Per Musumeci è il momento della verità. Al netto degli episodi sgradevoli degli ultimi giorni, e delle emergenze che incombono sulla Regione (dal Covid ai guai finanziari), si è aperta oggi – ufficialmente – l’ultimo anno di legislatura che conduce dritto alle prossime elezioni. Riprende l’attività parlamentare, ma soprattutto entra nel vivo una campagna elettorale fin qui condotta sottotraccia. Adesso tutto diventa lecito. Fra le tante idee per ricompattare la maggioranza, se ne fa largo una: l’azzeramento della giunta. Secondo il quotidiano ‘La Sicilia’ sarebbe questa l’ultima tentazione del governatore per stanare i traditori, quelli che remano contro la sua ricandidatura. E se fino a poco tempo fa, il presidente della Regione spiegava che “un esercito in marcia non si ferma a fucilare i disertori”, ora (forse) è giunto il momento fare chiarezza. E capire chi è dentro, e chi è fuori.

Di per sé è assai strano che un’esperienza di governo possa terminare in questo modo: dopo appena cinque anni e nemmeno l’opportunità di riprovarci. A meno che non ti chiami Crocetta e ti professi paladino della legalità. Ma anche Musumeci, soprattutto negli ultimi tempi, ha avuto il suo bel da fare. Le bacchettate ai partiti – compresa l’ultima allo Spasimo – l’assenza di dialogo e di un percorso condiviso (specie sulle riforme, rimaste al palo), rischia di aver lacerato i rapporti una volta per tutte, e di lasciare ferite profonde su questa avventura a palazzo d’Orleans. Che nel frattempo è diventato un fortino inespugnabile, dove il presidente si è rinchiuso, e dal quale pretende di mandare avanti la macchina amministrativa senza farsi influenzare dai “disturbatori”. In fondo, sono gli stessi che hanno provveduto a farlo eleggere. Solo che a un certo punto si sono sentiti tagliati fuori da qualsiasi decisione (e qualcuno, dalle poltrone più comode) e hanno il terrore di ripetere l’esperienza.

Ecco che a questo punto prendono vita i due partiti “reali”, che si sovrappongono però a Lega, Forza Italia, Fratelli d’Italia, Diventerà Bellissima, Udc e compagnia cantante. Uno è il partito del presidente, composto dagli assessori più fedeli. Quelli disposti a tutto pur di conservare il proprio ruolo e, a parole, la continuità amministrativa. L’altro, invece, è il partito che preferisce non parlarne. Quelli che “ancora è troppo presto”. Ne fanno parte, a vario titolo, i Micicché, i Minardo, i Pogliese, gli Stancanelli, i Romano. Una lunga schiera di autorevoli personaggi della nostra politica, che sulla carta non hanno ancora deciso. Ma si guardano bene dal firmare una cambiale in bianco al governatore. Non c’è uscita in cui non manifestino perplessità. Azzerare la giunta significherebbe porre un aut aut: o con me o contro di me. Potrebbe provocare reazioni inaspettate. Effetti collaterali devastanti.

Per il momento i big restano coperti e non si pronunciano. A Musumeci manca un’investitura che sia una. Soltanto Micciché, presidente dell’Ars e capo di Forza Italia, durante la kermesse di Palermo, il 26 giugno, ha spiegato che “un governo migliore di questo non lo troviamo”. Ma per il resto ha sempre flirtato con altre forze al di fuori del centrodestra, perché il modello Draghi sarebbe la soluzione più funzionale: “Siamo in un momento storico – ha spiegato a margine di un convegno sulle infrastrutture a Taormina – in cui è impossibile immaginare che una coalizione possa risolvere le cose meglio di un’altra. Non dipende da me se applicare una formula politica o meno, ma non c’è dubbio che la formula “italiana”, con competenza e larghezza di consenso, risulta la migliore in questo momento di crisi vera”. Ma ipotizzare un modello Draghi con a capo Musumeci è davvero troppo.

Sul fronte sovranista, invece, la freddezza è persino più accentuata: Salvini ha detto che il prossimo presidente della Regione potrebbe essere leghista. Ci spera, ne è convinto. E ha proposto il nome di Nino Minardo, attuale segretario del Carroccio, che nei prossimi giorni dovrebbe vedersi con Razza per un caffè. L’ingresso di Sammartino e altri nel partito, però, conferma che la fronda anti-Musumeci si sta rafforzando (sull’ultima ordinanza anti-Covid è stata una ‘guerra’). Anche i Fratelli d’Italia sono poco inclini ad aperture. Sebbene il presidente della Regione, negli ultimi tempi, stia provando a riaccreditarsi. Giorgia Meloni non vuole saperne, ma Adolfo Urso, capo del Copasir, potrebbe mediare. Vista così – anche se fra un mese o due dovesse materializzarsi – la scalata di Nello alla presidenza non partirebbe sotto i migliori auspici, bensì in un clima di diffidenza reciproca.

