Il problema non è Salvini. Né l’invito a partecipare, nelle sue funzioni di Ministro, alla commemorazione del 27° anniversario della strage di Capaci. Il problema, secondo Claudio Fava, presidente della commissione regionale Antimafia, risiede altrove: “Ben venga Salvini. Ma ad ascoltare, non a spiegarci. Contesto che il fatto di essere indicati come Ministro dell’Interno ti conferisca per scienza infusa la capacità di sapere cosa, come e dove operare” per combattere la mafia, “perché dietro questa risposta ci sono una quarantina d’anni di vita vissuta, di esperienze, di battaglie sociali, di vicende giudiziarie”. L’appuntamento di giovedì all’aula bunker, organizzato da Maria Falcone, sorella del giudice Giovanni che, assieme alla compagna Francesca Morvillo e agli agenti della scorta, perse la vita nell’attentato del 23 maggio del ‘92, ha infiammato la polemica.

Ovviamente, attorno alla presenza di Matteo Salvini, che la Falcone ha giustificato in virtù della sua veste istituzionale e non di uomo di partito, la cui linea politica è posta quotidianamente sotto i riflettori. In tanti hanno contestato l’arrivo di Salvini, temendo che per il ministro lùmbard si tratti solamente dell’ennesimo comizio. “Credo che in questa storia – argomenta Fava – ci sia un vizio di forma e di sostanza. Cioè che il 23 maggio – per taluni – deve essere una giornata di cerimonie e di lustrini, dove coloro che devono venire a spiegare come si fa la lotta alla mafia in Sicilia sono quelli che siedono nelle autorevoli stanze del governo romano. Invece, bisognerebbe avere l’onestà intellettuale, il coraggio e la franchezza di capovolgere questo postulato. Invitarli tutti affinché ascoltino e non affinché parlino”.

Anche Salvini, nonostante sia Ministro dell’Interno e si occupi quotidianamente di legalità, dovrebbe starsene zitto?

“Salvini deve venire a Palermo per ascoltare quello che hanno da dirgli il procuratore generale di Palermo, il procuratore della Repubblica di Palermo, il presidente della commissione regionale Antimafia di Palermo, il presidente della Regione e i rappresentanti delle associazioni impegnati nell’attività di contrasto alla mafia. Cioè tutti coloro che, a titolo istituzionale o di impegno sociale, rappresentano un’esperienza costruita nel corso degli anni. E invece, siccome siamo afflitti da un inguaribile provincialismo, pensiamo che queste occasioni debbano essere riempite come bomboniere di un battesimo”.

Cioè?

“Tutti seduti in platea a battere le mani come nelle recite scolastiche e i ministri romani che vengono a spiegare a noi cosa occorre fare. Io lo considero un vizio di forma e di sostanza dentro il quale si annida un profondo e radicato provincialismo. Questa è la ragione per cui non sarò il 23 maggio all’aula bunker, ma sarò a Capaci per commemorare in modo meno formale e più sostanziale quello che è accaduto ventisette anni fa”.

Arci Palermo e Associazione Nazionale Partigiani, che parteciperanno alla contromanifestazione di Capaci, dicono che Salvini offende la memoria di Falcone. Alcuni accusano il ministro di fascismo. Ma è giusto, in virtù di quello che resta un giudizio sindacabile, impedirgli di commemorare un giudice ammazzato da Cosa Nostra?

“Infatti io sono convinto che Salvini debba venire, debba partecipare e debba ascoltare. E debba anche imparare qualcosa. Non si tratta soltanto di ricordare i morti, ma il lavoro dei vivi. E ricordare il lavoro dei vivi si fa dando la parola ai vivi. Il problema non è Salvini che viene. Ma il problema è chi decide che Salvini debba essere una delle voci da ascoltare in religioso e rispettoso silenzio”.

Si riferisce a Maria Falcone?

“Assolutamente sì. Ci vorrebbe senso della realtà e rispetto di ciò che è accaduto in questi anni. E ciò che è accaduto è stato costruito, distrutto, vissuto, attraversato, plasmato, proposto, digerito non nelle stanze romane, ma nei luoghi di battaglia, di resistenza e di rassegnazione in Sicilia. Il 23 maggio è un momento in cui si interroga lo Stato a partire da ciò che è stato fatto qui. Il 23 maggio non viene a parlare il procuratore generale di Roma a Palermo, parla semmai il procuratore generale di Palermo. Il 23 maggio noi dobbiamo ascoltare la voce profonda di ciò che è accaduto in questi anni per capire quante assonanze e dissonanze ci siano, quante rassegnazioni e quante affermazioni, quante antimafie di cartapesta e quanto lavoro decoroso e dovuto. Non bisogna farne un salottino, ma un luogo del fare”.

Qualche giorno fa, a Cinisi, durante la manifestazione per ricordare Peppino Impastato, tre deputati del Movimento 5 Stelle, tra cui l’ex testimone di giustizia Piera Aiello, sono stati cacciati dal corteo perché governano con Salvini. Che idea si è fatto?

