Il fatto che il presidente Musumeci abbia sottoscritto un “Patto di fine legislatura” con un partito d’opposizione (Attiva Sicilia) e non invece con i partiti della sua maggioranza, sempre più marginali nell’azione dell’esecutivo, rischia di diventare un pericoloso precedente. Se non che – risponderanno i più accaniti sostenitori del governatore – un accordo nel centrodestra c’è già e risale a inizio legislatura. Vero, verissimo, persino inutile ricordarlo. Di quell’accordo, però, rimangono pochissime tracce. Il Covid avrebbe imposto una revisione totale, e invece ci si trova di fronte a dichiarazioni spiazzanti – ma nemmeno troppo – come quelle di Gianfranco Micciché a Live Sicilia: “Questa purtroppo non è stata la legislatura delle riforme (…) c’è sempre stato un atteggiamento, non solo da parte dell’opposizione, di guerra e di scontro”.

Il caso vuole che un paio di leggi si siano prematuramente arenate all’Assemblea (Edilizia e Rifiuti), che i vertici del centrodestra siano serviti soltanto a incastrare qualche poltrona (dall’ingresso del leghista Samonà, al tentativo di ri-accogliere Razza), e che l’iter delle riforme sia affidato a uno stringato comunicato stampa di palazzo d’Orleans da cui emerge che “è stato siglato un “Patto di fine legislatura” su precisi punti programmatici che vedono la convergenza tra il governo regionale e il gruppo parlamentare” di Attiva Sicilia. Gli ex grillini, per intenderci, che hanno abbandonato tempo addietro il Movimento 5 Stelle per intraprendere un percorso di responsabilità, pur dai banchi dell’opposizione. I paletti, però, sono venuti meno e oggi si parla, con Musumeci ça va sans dire, di “riforma degli Ipab regionali, della gestione dei rifiuti, dei Consorzi di Bonifica”. Nel ricco menu dell’ultimo anno e mezzo entrano pure “l’abrogazione della sfiducia consiliare ai sindaci, la modifica della normativa sulla gestione dell’acqua pubblica, l’istituzione di un circuito regionale di finanza complementare”. Poi, magari, qualcuno dei deputati uscenti potrebbe ritrovarsi a sostenere Musumeci se verrà dissolto il tetro scenario che, invece, accompagna il percorso del governatore verso il bis.

I compagni di viaggio del presidente continuano a sostenere – alcuni in sordina, altri pubblicamente – che non c’è nulla di garantito. Come nel caso di Micciché, che pure nell’ultimo periodo gli aveva teso la mano: “Dobbiamo fare tesoro dell’esperienza di questa legislatura – ha chiarito, ieri, il commissario regionale di Forza Italia –. Alcune cose vanno regolate”. In realtà i rapporti fra i due non sono mai stati idilliaci: Miccichè ha sempre puntato i riflettori sui cattivi consiglieri del presidente, che avrebbero messo zizzania fra i due. Oltre a denunciare, talvolta in modo forte, l’orientamento di Musumeci a prediligere un’impostazione Catania-centrica del governo regionale. Tra le altre accuse mosse nei suoi confronti, un po’ qui e un po’ là, la scarsa considerazione del parlamento. Che ha avuto un doppio esito: scenico, come nel caso del durissimo scontro con Sammartino di Italia Viva (“Spero che di lei si occupino altri palazzi”); e sostanziale, dal momento che il percorso delle riforme si è bloccato, e la collaborazione delle opposizioni, su Ddl ritenuti esiziali, è venuta meno. Il quadro, inquietante, ha portato a una conseguenza inevitabile: che persino in un periodo delicatissimo come la pandemia, Musumeci non è mai uscito dal mirino. Ancor di più dal giorno dell’inchiesta della procura di Trapani sui dati falsi della sanità.

Nell’intervista più recente, inoltre, Micciché gli ha ribadito che “l’attenzione nei confronti dei partiti è stata abbastanza blanda. Con altri presidenti di regione ricordo riunioni continue per confrontarsi e ascoltare”. Stavolta, o meglio nei primi tre anni e mezzo, non è avvenuto. La stessa accusa di Saverio Romano, qualche tempo fa, ai microfoni di Buttanissima. La sensazione che un leader c’è, e comanda per tutti. Ma è un leader sempre più confinato all’interno del suo ‘cerchio magico’, dove il ritorno di Razza è visto – anche per questo motivo – come necessario. L’ex assessore alla Salute, con tutte le delicatezze del caso, è il “braccio armato” del governatore. “E’ lui il vero presidente della Regione”, ha asserito Cateno De Luca, sindaco di Messina, nel corso dell’ultima diretta Facebook. E’ che quello che media, che mantiene i rapporti coi partiti, che fa politica nel verso senso della parola. Attiva Sicilia è una sua creazione, l’unica che oggi paga dividendi. Non è riuscito, invece, il tentativo di prendersi l’Udc favorendo la ‘scalata’ dei Genovese; idem la federazione con la Lega che, a questo punto della legislatura, avrebbe consegnato a Musumeci una polizza sul bis. Per la verità Razza c’è andato vicinissimo, ma alla fine il presidente e alcuni dirigenti hanno tentennato, non hanno voluto consegnare nelle mani di Salvini un movimento regionalista come Diventerà Bellissima. E adesso sarà la Lega, probabilmente, a decidere il suo destino. Sarà il Carroccio a pronunciare l’ultima parola su chi debba essere il candidato del centrodestra alle prossime Regionali.

