Dieci anni e non venirne a capo. “La Regione non sa cosa possiede e soprattutto non sta facendo nulla per scoprirlo”: la denuncia è di Nuccio Di Paola, deputato regionale del Movimento 5 Stelle, rimasto l’unico a “indagare” su uno dei più grandi scandali della storia siciliana recente. Ricorderete senz’altro la questione del censimento del patrimonio immobiliare della Regione, che nel 2007, a seguito della vendita, da parte dell’Ente, di 33 proprietà al fondo Fiprs (“Era il tempo in cui si patrimonializzava tutto” ha ammesso Totò Cuffaro, di recente, intervistato da Buttanissima), fu aggiudicato a una società mista, la Spi, al 25% partecipata dai privati. Delle imprese raggruppate sotto la Psp Scarl, una società consortile, facevano parte quelle di Ezio Bigotti (una su tutte, la Sti Servizi), un imprenditore di Pinerolo con diverse società offshore in Lussemburgo. Un avventuriero con parecchie beghe giudiziarie, finito di recente ai domiciliari con l’accusa di corruzione nell’ambito delle sentenze truccate al Consiglio di Stato (il cosiddetto “sistema Siracusa”).

Ecco, di quel lavoro, che sarebbe dovuto costare 13 milioni, per lunghi anni non c’è stata traccia. Fino allo scorso luglio, quando l’assessore all’Economia Gaetano Armao – che nel medesimo ruolo aveva bloccato (nel 2010) i pagamenti alla Spi, provocando un contenzioso milionario con la Regione, in passato consulente dello stesso Bigotti – decise che sarebbe stato il caso di effettuare una nuova verifica straordinaria sul patrimonio immobiliare e che, per soddisfare la richiesta urgente della Corte dei Conti, aveva inserito una norma ad hoc nel “collegato generale” della Finanziaria.

Ma prima di poter essere votata, la norma fu stralciata grazie al Movimento 5 Stelle, che si impuntò per visionare il vecchio censimento, ormai denominato “fantasma”. Armao, in sede parlamentare, non era riuscito a fornire garanzie: i dipartimenti dell’assessorato al Bilancio, infatti, non risultavano in possesso della password “amministratore” che avrebbe permesso di accedere ai server di Sicilia Patrimonio Immobiliare, che contenevano i dati della vecchia mappatura. L’assessore segnalò l’anomalia anche alla Corte dei Conti, ma nel giro di poco tempo, nonostante un’interlocuzione senza esito col liquidatore della società Fabrizio Escheri, riuscì a ritrovarla: peccato che, dopo dieci anni, i dati al suo interno fossero diventati inservibili. E al netto dei soldoni spesi, non più utilizzabili.

Il Movimento 5 Stelle su questo tema ha condotto una battaglia in prima linea. E poco tempo fa lo stesso Di Paola aveva presentato una richiesta d’accesso agli atti per conoscere lo stato dell’arte. I risultati lo hanno lasciato a bocca aperta: “Incredibile ma vero, la Regione non sa cosa possiede e, soprattutto, non sta facendo nulla per poterlo scoprire dopo il censimento flop del 2009. Ce lo hanno detto gli uffici dell’assessorato al Bilancio – ha esordito Di Paola – che candidamente hanno ammesso, in seguito ad una richiesta di accesso agli atti, che la cosa non è di loro competenza e che non hanno il personale per poterlo fare”. “Vorremmo capire – insiste il deputato grillino – come fa la Regione a predisporre manovre di bilancio o a pensare a pianificare operazioni immobiliari se prima non fa nulla per accertarsi di cosa sia di sua proprietà. Sino al 2006, ci hanno scritto gli uffici del Bilancio, l’attività era svolta a titolo oneroso dall’Agenzia del Demanio, attualmente si avvalgono degli uffici del Genio civile competenti sul territorio, ma solo in maniera sporadica. Tutto ciò è assurdo”.

Un’assurdità segnalata anche in sede di parifica da parte della magistratura contabile, che ha chiesto conto e ragione a Musumeci & company del mancato riferimento alla situazione patrimoniale dell’ente: “Anche la Corte dei conti – evidenzia, per l’appunto, il parlamentare dei Cinque Stelle – ha sottolineato come resti gravemente irrisolto il problema della ricognizione straordinaria del patrimonio regionale e della conseguente rideterminazione del suo corretto valore. La magistratura contabile ha anche evidenziato il clamoroso fallimento dell’ultimo censimento, sottolineando che questo ‘non ha recato alcun beneficio alla Regione e ha comportato il dispendio di ingenti risorse pubbliche senza alcuna concreta utilità per la collettività’”.

Ciò nonostante, nessuno ha chiesto scusa per uno spreco ingente e per aver privato di risorse utili per il popolo siciliano: “In occasione di quel censimento – prosegue Di Paola – sono stati letteralmente buttati dalla finestra 110 milioni di euro di soldi pubblici, senza alcuna utilità per i siciliani. I dati di quella ricognizione sono stati per lungo tempo sottochiave, blindati da una password misteriosamente smarrita e poi riapparsa quando il materiale raccolto era diventato obsoleto e pertanto inservibile. Tutto ciò è inconcepibile. Speriamo che su questa vicenda la magistratura contabile avvii un’indagine per danno erariale. Intanto chiediamo al presidente della Regione di avviare un’indagine interna che appuri chi ha permesso questo scempio. Chi ha sbagliato ora paghi”.

L’unico atto politico su questa vicenda è arrivato dalla commissione antimafia diretta da Claudio Fava, che lo scorso settembre ha convocato Armao in audizione per avere spiegazioni su questo sperpero di denaro e, più in generale, sul perché i dati del vecchio censimento non fossero più consultabili. I verbali dell’audizione sono stati secretati e il sequel, annunciato dai membri della commissione, non è ancora andato in scena. Sulla vicenda, invece, la magistratura non è mai intervenuta con piglio deciso, men che meno Musumeci. Il governatore non ha mai dato l’abbrivio per approfondire lo scandalo e stanare i responsabili – politici e burocratici – che hanno dato il via a un (presumibile) giro di tangenti e spalancato le porte della Regione ad avventurieri senza scrupoli, capaci di saccheggiare l’impossibile. E’ anche la cronica assenza di domande, o ricerca di chiarimenti, che ha ridotto la Sicilia in questo stato di rassegnazioni. Le impennate d’orgoglio sono sempre meno.