La conosciamo bene la parola “emergenza” in Sicilia. Soprattutto d’estate, quando tutti i problemi, solitamente criticità ataviche che nessun governo si è mai preso la briga di risolvere, detonano insieme. A Villa Sofia, a Palermo, un gruppo di parenti scalmanati ha aggredito un radiologo e un suo assistente, sfondando la vetrata della risonanza magnetica e mettendo a soqquadro un ospedale. Riportando sul tavolo la questione “sicurezza” (è il settimo caso di violenza negli ultimi mesi all’interno degli ospedali palermitani). Sempre a Palermo continuano i problemi legati alla monnezza. Il sindaco Orlando ha fatto rimuovere i cumuli di spazzatura alla vigilia del Festino di Santa Rosalia per questioni di decoro, ma da quel momento i rifiuti non passano più da Bellolampo – ormai satura e archiviata – ma vengono conferiti a Misterbianco, a 200 km di distanza e a costi per nulla esigui. In un impianto, fra l’altro, interessato da inchieste giudiziarie e presunti scambi di mazzette. E rieccola, la questione rifiuti. Non è tutto: la politica sale sul banco degli imputati anche laddove spadroneggia la natura. Un paio di giorni fa Legambiente ha segnato che una delle risorse siciliane per eccellenza, il turismo, rischia di perdere un mare di soldi a causa dell’erosione costiera che sottrae alla Sicilia qualcosa come 5 chilometri quadrati di spiagge l’anno. Un delirio.

La sensazione che intristisce, e che ormai ha tolto ai siciliani persino la capacità di una sana incazzatura, è l’immobilismo degli organi preposti a decidere. A decidere di cambiare le cose. L’Assemblea regionale, che riprenderà le sue funzioni il prossimo 10 settembre (anche se la Commissione Bilancio tornerà a riunirsi il 2), è andata in ferie senza approvare, ad esempio, la riforma sui rifiuti, ormai calendarizzata da mesi. Eppure il governo, prima che i “collegati” ingolfassero una macchina che viaggia lentissima, ha salutato con entusiasmo l’approvazione di altre riforme: sul diritto allo studio, sulla pesca e i marina resort. Roba di cui senti parlare una volta nella vita, se va bene. Non esiste, invece, un piano alternativo – e forse non esisterà mai – per smaltire i rifiuti se non conficcandoli in questi buchi infernali delle discariche, che garantiscono ricchezza solo a chi le gestisce: i privati. Ci si indigna per i termovalorizzatori, ci si esalta per la differenziata (le cui percentuali restano urticanti nei grossi centri), ma non si pensa a un sistema che, specie d’estate, quando le presenze raddoppiano e spesso triplicano, aiutino a evitare il collasso.

Molti comuni hanno dovuto stoppare il conferimento perché discariche e impianti di stoccaggio erano colmi fino all’orlo (sfiorata la crisi sia nel Nisseno che nel Ragusano). Il comune di Palermo, dopo l’esaurimento di Bellolampo (la settima vasca non è ancora stata realizzata), ha deciso di pagare un sacco di soldi per smaltire i rifiuti nella discarica di Misterbianco. Che nel 2009 ha ricevuto una autorizzazione di impatto ambientale (Aia) che risulta tuttora sub judice: Daniele Proto, proprietario della Oikos e dell’impianto di cui sopra, è stato condannato a sei anni in primo grado per aver corrotto un funzionario della Regione addetto al rilascio delle autorizzazioni, tale Gianfranco Cannova, con viaggi e soggiorni in hotel di lusso. Non è ancora dato sapersi – mancano le motivazioni della sentenza – se l’Aia faccia parte delle “ricompense” garantite a Proto, oppure no. Dato che la discarica sorge a 500 metri dal centro abitato di Misterbianco (la legge impone almeno 3 km) il dubbio sorge. Eppure la Regione, nonostante le forti perplessità di Musumeci che si è sempre dichiarato contrario “all’attuale collocazione della discarica” e ha chiesto un approfondimento – quando è ormai troppo tardi – il 9 agosto ha prorogato l’autorizzazione per altri dieci anni. A meno di improbabili passi indietro (nessuno tocchi le lobby dei rifiuti) e nonostante la vibrante protesta di alcuni sindaci e associazioni, la discarica rimarrà lì. E il paese ai suoi piedi, che puzzano di marcio.