La proposta di azzerare la giunta, in questo contesto, non dà garanzie. Anche se è una tendenza non proprio dell’ultima ora. In un’intervista a Live Sicilia, lo scorso maggio, Musumeci disse che “da sempre un presidente di Regione uscente va naturalmente verso la ricandidatura. Se tutte le forze politiche rimangono saldamente al governo nello spirito di squadra come è stato in questi tre anni e mezzo, vuol dire che tutti concordano sulla naturale candidatura. Se qualcuno avesse avuto dei dubbi si sarebbe già tirato fuori dal governo”. Non è avvenuto. Sulla stessa lunghezza d’onda Manlio Messina, l’assessore No-Vax e No-Pass, che usa il torpiloquio come cifra per etichettare i giornali o chi la pensa diversamente: “Sostituire Musumeci come candidato del centrodestra – spiegò – significherebbe ammettere il fallimento di tutto il centrodestra. Vogliamo che succeda questo? Chi lo pensa dovrebbe andare via subito. Se ci sono forza politiche che ancora non sono convinte di voler correre di nuovo con Musumeci, dovrebbero avere la correttezza di lasciare subito gli incarichi e le poltrone che occupano…”. Fratelli d’Italia, pur non essendo d’accordo col concetto espresso, ha continuato a garantirgli la sua, di poltrona.

Poi c’è Marco Falcone, commissario provinciale di Forza Italia a Catania, responsabile delle Infrastrutture e dei Trasporti: “La ricandidatura di Musumeci? Mi pare assolutamente scontata – ha detto mesi fa a ‘La Sicilia’ -. Adesso siamo noi che gliela chiediamo, ritenendo che ci siano tutte le condizioni. E dovrebbe chiedergliela chi sta con noi, chi non vuole fare giochetti di potere col Pd, chi vuole che si completi il gran lavoro che Musumeci e il suo governo stanno facendo in Sicilia”. Pure Toto Cordaro ha parlato del bis come conseguenza naturale del buon governo: “Musumeci è il meglio che oggi c’è nel centrodestra siciliano – ha detto a Ferragosto l’assessore al Territorio -. E’ il presidente uscente, capo di un governo che ha recuperato prestigio in campo nazionale ed europeo. Non trovo francamente quale possa essere la ragione per non ricandidarlo”. E infine c’è Gaetano Armao, esponente di spicco del partito del presidente, che – per dirla col “cantante” Cateno De Luca – ha comandato la Sicilia senza avere un solo voto. Anche lui, che fatica a riconoscersi nelle posizioni di Forza Italia (ovviamente, la cosa è reciproca), sta dalla parte di Musumeci, dopo averlo messo più volte nei guai per la gestione dei conti. Così come Ruggero Razza, che aveva detto di voler tralasciare la politica e occuparsi di sanità.

Gli altri assessori, invece, non fiatano. Non si pronunciano né per Musumeci né contro. I forzisti Scilla e Zambuto si affidano a Micciché. Non una parola dell’autonomista Scavone: il governatore ha voluto farci due chiacchiere dopo la campagna acquisti della Lega (partito federato con l’ex Mpa), per capire quale fosse l’orientamento dei lombardiani. Se ci fosse spazio per una liason con Diventerà Bellissima. Ma laggiù il parere di Lombardo conta ancora, e la considerazione dell’ex presidente per l’attuale, non è mai stata altissima. Zitto anche Turano, in quota Udc: da quelle parti si attende di capire l’evoluzione del ‘grande centro’ con Italia Viva, prima di prendere una posizione netta. Silente Lagalla, anche se “non mi pare – ha detto l’assessore all’Istruzione – che nessuno abbia posto pregiudiziali alla legittimità della richiesta del presidente di svolgere il suo secondo mandato”. Mentre il leghista Samonà non si pronuncia e preferisce attenersi allo spirito combattivo della Lega. Cosa che non ha fatto Messina con FdI: in caso di azzeramento – una prospettiva non molto considerata ai piani alti – rischiano più degli altri, se davvero i sovranisti decidessero di fare la voce grossa. Pochi giorni e sapremo se quella di Musumeci era il classico sasso per agitare lo stagno, o una presa di posizione netta per chiarire i contorni del suo futuro e di quello della Regione.