La monnezza ammorba la Sicilia e i suoi governi dal 1999, stagione della prima, vera emergenza. E ha festeggiato vent’anni di lunga militanza sulle nostre strade con l’audizione di Totò Cuffaro in commissione Antimafia. Il presidente Claudio Fava, nell’ambito di un’inchiesta che vorrebbe portare a galla i mille intrecci sul ciclo dei rifiuti, ha fatto un salto indietro nel tempo, ascoltando l’ex governatore (in carica dal 2001 al 2008, prima di essere condannato per favoreggiamento e trasferito a Rebibbia), oggi abile medico in Burundi. Nel corso di una discussione animata, ma rispettosa delle parti, è stato ripercorso – ma non esaurito – il lungo iter che ha portato alla situazione attuale. Nemmeno il governo Musumeci riesce a tamponare un’emergenza che deriva da una percentuale limitata di raccolta differenziata (siamo al 38% circa) e dal progressivo incedere delle discariche, che stabiliscono il prezzo del conferimento a carico dei Comuni e mantengono l’oligopolio di un business ricchissimo, a cui ci si abbevera alla luce del sole.

Chi fa i soldi con la monnezza – Fava, di recente, ha fatto nomi e cognomi: la famiglia Leonardi (discarica di Lentini), la famiglia Proto (discarica di Motta Sant’Anastasia), la famiglia Catanzaro (discarica di Siculiana) – agisce indisturbato nel proprio cono d’ombra, accumulando quattrini e cavalcando l’esaurimento di alcuni impianti (pochi) pubblici come a Bellolampo. Ed esercitando un potere sconfinato sulla pelle dei cittadini che pagano la Tari senza ricevere in cambio un servizio adeguato, ma nemmeno lontanamente sufficiente. Come un cane che si morde la coda. Anche se Cuffaro, nella lunga disamina che ha cercato di far emergere qualche responsabilità dal passato, la sua valutazione l’ha data: “Hanno fatto diventare la Sicilia una pattumiera”. Non li ha mai nominati personalmente, ma il riferimento è ai suoi compagni di governo, che prima sostenevano i termovalorizzatori e poi, migrati in blocco nell’esecutivo di Lombardo, hanno scelto la linea “morbida” delle discariche, dove “si insedia il malaffare” secondo l’ex presidente della Regione.

Tanto vale fermarsi un attimo a riflettere. In Sicilia oggi non esiste un solo inceneritore. La monnezza che resta fuori dai canali della differenziata (ancora il 62%) viene abbancata nelle discariche o negli impianti di compostaggio. Eppure, nel piano dei rifiuti approvato dal governo Cuffaro nel dicembre 2002, in seguito a una precisa direttiva del governo Berlusconi, era prevista la realizzazione di quattro termovalorizzatori. Quel piano, modellato sulle richieste del governo nazionale, viene messo nero su bianco durante l’ultimo governo Capodicasa – siamo a fine anni ’90 – da un consulente della giunta regionale: si chiama Aurelio Angelini, lo stesso che un paio di giorni fa – a capo della commissione Via Vas – ha dato l’ok al nuovo piano rifiuti del governo Musumeci.

Gli impianti di smaltimento si sarebbero dovuti realizzare a Bellolampo, Augusta, Casteltermini e Paternò. Così l’agenzia incaricata dal governo Cuffaro, l’Arra, prepara l’appalto. Ad aggiudicarsi i bandi sono il gruppo Falck e Waste Italia, che controllano rispettivamente quattro società consortili. Ma sul più bello qualcosa si inceppa: i bandi, su cui si erano espressi positivamente il governo italiano e la commissione Europea (lo ha rimarcato Cuffaro durante l’audizione) vengono bocciati dalla Corte di Giustizia, poiché non rispettano alcuni requisiti comunitari. Ma c’è il sospetto, come ha sottolineato Fava in commissione, che le quattro società partecipanti si fossero accordate (con un giro di tangenti vicino ai 38 milioni) per spartirsi equamente il territorio regionale. E senza che a nessuna di loro venisse chiesto il “certificato antimafia”. Dubbi che sollevano un problema di legittimità di cui non si fa carico la Corte di Lussemburgo – ovviamente – la quale si limita all’esigenza di una riscrittura.

Cosa che avviene nel 2008. L’Arra, istituita da Cuffaro, presenta i nuovi bandi, ma la gara nel giugno 2009 va clamorosamente deserta. Anche a causa di condizioni “impossibili” per gli eventuali aggiudicatari, che avrebbero dovuto versare qualcosa come 300 milioni ai vecchi vincitori quale “rimborso per i lavori preliminari” già effettuati. E’ in quel momento che si arena una volta per tutte l’ipotesi di portare in Sicilia un sistema di incenerimento dei rifiuti, e il nuovo governatore Lombardo – che nel frattempo ha vinto le elezioni dopo le dimissioni di Cuffaro – tira quasi un sospiro di sollievo e annuncia misure “meno distruttive” dell’ambiente, oltre che l’ambizione di spingere la differenziata fino al 65%: “È vero, esiste il rischio di un duro contenzioso giudiziario con le aziende “vincitrici” della prima gara – disse all’epoca –. Ma non è vero che procedendo come io mi riprometto, si rischia di perdere altro tempo utile per fronteggiare l’emergenza, o addirittura di perdere tutti i finanziamenti pubblici. Perché, comunque, per costruire i quattro termovalorizzatori previsti ci vorrebbero almeno tre/quattro anni di ulteriore attesa, per cui nel frattempo dovremmo continuare ad andare avanti con le discariche. Il Piano, poi, si può cambiare senza alcun rischio, specie se lo vota l’Ars, che non ha mai votato quello di Cuffaro”.