Non solo i rifiuti. Anche la sicurezza all’interno degli ospedali non andrebbe derubricata a singoli episodi. No. E’ una piaga profonda. A Villa Sofia – che riceve i pazienti di alcuni quartieri “offlimits” come lo Zen – l’ultimo accadimento: i parenti di un paziente colto apparentemente da un ictus, alcuni dei quali pregiudicati, vanno in escandescenza, aggrediscono due medici e fanno irruzione nel reparto, danneggiando la porta di vetro della risonanza magnetica. Il ministro Grillo denuncia il far west, ma sa benissimo che una legge anti-violenza fatta approvare al Parlamento costituirebbe un deterrente. Ma sa bene, allo stesso tempo, che il tempo degli annunci è finito. L’assessore Razza prova a smarcarsi dalla polemica, che in realtà potrebbe montare molto in fretta. Il responsabile del Trauma Center di Villa Sofia, infatti, fa sapere che “abbiamo bisogno che venga rimesso il posto fisso delle forze dell’ordine (sparito cinque anni fa quello dei carabinieri), oltre alle telecamere negli spazi comuni e una serie di campanelli per far scattare gli allarmi in caso di pericolo”. Anche i sindacati rivendicano degli interventi promessi e mai portati a compimento: “Al di là dell’impunibilità di questi personaggi – ha detto Pucci Bonsignore, del sindacato dei medici – resta il problema della sicurezza negli ospedali, dove il personale è sempre in balia dei delinquenti, impossibili da fermare quando arrivano in massa”.

Gli episodi infatti si ripetono: qualche settimana fa, all’ospedale Ingrassia, i familiari di una parente ricoverata in Ostetricia e Ginecologia, hanno cercato di invadere il reparto fuori dall’orario di visita e sono volati calci e pugni nei confronti di due ginecologi. Sempre nello stesso ospedale, a marzo, un cardiologo è stato picchiato dai parenti di una paziente di 80 anni. A metà giugno, un uomo ha aggredito una dottoressa, scagliandole contro una barella, al Cirino di Termini Imerese. Episodi dello stesso tenore anche a Partinico, e in molti pronto soccorso siciliani, dove la pazienza non è da tutti e vincono i “fuori di testa”. Aspettare che si consumi la disgrazia non è una soluzione utile alla politica, che ancora continua a condannare, e blaterare, quando invece dovrebbe garantire un antidoto.

E servirebbero rimedi – qui si cambia fattispecie di “emergenza” – per la salvaguardia e la tutela del litorale costiero. Un altro ambito dove i tempi della politica sono quelli che sono. E le promesse si perdono nelle fauci della burocrazia. Molte spiagge siciliane sono preda dell’erosione che le sta lentamente consumando. Sull’edizione di Repubblica di martedì, è stata pubblicata una foto “prima e dopo” della spiaggia di Capo d’Orlando, nel Messinese, come quella di San Vito Lo Capo. Il mare ha guadagnato terreno. In generale, secondo uno studio del Ministero per l’Ambiente risalente a un paio d’anni fa, il 14% delle coste siciliane è a rischio erosione. Una spiaggia su tre secondo gli ambientalisti (7 km sui 16 di costa nell’Agrigentino). Ma quei pochi progetti finanziati dalla Regione non partono. Il più imponente, dal valore di 35 milioni di euro, è in rampa di lancio: servirà a salvare 80 chilometri di mare fra Tusa e Patti, sul versante ionico. Mentre 19 milioni complessivi serviranno a installare “pennelli” frangiflutti ad Avola, nel Siracusano, e Ispica, in provincia di Ragusa. Interventi che assumono una modesta rilevanza se non saranno accompagnati da importanti opere di ripascimento per il contrasto delle mareggiate. Secondo uno studio del Dipartimento di Idraulica dell’Università di Catania, il piccolo comune di Sant’Alessio Siculo, dal 1967 al 1997, ha perso 95mila metri quadrati di spiaggia, l’equivalente di 114 milioni di euro (calcolando l’indotto del turismo). Mentre la Regione, per questo genere di interventi, ha appena 100 milioni disponibili. Nulla.

Per salvare la Sicilia dall’erosione costiera, più che soldi, servirebbe un miracolo. O si potrebbe pensare di estrarre sabbia dai fondali e – anziché destinarla al paradiso artificiale di Montecarlo (la Regione ha detto “no”) – curare le ferite dell’erosione. Passo dopo passo. E con buona volontà. Sarebbe già qualcosa.