Sissi Alfisi

Anche il silenzio
ha una sua violenza

La violenza la vediamo ovunque: irruenta, improvvisa, sussultoria. Si è già detto tanto anche sulle “azioni violente”, sull’”agire violento”; sappiamo anche quanto sia bruciante quella violenza del “NON agire”, quella violenza del “non fare” del “non affrontare”. E quanto bruci quel silenzio, quel logorio che consuma, che trova spesso nei rapporti umani di qualsivoglia natura il proprio pasto prelibato. C’è però un’altra forma di violenza che è talmente sottile che non si avverte subito se non quando i tuoi argini sono già emarginati. E’ la violenza del silenzio. Ancora più odiosa per chi come noi, animali dotati di parola, (alcuni di gran lunga più dotati), prova disagio al cospetto della voragine che si crea fra due interlocutori al momento del silenzio. Lo colmiamo in ogni modo; c’è chi ha bisogno..

Quella musica al bar
che ripara dalla pioggia

Suonavano in un bar. Il bar aveva vicino tre ospedali. Passavano le ambulanze ma noi eravamo chiusi lì, dentro al bar, come quando fuori piove e ti ripari dalla pioggia. La pioggia della realtà, della vita. Perché la realtà ti piove addosso. E ti salvi ascoltando la musica. E grazie sempre a chi ci "apre un ombrello" quando piove e ci offre la musica da ascoltare. Perché piove sempre nella vita e importante è trovare sempre un ombrello che, almeno per un po’, ti faccia sentire al riparo. La musica ti “ripara”. Ripara ciò che in te si è spezzato e ripara te da ciò che arriva dalla vita. È che abbiamo questo senso del possesso nei confronti della vita che non possediamo neanche un po’. E intanto passava un’altra..

Il ballo in maschera
di noi palermitani

Ho visto giorni fa il servizio che Sky Arte ha fatto sulla mia città: Palermo. Guardavo e sembrava così bella. Più bella di quello che è in realtà; più pulita di come realmente è quotidianamente. E sentivo questo amore del palermitano per la sua cultura, per la “sua” Palermo, per la sua storia. Attaccamenti viscerali, malinconie primordiali. Perché il palermitano ha nel sangue le sue origini, ha il sorriso e l’attaccamento al folklore. Ha nella pancia (e in genere ne ha tanta) l’ospitalità e l’orgoglio siculo. Stronzate. Ci piace dipingerci di bello, ma siamo solo bravi a truccarci dietro le quinte e poi andare in scena. Filmate la prepotenza del palermitano, cogliete l’indifferenza che prova nei confronti dei portatori di handicap quando mette la sua maledetta auto davanti gli scivoli!..

Ogni tristezza
ha un suo perché

La tristezza è subdola e scorretta. Ti investe quando ne hai motivo ma viene a corteggiarti anche quando un motivo non ce l’hai e ti senti in colpa per questo sentirti triste senza ragione. Non hai un “valido motivo”, non si fa. Poi c'è quella tristezza che viene a bussare perché ne hai motivo ma non ti puoi permettere di aprirle; perché non puoi, proprio no. E quando bussa, se non apri e non la lasci entrare, attraversare, fare i suoi giri e andare via, sta lì; sta lì che aspetta paziente. Aspetta che tu molli un attimo e zac! Entra. E a quel punto devi rassegnarti, perché lei deve avvolgerti, passeggiarti dentro, attraversare tutto. C'ha i suoi tempi la tristezza, come il raffreddore. Poi se ne va. Al momento..

La solitudine
dell’essere felici

Non ricominciare di nuovo con questo discorso che Ci hai creati e non sappiamo essere felici, Padre ti prego. Tu lo sai io ti stimo profondamente però sulla felicità che ci hai concesso nutro svariati dubbi.- -Non è la felicità che vi ho concesso figliola, è solo la capacità di raggiungerla che vi è stata concessa ma non riuscite a farne buon uso.- -Padre, dissento. Io la vivo male questa conversazione perché devo ammettere che io per prima l’ho vista sempre come un... sì, insomma, come un tranello.- -Ma cosa dici figliola mia, non hai compreso- -No davvero. Ascolta Padre, sai che c’è, detto fra me e Te? Questa felicità è più impegnativa e dolorosa della tristezza. Non guardarmi così, dico sul serio. La tristezza, quando la provi, sta lì..

