Il pacioso Musumeci
si è rivelato aggressivo

Nello Musumeci, nei cinque anni di regno, ha spacciato di sé l’immagine dell’uomo che non aveva altro fine se non il bene della Sicilia, che non mischiava mai la politica con le questioni personali. Voleva apparire saggio, distaccato, persino giudizioso. Ma da quando ha lasciato Palazzo d’Orleans per diventare ministro del Mare senza mare, è venuto fuori il Musumeci dei giochi di potere, delle trame sottotraccia, dei padrinaggi verso i più fedeli tra i fedelissimi: Ruggero Razza, sua eminenza grigia, e Marco Intravaia, suo ex segretario particolare. Ha preteso che i due – direttamente o per interposta consorte – trovassero spazio nella giunta che il nuovo presidente si appresta finalmente a varare. E, pur di scardinare gli equilibri faticosamente raggiunti da Renato Schifani si è travestito da leader nazionale. Senza..

Schifani non cede
ai diktat dei vincitori

Non se l’aspettavano. Padrini romani e confraternite siciliane credevano di avere trovato in Renato Schifani, nuovo presidente della Regione, un ventre molle sul quale ricamare avventate geometrie di potere. Francesco Lollobrigida, il nobile Cognato della Meloni, voleva mantenere il suo protettorato sull’assessorato al Turismo con un nuovo campiere, appena trombato alle elezioni regionali. Mentre l’ex governatore Musumeci chiedeva con insistenza di trovare, nella nuova giunta, uno strapuntino consolatorio per la moglie dell’ex reuccio della sanità Ruggero Razza, clamorosamente bocciata, pure lei, il 25 settembre nel collegio di Enna. Ma Schifani non è arretrato di un passo: nel giorno del suo insediamento aveva detto che gli assessori sarebbero stati scelti tra gli eletti e così sarà. Ha mostrato la schiena dritta. Non con i vinti ma con i vincitori. Chapeau.

I giochi d’azzardo
del Cognato d’Italia

Ma cosa c’è – di orrendo o di prezioso – nel regno di Danimarca, in quell’assessorato al Turismo che Francesco Lollobrigida, il potente Cognato, pretende di mantenere sotto il suo protettorato? Cosa spinge il partito della Meloni a scombussolare il mosaico di nomi che il presidente Schifani ha pazientemente disegnato anche a costo di sacrificare le ragioni di Forza Italia e di creare una irreversibile frattura con l’azzurro Miccichè? Tre anni fa, quando Musumeci ha silurato quel gentiluomo di Sandro Pappalardo, il Turismo è passato nelle mani di Manlio Messina, un balilla il cui merito principale consisteva nella sua fedeltà assoluta a Lollobrigida. Che di fatto è diventato il sovrastante del feudo: non vuole estranei, accetta solo campieri. Ma Schifani non sembra disposto a subire diktat. Resta in piedi la..

Maggioranza rafforzata?
Un’illusione di Schifani

Negli anni d’oro del “Borghese” c’era una rubrica di successo legata a questo titolo: “Il gagà che aveva detto agli amici”. Renato Schifani, va da sé, è tutto tranne che un gagà. Ma ieri, dopo l’elezione di Gaetano Galvagno alla presidenza dell’Ars, si è lasciato andare a una dichiarazione incauta: “La maggioranza esce rafforzata”, ha detto. Se avesse analizzato i 43 voti confluiti su Galvagno avrebbe scoperto che il deputato di Paternò ce l’ha fatta al secondo scrutinio grazie all’aiuto di otto colleghi dell’opposizione. E se avesse letto i giornali avrebbe appreso che la lotta per gli assessorati sta lacerando non solo Forza Italia ma anche il partito della Meloni. Per saperne di più si faccia una chiacchierata con Giorgio Assenza, un patriota sicuro di entrare in giunta ma silurato..

Alla Regione si parte
con il piede avvelenato

Diciamolo: si parte con il piede avvelenato. Man mano che dalle segrete stanze vengono fuori i nomi dei futuri assessori, cresce nei partiti la convinzione che Renato Schifani, più che uomo di Forza Italia, sia l’uomo di Fratelli d’Italia. Lo rivela la reazione – certamente fuori le righe – di Gianfranco Micciché. Il coordinatore azzurro, con una rabbiosa dichiarazione a Repubblica, ha scelto la via della guerra aperta. Per lui, “Schifani è peggio di Musumeci”. Lo dimostrerebbe il fatto che il neo presidente sembra avere una sola preoccupazione: salvaguardare gli uomini, gli interessi e soprattutto il cerchio magico dell’ex governatore: promuove Marco Falcone al Bilancio, mette la disastrosa gestione di Gaetano Armao al riparo da occhi indiscreti, cerca in tutti i modi di recuperare Ruggero Razza in quel mondo ricco..

