Ci sono almeno tre buone ragioni per non parlare di “continuità”: la sanità sotto assedio; il bilancio farlocco; e la crisi gestionale della Foss, l’Orchestra Sinfonica siciliana, che da un paio d’anni ormai risulta commissariata e depredata delle sue energie migliori. Se ai primi due (mis)fatti l’opinione pubblica è abituata, sulla Foss è stato Antonello Cracolici, neo presidente della commissione Antimafia, a puntare un faro: “Il governo regionale si impegni per superare lo stallo nella gestione della Fondazione Orchestra Sinfonica Siciliana, avviando la stabilizzazione del personale interno che ne ha maturato il diritto e dotando la Foss di un Consiglio di amministrazione”.

L’attenzione di Cracolici si somma a quella di Gianfranco Micciché, l’ex presidente dell’Ars, che in questi mesi di rottura prolungata coi governatori – Musumeci prima, Schifani poi – ha ripetuto come la gestione dell’Orchestra, tanto cara al papà, abbia rappresentato uno dei tratti peggiori del precedente governo. Al quale Schifani, anche durante le dichiarazioni programmatiche a Sala d’Ercole, ha detto d’ispirarsi. E in effetti, sul fronte della musica, non sono mancati i colpi di scena. In primis, quelli legati alla governance: dalla decadenza del Cda, infatti, l’assessore al Turismo e agli Spettacoli – che ha sempre considerato la Foss una sua privativa –  non è mai riuscito a ripristinare l’ordine delle cose, affidando un lunghissimo commissariamento a un ex ufficiale della Guardia di Finanza, Nicola Tarantino, sotto la cui gestione si sono succedute proteste (come quella degli orchestrali) e ispezioni – ordinate dalla Regione medesima – per appurare irregolarità (anche nelle assunzioni) ed eventuali illeciti. I verbali di alcune audizioni all’Ars sono finiti anche in Procura.

Nella mozione presentata dal Pd, Cracolici descrive alcuni dei problemi endemici dell’Orchestra: “Rispetto ad una pianta organica di 104 elementi solo 60 sono professori d’orchestra a tempo indeterminato mentre gli altri, e fra essi prime parti orchestrali essenziali, lavorano a tempo determinato e sono selezionati attraverso audizioni. Questa modalità di selezione – prosegue Cracolici – ha determinato, nel tempo, la formazione di un ‘bacino di precariato storico’ all’interno della Fondazione che può e deve essere superato anche perché alcuni componenti di questo bacino hanno acquisito un diritto di prelazione, ai sensi dell’articolo 1 del Ccnl, dal momento in cui sono risultati vincitori di tre audizioni consecutive e pertanto non necessitano più di partecipare alle selezioni pubbliche”. Il parlamentare ha chiesto dunque al governo regionale di dotare la Foss di un Consiglio di amministrazione, dopo oltre due anni di commissariamento, e di “attivarsi per il superamento del precariato storico con la stabilizzazione dei professori d’orchestra che ne hanno maturato il diritto”.

Alla Foss è successo di tutto anche in sede di scelta del sovrintendente: doveva essere Ester Bonafede, che però non è riuscita a dimostrare l’insussistenza delle cause di incompatibilità rispetto a precedenti contenziosi con la Fondazione; lo è diventato Salvatore Francesco Di Mauro, catanese come l’ex assessore Messina, a seguito delle dimissioni di Giandomenico Vaccari, che non andava più d’accordo con Gianna Fratta (direttrice artistica nonché moglie del cantautore Piero Pelù). Quest’ultima s’era scontrata con Marianna Caronia per alcuni messaggi social ritenuti osé dalla deputata leghista. Dal racconto approfondito delle vicende di questi anni, verrebbe fuori un colossal di cattivo gusto. Ecco perché sarebbe meglio spezzare i fili col passato e ripartire daccapo. Il Cda della Foss sarà il primo, vero banco di prova per Francesco Scarpinato, successore del Balilla.

