Alessandro Aricò non li ha ancora mandati giù. Ha invocato dai “franchi tiratori” di Sala d’Ercole un maggiore senso di responsabilità. L’affossamento di un paio di norme della Finanziaria, sul modello Portogallo e sull’articolo 7 che avrebbe consentito di accantonare la prima rata da 53 milioni del maxi disavanzo, ha gettato nello sconforto la compagine di governo. E ha rischiato di aprire una crisi che è stata scongiurata solo da un immediato ritorno in aula, dalla ricerca di un escamotage per rimpinguare i capitoli di spesa e dal voto finale sulla manovra. E’ stato il punto più basso dell’esperienza del governo Musumeci. “Ho visto un’aula schizofrenica – conferma a distanza di giorni il capogruppo di Diventerà Bellissima all’Ars – Siamo alle prese con una minoranza di colleghi che, probabilmente, vota con un pizzico di distrazione”.

Uno smacco nei confronti di Musumeci.

“Se ci sono i numeri per governare i processi, con una maggioranza presente in aula, e nonostante ciò un provvedimento viene bocciato, vuol dire che si è scatenato un meccanismo politico che viene dall’interno. Questa è una cosa brutta. Se si vuole manifestare dissenso bisognerebbe farlo a viso aperto”.

Musumeci ha posto l’abolizione del voto segreto come condicio sine qua non. Corrisponde a una fiducia politica. Se qualcuno si tira fuori, ha detto il governatore, ci saranno delle conseguenze.

“Riunire la commissione sul Regolamento è una priorità. Ho pregato la collega Giusy Savarino, che ne è membro, di chiedere a Micciché di convocarla. Durante l’ultima seduta il voto segreto è stato chiesto più volte, anche da parte di colleghi della coalizione. Nessuno del nostro gruppo ha mai pigiato il tasto per favorire lo svolgimento delle votazioni secondo questo metodo, che per noi va eliminato. Il voto segreto non può esistere in un meccanismo assembleare se non per votazioni che riguardano le persone: lì subentra la libertà di coscienza”.

Si è dato una spiegazione per cui (almeno) in quattro abbiano tradito?

“Non lo so. Ritengo, ma questo non l’ho mai negato, che un inizio così pieno di impegni da parte del governo regionale ci abbia privato di un collante, di una cabina di regia tra l’assemblea e il governo. Sono sicuro che, superato questo altro ostacolo, già dalle prossime settimane si potrà lavorare in un clima di maggiore collaborazione. Oggi al di là dell’onorevole Gennuso, che è impossibilitato a essere presente, i soggetti che fanno parte di gruppi riconducibili alla maggioranza sono 34. Considero anche Tony Rizzotto, perché la Lega nel progetto di Musumeci ci ha messo la faccia e il simbolo”.

Ma per raggiungere la maggioranza ne occorrono 36…

“Musumeci ha cercato più volte di proporre meccanismi in cui si possano condividere delle scelte. Magari per adottare importanti leggi di riforma. Siamo consapevoli che per fare delle riforme bisogna confrontarsi anche con i due gruppi più importanti che stanno all’opposizione”.

Il Movimento 5 Stelle vi aveva fornito una stampella. Escludere gli alleati, affidarsi a un gruppo di tecnici e scrivere insieme a loro quattro-cinque riforme per il bene della Sicilia.

“Musumeci, per forma mentis, non abbandonerà mai i soggetti che l’hanno sostenuto per diventare presidente della Regione. Ha proposto alle opposizioni di fare un ragionamento, ma non possiamo lavorare a partire dagli assessori tecnici. Le basi devono essere altre. Scriviamo insieme la riforma dei rifiuti, ad esempio. E poi i Cinque Stelle hanno sempre detto di non essere interessati alle poltrone. Cosa possiamo offrire se non la prospettiva del raggiungimento di alcuni obiettivi comuni?”.

Mi sembra di capire che le porte restano aperte.

