnere capo del Genio civile di Trapani. A gennaio tocca a Marco Falcone, assessore alle Infrastrutture di Forza Italia, che secondo i giudici avrebbe ricevuto pressioni dal capogruppo del suo stesso partito, Giuseppe Milazzo (anch’egli indagato), per sostituire alla guida dello Iacp di Palermo Calogero Belingheri. Marzo è il mese di Toto Cordaro, rimasto invischiato nel voto di scambio su cui indaga la procura di Termini Imerese: avrebbe offerto un posto di corriere in cambio di sostegno elettorale al futuro sindaco termitano, Francesco Giunta. A nulla, fin qui, è valso il tentativo di discolparsi (“Leggendo le carte mi viene il dubbio che il Cordaro di cui si parla non sono io” aveva detto l’assessore a Territorio e Ambiente). Ultimo della lista Roberto Lagalla, coinvolto nell’operazione Artemisia di Castelvetrano: avrebbe fatto ottenere una borsa di studio alla figlia del medico che garantiva a Lo Sciuto (factotum della superloggia) la gestione di un discreto numero di pensioni di invalidità.

E questo è solo il capitolo degli assessori. I casi più spinosi riguardano alcuni parlamentari. Pippo Gennuso, eletto con i Popolari e Autonomisti, si trova da più di un anno agli arresti domiciliari: la custodia cautelare è scattata su richiesta della procura di Roma dopo che Gennuso, con la compiacenza di un giudice pagato lautamente, riuscì a far ripetere il voto regionale a Rosolini (soltanto lì) e avere la meglio su Pippo Gianni, attuale sindaco di Priolo, ottenendo quindi l’elezione all’Ars (anno 2012); e poi c’è Stefano Pellegrino, indagato per corruzione elettorale: secondo la procura di Trapani avrebbe recapitato pacchi della spesa in cambio di voti. Anche Alessandro Aricò, di Diventerà Bellissima, avrebbe promesso un posto da tirocinante in una clinica medica (a 500 euro al mese) in cambio di sostegno elettorale. E per questo è fra i 96 indagati di Termini. Di recente anche Riccardo Savona è finito nel mirino dei giudici per aver agevolato la sua base elettorale con l’arrivo di cospicui finanziamenti destinati alla formazione. Ce ne sono molti altri, meno recenti. Come Luigi Genovese, figlio di Francantonio, che fece il boom delle preferenze alle ultime Regionali, ma che fu subito indagato per riciclaggio dopo la sua elezione.

Tra i non rieletti c’è anche Francesco Cascio, ex presidente dell’Ars nelle grazie di Forza Italia prima e di Alfano poi, che avrebbe spifferato a Lo Sciuto dell’inchiesta a suo carico e che adesso si trova ai domiciliari per favoreggiamento. Ci sarebbe pure Totò Cuffaro, che ha scontato a Rebibbia la sua pena per favoreggiamento e ora la procura di Termini Imerese ha messo nel mirino per voto di scambio. Tutte accusa da dimostrare, chiaramente. Ma la politica siciliana, una volta di più, non può dirsi intaccata: “Ciò che preoccupa è il modo impunito con cui pezzi del sistema politico – ha spiegato Claudio Fava, presidente della commissione regionale Antimafia, alla luce degli ultimi fatti – si erano messi al servizio di un disegno criminale disposto a corrompere tutti”. Le sponde col malaffare, con le promesse facili, con le pressioni indebite c’è sempre stato e continua ad esserci. Nel silenzio, assordante, dei partiti.