Ma Schifani dovrebbe guardarsi bene da tutti i guai, in termini di azione politica, che gli hanno lasciato i suoi predecessori. E’ di queste ore la notizia che la Regione dovrà ricorrere per la sesta volta di fila all’esercizio provvisorio. Un mese o due, conta poco. Il verdetto, però, è che ancora una volta non si riuscirà ad approvare i documenti contabili entro la scadenza del 31 dicembre, come previsto dalla Legge. L’assessore Armao ha lasciato un bilancio talmente equivoco che neppure la Corte dei Conti è riuscita a venirne a capo, sospendendo il giudizio di parifica in attesa che intervenga la Corte Costituzionale. La quale sarà costretta a dirimere la vecchia questione della spalmatura decennale del disavanzo: si poteva fare, sì o no? Nell’attesa – cavalcando il rapporto di tensioni con lo Stato – Schifani si è rivolto a Roma per richiedere una norma ad hoc che faccia venir meno la questione del contendere.

Al neo assessore Marco Falcone, una volta portata a casa la manovra, spetterà una mega operazione trasparenza sui conti della Sicilia, già annunciata in aula. Sarebbe questo un segnale di discontinuità, anziché forzare la mano al governo Meloni per ottenere una exit strategy che rischia, ancora una volta, di avvelenare il clima e i rapporti con la Corte dei Conti. Intanto si parte con l’esercizio provvisorio, che permetterà di spendere in dodicesimi per tutto gennaio, evitando il blocco delle operazioni (e l’impoverimento di famiglie e imprese). Poi bisognerà capire perché i magistrati, per la seconda parifica di fila, hanno scelto di dichiarare ‘non regolari’ alcune voci del bilancio, a partire dallo Stato patrimoniale. E infine bisognerà intervenire sulla qualità della spesa, requisito necessario e sufficiente per evitare di presentarsi a Roma con il cappello in mano, ed essere rimbalzati ogni volta.

Anche sul fronte della sanità pubblica, Schifani farebbe meglio a tralasciare l’eredità di Razza. In questi giorni, con l’aumento dei contagi da Sars-Cov2, gli ospedali stanno faticando a riemergere dai problemi di sempre che – ove possibile – si sono addirittura aggravati: ossia la carenza di personale, l’assenza di posti letto (e di barelle), le lunghe liste d’attesa. Tutte le prestazioni ne risentono, così l’assessore alla Salute, Giovanna Volo, ha provato a decriptare il problema proponendo un piano della rete territoriale di assistenza per riformare il sistema. Prevede l’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza, con 300 milioni di euro destinati alla realizzazione di ospedali e case della comunità. Gli stessi annunci di Musumeci. Solo che adesso bisognerebbe mettere a terra il denaro, e cominciare a operare. Non è avvenuto, non ancora, coi progetti di edilizia ospedaliera che avrebbe dovuto seguire la struttura commissariale: i cento milioni destinati alla realizzazione di dieci pronto soccorso e di 166 posti letto di terapia intensiva, che la Regione aveva deliberato un anno fa, giacciono inutilizzati. Dei ventisei interventi previsti non ne è cominciato nessuno.

Una cosa in cui questo governo si sta rivelando una “copia” del precedente – non è certo un vanto da esibire – è l’utilizzo dei fondi comunitari. In assenza di progetti utili, o di progetti in generale, l’ultima spiaggia è la rimodulazione delle risorse che avrebbero dovuto finanziare investimenti, cioè sviluppo, e che invece finiranno per sostenere la spesa corrente o l’azione di contrasto al caro bollette (per imprese e famiglie). Ci si dovrebbe chiedere perché i progetti (ad esempio per la realizzazione di impianti di smaltimento dei rifiuti) non ci sono; e di chi è la responsabilità di questo handicap, che alla lunga finirà per dilatare la forbice con le regioni del nord. La scelta, quella vera, è fra lagnarsi e fare autocritica. A Schifani non resta troppo tempo.