E non sarà da sola. Il tandem con gli Autonomisti funziona, e Roberto Di Mauro (vicepresidente dell’Ars), ne ha già dato dimostrazione qualche settimana fa, vanificando uno dei pochi vertici di maggioranza che Musumeci aveva programmato per ratificare – dopo decisioni assunte altrove – il ritorno in giunta del suo delfino. La Lega fin qui è stata buona: non ha messo becco sulle deleghe (è notorio che prima dei Beni culturali, avrebbe voluto l’Agricoltura), ha tollerato i giochetti di una Finanziaria troppo “frastagliata”, ha cercato (senza riuscirci) di dare un imprinting sui temi delle riforme, si è voltata dall’altra parte quando Musumeci ha definito “ipocrita” la politica di Salvini sui rimpatri. E non ha mai digerito che il presidente della Regione abbia snobbato l’invito di convolare a nozze, rivoltogli dall’ex Ministro in persona, e abbia deciso piuttosto di tergiversare, abbandonando il campo da un’uscita secondaria. Tutto questo non ha fatto bene alle dinamiche interne, la fiducia è andata a picco. Dicasi la stessa cosa per Fratelli d’Italia, l’altro partito forte della coalizione, quello più vicino (ideologicamente) al governatore: dopo il rifiuto all’offerta di Stancanelli di federarsi, e l’accenno – poco galante – al “partitino del 2-3%”, sono rimasti soltanto i convenevoli.

I dubbi sono tantissimi. Andare avanti a sostenere questo presidente – è il timore che emerge da conversazioni private tra alcuni big della maggioranza – significa consegnarsi ad altri cinque anni di ‘potere assoluto’, dove i partiti valgono finché valgono: cioè in campagna elettorale e poi, forse, per le nomine di sottogoverno. Stop. Musumeci, che molti non ritengono all’altezza sotto il profilo amministrativo, è uso a delegare. Ma soltanto a pochi adepti: i suoi assessori di fiducia. Da Armao a Falcone. Saranno loro a tenere botta all’evento organizzato a Palermo, l’11 e 12 giugno, per presentare un report del lavoro fatto e buttare giù le basi per il futuro. Inoltre, l’invito ai partiti di uscire allo scoperto (“Io ricandidato? Se qualcuno avesse avuto dei dubbi, si sarebbe già tirato fuori dal governo”), a molti è andato di traverso: “Non è un atteggiamento che paga”, ha commentato Miccichè.

Tra i numerosi conti aperti, c’è anche quello con il sindaco di Messina Cateno, De Luca, che ha già preannunciato la sua discesa in campo perché “Musumeci è improponibile”. L’ex parlamentare, esponente di Sicilia Vera, non perde occasione per sminuire le capacità del governatore: “Non capisce niente di amministrazione. Più di quattro libri e quattro convegni non sa fare. Senza Ruggero Razza non vive”. Così sposta l’obiettivo sull’ex assessore e sulla sua recente intervista: “Perché chiede scusa a distanza di due mesi? Perché è pentito? No, perché è ipocrita… Razza, politicamente, è una gran porcheria. Sta solo cercando di rientrare in giunta. Il buon Musumeci, in occasione del mio secondo arresto, ha tuonato che ‘la politica deve arrivare prima dei pubblici ministeri, per evitare che certi personaggi ne facciano parte’. Ora, invece, parla di magistratura-spettacolo solo perché si tratta del suo pupillo”. L’autocandidatura di De Luca, al momento buttata lì come una provocazione, potrebbe raccogliere attorno a sé molta curiosità: a partire da quel Matteo Salvini, su cui Scateno ha un ascendente, e che – ammesso che le dinamiche nazionali a Palermo valgano ancora – ha il diritto di indicare il candidato alla presidenza. Di esprimere l’ultima parola. Musumeci riuscirà a ricucire i cocci, e ripristinare gli equilibri, partendo da tre riforme e un caminetto con gli ex grillini?