“Io credo che tutti possano partecipare – ripeto, partecipare – a una manifestazione in ricordo di una vittima della mafia. Cosa diversa è fare i protagonisti, fare la ruota con i pavoni, portarsi dietro le telecamere, far comizietti. Ma su questo ciascuno si assume la propria responsabilità. Al corteo che c’è stato a Catania per ricordare Giuseppe Fava, mio padre, io mi sono dissociato dall’atteggiamento un po’ fascista di chi riteneva che certa gente che amministrava il Comune di Catania a quel corteo non dovesse partecipare. Io sono lontano anni luce da quegli amministratori, ma pretendo che abbiano il diritto di partecipare. Cosa diversa è utilizzare la propria partecipazione per uno scopo diverso. Ma su questo credo che i siciliani siano abbastanza adulti da capire chi va a fare passerelle e chi interpreta il momento come sincero impegno democratico”.

Oggi esiste una sfilza di antimafie. Quali sono, secondo lei, quelle da evitare accuratamente?

“Quelle finte, quelle di cartapesta, quelle scritte su biglietti da visita, come se fossero titoli onorifici, quelle agitate come scimitarra. Quelle dell’epoca Crocetta, “o si è con noi o si è con la mafia”. Quelle di chi si presenta a un’intervista dicendo “io sono un condannato a morte della mafia”. Mi viene la pelle d’oca a ripensarci. Ogni tanto sento questo refrain e lo considero intollerabile e di cattivo gusto. Nella lotta alla mafia occorrono toni sobri. Piuttosto, credo che certe esibizioni servano a produrre compatimento e carriera, e che questi debbano essere considerati sintomi, indizi, elementi che ci aiutino a riflettere su quanta autentica vocazione alla lotta alla mafia ci sia in quei personaggi”.

Crocetta, assieme a Montante e alla Saguto, sono gli ultimi simboli dell’antimafia andati in frantumi…

“Si fidi, ce ne sono molti altri che aspettano di essere chiamati a spiegare, a dar conto e ragione della loro idea di antimafia…”

In questa transizione dalla mafia stragista alla mafia affarista, che ruolo hanno politici e magistrati?

“I magistrati sono uomini capaci di virtù e vizi esattamente come i politici. Hanno entrambi un ruolo fondamentale purché si riaffermi l’assoluta autonomia della funzione politica e della funzione giudiziaria. L’esperienza recente in Sicilia ci dice il contrario, cioè che taluni magistrati hanno ritenuto che le ragioni di carriera, di interesse e di profitto dovessero prevalere su quelle che sono affidate alla funzione giudiziaria. Anche molti politici hanno ritenuto la stessa cosa: che l’autonomia della politica andasse venduta sui banchi del mercato in cambio di qualche consenso in più”.

Esiste un’antimafia di riferimento, che ci aiuti a districarci tra le numerose antimafie fasulle?

“C’è stata un’attività di contrasto alla mafia che ha prodotto fatti: penso a tutto ciò che è passato dal lavoro di Pio La Torre in poi, alla gestione saggia e utile dei beni confiscati; e c’è stata un’attività di contrasto alla mafia che è stata soltanto una domenicale passerella con l’ombrellino di cartone e il cappellino pieno di pennacchi. Penso ci siano gli strumenti perché i siciliani e gli italiani capiscano la differenza”.

Oltre a quella di sostanza e a quella “parolaia”, c’è un’antimafia legata al giustizialismo e all’amore per le forche?

“C’è una vocazione al giustizialismo e alla forca a prescindere dall’antimafia. Questo nuovo mood fa parte della politica italiana. Molti credono di risolvere i problemi ghigliottinando la gente in piazza o con dei processi sommari. Ma non c’entra nulla con l’uso addomesticato dell’antimafia. C’entra molto con le scorciatoie che la politica in Italia sceglie per parlare alla pancia della gente”.

Come valuta l’operato del governo Conte-Salvini-Di Maio rispetto all’azione di contrasto del fenomeno mafioso?

“Da un punto di vista normativo e sostanziale non ha prodotto nulla. Ma a parziale giustificazione di Salvini, anche i suoi predecessori non hanno fatto granché. Quel posto viene occupato come una piccola tribuna. Alfano, ad esempio, era segretario di partito e a tempo perso Ministro dell’Interno. Salvini fa più o meno la stessa cosa. Una risposta sul piano normativo, politico, istituzionale sarebbe la ristrutturazione dalle fondamenta dell’agenzia dei beni confiscati, invece di piazzarci i propri amici prefetti. E’ stato anche questo un tentativo maldestro di occupazione del territorio da parte della politica”.

L’Ars ha organizzato una cerimonia per ricordare il sacrificio di Pio La Torre. Ma non ha ancora manifestato la volontà politica di organizzare un dibattito in aula sulla questione morale.

“Quando verrà messo all’ordine del giorno ne prenderò atto e dirò in aula ciò che penso. Probabilmente discutere di questione morale per qualcuno è considerato un’interferenza alla campagna elettorale. Io, invece, penso che potrebbe soltanto rafforzare le buone intenzioni e le buone ragioni di tutti i partiti”.