“La nostra è una terra che ha bisogno di riforme e di semplificazione. Le leggi Finanziarie parlano un po’ di tutto perché siamo sprovvisti di leggi organiche e di testi unici sui beni culturali, sull’urbanistica, sul demanio. Così finisce tutto nel Bilancio. Alla Sicilia serve una semplificazione sul piano normativo, ma non possiamo farlo da soli. Serve che tutto il Parlamento sia d’accordo”.

Buona parte del Parlamento è stato d’accordo nel sopprimere, con un emendamento firmato da Fava, la norma sul modello Portogallo. E’ una sconfitta per il governo?

“Era una norma importante anche in termini di percezione data all’esterno. Diventerà Bellissima aveva presentato due emendamenti: uno per ampliare questo meccanismo di esenzione anche ai soggetti che, pur trasferendosi nei comuni sopra i 20 mila abitanti, prendevano casa all’interno dei centri storici, in modo tale da creare un meccanismo virtuoso di ripopolamento; l’altro per l’abbattimento totale della quota regionale Irap alle aziende che trasferivano in Sicilia la propria residenza fiscale. Poteva essere un valore aggiunto rispetto alla flat tax che si sta facendo a livello nazionale. Ma non si è capita, oppure c’era la volontà di affossarla comunque”.

Quale delle due?

“Se hanno voluto dare uno schiaffo al governo, hanno sbagliato indirizzo. Non era una norma di spesa, ma di principio. Tanto che ad essa era stato destinato solo un milione per il primo anno. Se l’avessimo approvata, magari avremmo avuto mille persone ad abitare i centri storici o nei paesi sotto i ventimila abitanti. Poteva essere una piccola operazione di sviluppo. Vediamo se potrà essere recuperata nel collegato”.

Il Pd ha definito questa Finanziaria come la più inutile della storia. Qual è il suo giudizio?

“Ritengo che potesse essere migliore rispetto a quella uscita dall’aula. Tutti i gruppi parlamentari avevano chiesto al governo di presentare un Bilancio e una Finanziaria snelli, che riguardassero soltanto alcuni articoli principali. Non so perché la ritengono inutile. Il modello Portogallo o il famoso articolo 7, quello per spalmare con lo Stato il debito prodotto dai governi precedenti, secondo me erano norme importanti. La bocciatura di quest’ultimo ha fatto sì che si dovesse procedere a un congelamento, di fatto, dell’1% della spesa complessiva. Tuttavia abbiamo trovato delle soluzioni per approvare questo Bilancio dopo appena un esercizio provvisorio. Non succedeva da anni”.

Ma il contenzioso con Roma rischia di essere un terno al lotto. Avete trattenuto la quota di disavanzo riferita al 2019, ciò significa 190 milioni di euro. Senza che Roma abbia acconsentito alla rateizzazione in trent’anni. E’ un atto di sfida?

“Non è un atto di sfida. Per mantenere il livello dei servizi uguale all’anno passato, avremmo dovuto abbattere di oltre 150 milioni tutti i servizi quota parte della Regione. In una prima fase erano rimasti fuori gli ex Pip, i trattoristi Esa, i Forestali. In questo modo, invece, siamo riusciti a rimpinguare due milioni allo sport, ma anche i talassemici, il Fondo unico per gli spettacoli, l’Ersu e il diritto allo studio. Ora bisogna aprire un ragionamento con Roma che noi auspichiamo equilibrato e disteso nei toni. La Sicilia rappresenta un decimo dell’Italia e credo che il problema non sia affatto trascurabile. Lo Stato può accettare una restituzione del debito in due o trent’anni, per loro non fa una grossa differenza”.

E se Roma negasse di spalmare su trent’anni il disavanzo da 540 milioni?

“Abbiamo un po’ di mesi, fino a settembre-ottobre, per individuare i capitoli di spesa su cui intervenire, nel caso in cui il governo centrale scelga di non concedere la dilazione. Certo, sarebbe un grave problema. Ma ricordiamo sempre che useremo quei soldi per pagare gli stipendi, rimpinguare il trasporto pubblico locale, ripristinare il diritto allo studio e incentivare la cultura”.