Solo un’illusione
di immortalità

E' stato detto tutto. È stato detto tanto. A volte non si sa più che scrivere su ciò che accade. Però io oggi sono stata a pensare a quel ragazzo di soli venti anni che muore e lascia qui una vita sbriciolata e poi sono uscita. E ho trovato una vita che rideva, una vita che brindava, una vita che suonava musica dal vivo. Io non ero né viva né morta. Mi sentivo a metà. Estranea all’una e all’altra. Ma la cosa che più mi angosciava era quel senso di continuità. È qualcosa di innato. Ce l’hanno dato per sopravvivere. È un istinto; qualcuno muore e altri brindano alle loro vite. È assolutamente fisiologico ma io l’ho guardato dall’esterno e ho provato tenerezza. Per noi che restiamo. Per noi che..

Ma di che colore è
la persona di colore?

Mi chiamano persona di colore, ma di che colore sono? Ma perché devo chiamarmi “di colore” per distinguermi da te, se un colore l’hai anche tu!? Tu di che colore sei? Siamo tutti persone di colore o sbaglio? Perché Noi dobbiamo sempre muoverci in punta di piedi...? Tu, uomo di colore bianco, io non ti vedo come un sottoposto perché la tua pelle ha un colore diverso dalla mia. Perché tu mi vedi come un subalterno nella tua società? Perché ti allontani sugli autobus? Dite che non facciamo un buon odore ma vi siete mai annusati voi pellebianca? Dite che siamo aggressivi... ma la nostra giornata non è ordinata e “programmatica” come la vostra sai. La nostra è una giornata che segue istinti e bisogni: mangiare, bere, coprirti se fa..

Abbiamo un’anima
da bonificare

Noi, tutti, dobbiamo bonificarci l’anima. Riprenderci i sorrisi che sapevamo dare. Risanare i pensieri paludosi di cui abbiam piena la testa e rendere nuovamente produttive le nostre idee, rimetterle a coltura! Siamo un popolo ricco di passato e di idee geniali. Noi italiani riusciamo ad essere geniali quando vogliamo. Siamo adatti all'insediamento umano, ci disseminiamo nel mondo e leghiamo con tutto e con tutti. Nelle emergenze riusciamo a darci sino a prosciugarci il cuore. E invece... Ci stiamo mettendo gli uni contro gli altri, in tv, sui social network, al supermercato e in fila alle poste. Una lotta di supremazia continua senza vincitori; scimmie impazzite che si alzano ogni mattina cercando qualcuno a cui dare la colpa per tutto il degrado umano e sociale che contribuiamo a coltivare. Siamo stanchi..

Il viaggio più bello
è quello mai fatto

Le vacanze sono una forma di migrazione. Un ozio autorizzato scevro da sensi di colpa. Hai fatto una valigia piena di mutande e di "non si sa mai" e un altro bagaglio carico di aspettative. Riesci a metterti finanche quel cappellino che non useresti mai, ma sei in vacanza e c’è bisogno di diversità anche nel vestire. Affronti l’attesa al check in dell’aeroporto guardandoti attorno fra emozioni e inquietudini. Tra l’aria condizionata e i sedili in ferro riconosci subito gli apprensivi del volo: fanno qualsiasi cosa, stanno sempre in movimento, sfogliano le riviste al contrario e sorridono. Sorridono a tutto. Nervosissimi. E poi ci sei tu; tu nella tua nuova avventura, studiata e ricamata addosso, immaginata per mesi, desiderata quasi ai limiti dell’ansia. Il viaggio, il viaggio perfetto. Quel pensiero..

Parlare, mangiare,
forse sognare

Dobbiamo parlare; ti va di mangiare qualcosa insieme e parlare un po’? "Sì, volendo sì". Che significa volendo? "Che significa...? Significa che mangiare e parlare... Non so, 'sta cosa che per parlare si debba stare uno di fronte all’altro e ti devi guardare per forza, non so, è claustrofobico". Claustrofobico!? "Sì... meglio guardare un panorama, un orizzonte, si beve qualcosa... e si parla". Ma che c’entra, uno magari vorrebbe anche guardarsi negli occhi no? "Ma sì... ma quando devi dire qualcosa e c'hai voglia ti volti e ti guardi che sarà mai... e intanto uno si guarda un panorama, un orizzonte". Ma così è come se uno parlasse con qualcun altro. Finiremmo per stare zitti, lo so! "Ma no... L’umanità ha detto le cose migliori stando zitta, credimi non ci..

Gerenza

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