Fatto sta che nel 2009 si inaugura la grande stagione delle discariche, come ribadisce in una recente audizione all’Antimafia l’ex assessore all’Energia Nicolò Marino, il magistrato che Crocetta fortissimamente volle in giunta nel 2012. E’ nel 2009 che si materializza il boom dei nuovi impianti privati di Siculiana (Agrigento) e Motta Sant’Anastasia (Catania), ma anche quella di Mazzarrà Sant’Andrea, nel Messinese, che oggi è chiusa e la Regione si appresta a bonificare. E’ in questa fase, come suggerisce Cuffaro nella sua audizione, che i privati credono di poter gestire il business a proprio piacimento, e mettono definitivamente le mani sul ciclo dei rifiuti.

Dopo il fallimento del governo Cuffaro, anche Lombardo con la monnezza non ci fa una gran figura. Nel 2010, come il suo predecessore, viene nominato dal governo di Roma commissario straordinario per l’emergenza. E ha mani libere per la creazione “limitata e temporanea, di nuove discariche” o di “ampliamento” di quelle già esistenti “per il periodo strettamente necessario al superamento dell’emergenza”.  Il governatore di Grammichele elabora una legge di riforma degli Ato, che dà vita alle Srr (che oggi la Regione vuole chiudere). Anche se il suo primo assessore all’Energia, Pier Carmelo Russo, non ha del tutto abbandonato l’ipotesi degli inceneritori: “Punteremo sulla termovalorizzazione se sarà strettamente necessario”. Per sua fortuna non si rivela tale. Come si rivela inutile l’elaborazione, nel 2012, di un piano straordinario dei rifiuti privo di efficacia, che non ottiene nemmeno la pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale. L’attività delle discariche, invece, prosegue a pieno ritmo, finché a palazzo d’Orleans arriva il paladino dell’antimafia: Rosario Crocetta.

Uno dei primi atti della sua “rivoluzione” è la nomina in giunta del magistrato Nicolò Marino, cui viene assegnata la delega all’Energia. E mentre sulle strade di mezza Sicilia continua ad accumularsi il fetore della monnezza, Marino intraprende una battaglia campale per la legalità e si scontra a più riprese con Giuseppe Catanzaro, presidente di Confindustria e legatissimo ad Antonello Montante. Il suo nome compare centinaia di volte nell’ordinanza di arresto del Gip di Caltanissetta, prima che l’imprenditore di Serradifalco venisse condannato a 14 anni in primo grado per corruzione. Nella sua audizione con la commissione antimafia, avvenuta a fine ottobre, Marino ipotizza come il mancato affare sui termovalorizzatori potesse essere “contraccambiato” dall’ “ampliamento a dismisura” degli impianti privati con “la concessione di autorizzazioni in palese violazione di legge”.

Che la storia non avesse insegnato nulla nemmeno a Crocetta, Marino lo rivela nel 2014, nel corso di un’intervista a Mario Barresi, quando spiega che Catanzaro (gestore della discarica di Siculiana) è la punta dell’iceberg che cercava di impedire, sotto il profilo giuridico, che la Regione si dotasse di strumenti normativi che le consentissero di fare piattaforme pubbliche. Lui assieme a Montante” che nel frattempo aveva individuato in Marino la sponda di alcuni articoli realizzati dal Fatto Quotidiano contro la sua persona. Ed ebbe modo di dirglielo nel corso di un incontro “urgente” convocato all’hotel Excelsior di Catania, cui era presente anche lo sponsor politico di Montante, il senatore del Pd Beppe Lumia. Sembra l’istantanea che emergerà qualche anno dopo al processo di Caltanissetta. Sempre in quella famosa intervista, il magistrato-politico rivelò che “Crocetta è condizionato dall’ingerenza di esponenti di Confindustria che continuano a garantirsi delle situazioni di vantaggio con il mero biglietto da visita dell’antimafia, privo di sostanza, e con il placet di parti della maggioranza e del Pd” e che “il sistema dei rifiuti in Sicilia è sempre nelle mani delle stesse persone”. La stessa rilevazione fatta da Claudio Fava a Buttanissima, dopo il durissimo scontro in aula con Musumeci nel corso della recente discussione sulla legge dei rifiuti.

Altro che panta rei. I governi passano, ma tutto resta fermo. Anche il governo Musumeci, che da un lato architetta un piano dei rifiuti pieno zeppo di errori (stroncato dal Ministero, ora riparte dalla commissione ambiente all’Ars) e dall’altro si forza di rivoluzionare la governance (per ora si è discusso – e bocciato – un solo articolo della riforma), sembra impantanato. Incapace di reagire. Anzi, di recente, ha concesso un ampliamento di 1,8 milioni di metri di cubi alla discarica privata della Sicula Trasporti, a Lentini, e prorogato di dieci anni la concessione all’impianto dei Proto a Motta. I soliti noti. E potrebbe essere tardiva la mossa di Musumeci che spera di spezzare l’oligopolio attraverso l’individuazione di dieci aree in tutta la Sicilia per realizzare il biogas (l’alternativa più vicina ai termovalorizzatori). Anche in questo ambito, i privati si erano portati avanti e aspettano di concludere a breve l’iter autorizzativo (il primo dovrebbe sorgere ad Alcamo, con Asja Ambiente). E in attesa che si sbrogli questa matassa, che l’Antimafia concluda le audizioni, che Bellolampo riapra, sapete che fine farà la monnezza? Ovvio che lo sapete: sarà ancora lì, a intasare le strade siciliane.