Falcone al bilancio,
un affare tra amici

La nuova giunta è tutta da venire, ma una certezza c’è già. Marco Falcone, catanese di Forza Italia, sarà il nuovo assessore al Bilancio. Va a ricoprire l’incarico che, per cinque anni, Gaetano Armao ha saldamente tenuto in pugno. Nella passata legislatura i due sono stati la quinta colonna di Nello Musumeci dentro Forza Italia. Oltre a curare i propri interessi – elettorali, va da sé – hanno difeso, dagli attacchi del leader azzurro Miccichè, uomini e scelte del Governatore venuto da Militello. Il 26 settembre però i loro destini si sono divisi. Armao, passato da Forza Italia al Terzo Polo, è naufragato; mentre Falcone ce l’ha fatta e ora va a presidiare il regno che fu del suo sodale. Dove non tutto fila liscio. La Corte dei Conti ha..

Il pensatore ha pensato:
Anna Palma alla Sanità

Il luccicante varietà di Renzo Arbore si reggeva su un tormentone: “Ma cosa pensa il pensatore?”. Per saperlo basta leggere il sito del Velinaro Volante, dove si trova puntualmente la cronaca di ciò che pensa il neo presidente della Regione, Renato Schifani, a proposito di quel nodo, ancora non risolto, che è l’assessorato alla Sanità. A chi assegnarlo? Le ricette del Governatore sono state tante e tutte variabili. Un giorno ha pensato che gli assessori dovranno essere scelti tra i deputati eletti. Il giorno dopo ha pensato che forse sarebbe meglio fare un’eccezione e puntare su una persona competente. Ma nel terzo giorno il pensiero del pensatore si è indirizzato verso Anna Maria Palma, vice procuratore generale di Palermo, suo ex capo di gabinetto al Senato. Né deputata né competente:..

Da Arbore a Schifani
E’ tornato il varietà

Il vecchio e luccicante varietà di Renzo Arbore si reggeva su un tormentone: “Ma cosa pensa il pensatore?”. La battuta mi è tornata in mente stamattina quando, leggendo il sito del Velinaro Volante, ho trovato puntualmente la cronaca di ciò che pensa il neo presidente della Regione, Renato Schifani, a proposito di quel nodo, ancora non risolto, che è l’assessorato alla Sanità. A chi assegnarlo? Le ricette partorite dalla mente del Governatore sono state tante e tutte variabili. Un giorno ha pensato che gli assessori dovranno essere scelti tutti tra i deputati eletti. Il giorno dopo ha pensato che forse sarebbe meglio fare un’eccezione e puntare su una persona competente. Ma nel terzo giorno – quello di ieri – il pensiero del pensatore si è indirizzato verso una donna. Né..

Schifani, Miccichè
e il venticello caldo

Stavolta il fuoco l’ha appiccato proprio lui, Renato Schifani, il presidente che preferisce dare di sé l’immagine di uomo nato per la mediazione e per garantire l’unità della coalizione. Lo ha appiccato – con una dichiarazione improvvida, passata sottobanco a un giornale – per stanare Gianfranco Miccichè, per costringere l’ex presidente dell’Ars a uscire dalla tana della sua imprevedibilità. Schifani ufficialmente lo sopporta perché Silvio Berlusconi glielo ha chiesto con parole inequivocabili. Ma al tempo stesso lo teme e non perde occasione per sottolineare le sue diffidenze. Teme che Miccichè possa scombinare le architetture di potere che lui ha costruito con Ignazio La Russa. Lo sanno pure le pietre: Schifani ha legato la propria sopravvivenza al venticello caldo che gli arriva da Giorgia Meloni. I tornado di Miccichè lo inquietano...

Lo scempio dei Rotoli
ha già un nome

Monsignor Carmelo Lorefice, arcivescovo di Palermo, vuole i nomi di chi, al cimitero dei Rotoli, ha accatastato le bare in un capannone e ha negato dignità ai morti. “Non possiamo continuare ancora a vedere i corpi dei nostri cari profanati”, scrive su Repubblica. “Burocrazia, interessi occulti e deresponsabilizzazione devono avere un nome”. Caro Monsignore, il nome lei lo conosce. E’ quello di un sindaco che, per quasi trent’anni, ha fatto di Palermo il regno della propria vanità: l’ha amministrata con i suoi uomini e i suoi metodi, l’ha imbellettata con la retorica antimafia, l’ha illusa con la mitomania di una primavera che non è mai arrivata, l’ha offesa non solo con le bare dei Rotoli ma anche con le montagne di rifiuti che bruciano e infestano i luoghi dove abitano..

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