Fatta la nomina
che salva il mondo

Era una nomina che tutte le cancellerie attendevano con il fiato sospeso. Pensate: la Francia aveva messo da parte la questione del caro bollette, rischiando una nuova insurrezione dei gilet gialli; la Germania aveva interrotto le trattative con Gazprom, mettendo a repentaglio il futuro dell’industria tedesca; Londra aveva elaborato in fretta il lutto per la Regina e si era messa in contatto con Ursula von der Leyen per trovare un nome condiviso. Si era mosso riservatamente anche Joe Biden, presidente degli Stati Uniti d’America, nonostante incombessero le elezioni di midterm. Ieri, finalmente, la buona notizia: Carlo Calenda, leader di Azione, ha nominato Gaetano Armao, miseramente trombato alle elezioni regionali di Sicilia, responsabile del Dipartimento nazionale delle Politiche euromediterranee. Il mondo è salvo. Lo annuncia felicemente il Velinaro Volante.

Ciò che Calenda
non vuole vedere

Carlo Calenda non sa darsi pace. Non riesce a capire come mai la Sicilia che, nelle elezioni nazionali ha assegnato al Terzo Polo il 7 per cento dei consensi, abbia poi asfaltato Gaetano Armao, il multicasacca che Azione e Italia Viva hanno maldestramente candidato alla presidenza della Regione. Calenda vorrebbe gettare la croce addosso ai partner renziani che nell’elezione di Roberto Lagalla a sindaco di Palermo, hanno invece dimostrato di essere vivi, vegeti e determinanti. Ma sbaglia bersaglio. Per capire come sono andate le cose gli basterebbe acquisire la biografia politica del frontman scelto per le “regionali”. Capirebbe subito di essere stato infinocchiato non tanto da Armao – un vuoto d’aria e nulla più – ma dalle sue dilette compagne di avventura, Mara Carfagna e Maria Stella Gelmini, sponsor fin..

Prima lezione
per il presidente

La prima lezione per Renato Schifani arriva dalle urne. Ma non da quella valanga di voti che lo ha incoronato governatore della Sicilia. Ma dalle 48 sezioni che, a dieci giorni dalle elezioni, ancora non hanno ultimato i conteggi e di conseguenza non hanno consegnato i verbali alle Corti d’appello per la proclamazione definitiva degli eletti. Da non crederci: un’intera Regione appesa agli imbrogli o ai pasticci di 48 presidenti di seggio; una Sicilia, con le sue urgenze e le sue speranze, paralizzata da una burocrazia che non sa sciogliere i nodi, che non sa risolvere i problemi, che complica tutto, che pesta sempre la stessa acqua nel mortaio. Succede con le elezioni, con gli appalti dei lavori pubblici, con gli aiuti destinati alle imprese. Altro che Ponte sullo Stretto...

Razza che vai
Cefpas che trovi

L’assessore Ruggero Razza e il direttore Mario La Rocca hanno spadroneggiato sulla sanità per quasi cinque anni. L’altro ieri a Palazzo d’Orleans, durante l’ultima riunione di giunta, avrebbero potuto azzerare le accuse che Cateno De Luca, indomabile guitto della politica, gli ha lanciato addosso nei giorni della campagna elettorale. Avrebbero potuto scrivere una direttiva alle Asp per non disperdere l’esperienza dei medici chiamati per il Covid; avrebbero potuto chiarire a Renato Schifani i contorni di uno scandalo, quello dell’Oasi di Troina, ancora in attesa di verità; avrebbero potuto liquidare tre anni di arretrati ai laboratori e agli specialisti convenzionati. Si sono invece concentrati su quel mastodontico centro di potere chiamato Cefpas, e hanno approvato una delibera che gli assegna altri privilegi e altri milioni. Razza che vai, Cefpas che trovi.

L’Ems e lo scandalo
rimasto in un cassetto

Peccato che Claudio Fava abbia lasciato l’Assemblea regionale. La sua Commissione antimafia avrebbe potuto scoperchiare molte pentole della politica siciliana. A cominciare dall’ultimo scandalo, quello dell’Ente Minerario. Dove il Bullo, assistito dal suo intermediario di affari, ha tentato di dirottare venti milioni, frutto della liquidazione dell’ente, su una finanziaria di Londra. Un azzardo bloccato in extremis da una funzionaria delle Partecipate che ha trovato il coraggio di bocciare la delibera della liquidatrice, Anna Lo Cascio, e di assestare uno schiaffo al regista che, da Palazzo d’Orleans, aveva congegnato la manovra. Claudio Fava sarebbe andato a fondo. Toccherà a Renato Schifani tirare fuori il dossier, che l’ex governatore Musumeci ha tenuto nei cassetti, e consegnarlo nelle giuste mani. Lì si vedrà di che erba è fatta la scopa del nuovo presidente.

Un trionfo di cartapesta
per Conte e i suoi grillini

In quattro anni hanno avuto tutto. Due presidenze del Consiglio e la presidenza della Camera, il ministero degli Esteri e anche quello dell’Agricoltura, il governo dell’Inps e quello della terza rete Rai, deputati a valanga e senatori in abbondanza. Hanno dominato nelle commissioni e negli incarichi di sottogoverno, dall’Eni alle Ferrovie fino alla Cassa Depositi e Prestiti. Hanno gestito persino, senza badare a spese, i miliardi della pandemia. Da domani non avranno più nulla. Tutto azzerato. Nelle elezioni del 2018 avevano conquistato il 32 per cento dei voti ma ieri hanno dimezzato il patrimonio. Con un risicato 15 per cento e la vittoria del centrodestra, saranno un gruppo parlamentare d’opposizione e nulla più. Eppure esultano e cantano vittoria. Giuseppe Conte sorride e parla di rimonta. Costruitegli, per favore, un arco..

L’azzardata furbizia
del Velinaro Volante

In un irrefrenabile impeto di leccaculismo, il Velinaro Volante ha riproposto ieri ai lettori una chilometrica intervista, realizzata il 13 settembre, che ha consentito a Nello Musumeci di riversare i rancori su chi lo ha defenestrato e, all’un tempo, di elogiare i meriti del suo governo. Il furbetto del quartierino ha aggirato così le norme che impongono il silenzio nel sabato che precede le elezioni. L’intervista all’ex governatore, ora candidato al Senato, è stata di fatto una sfida a quell’organo di vigilanza, chiamato Corecom, che si è insediato giovedì dicendo che sarebbe stato suo compito garantire sempre e comunque le regole della comunicazione. Bene: non è successo nulla, non succederà nulla. Ma la furbizia del Velinaro è stata l’occasione per capire che il Corecom, al di là della pomposità, altro..

Caterina Chinnici
prende le distanze

Cateno De Luca sarà pure rozzo e ruvido ma scalda la piazza e accende molti cuori. Lei invece accende i caminetti dove intavola chiacchiera e bon ton ora con Anthony Barbagallo, segretario regionale del Pd, ora con Giuseppe Provenzano, vice segretario nazionale del partito: i due leader che le hanno voluto affidare la corona di candidata del centrosinistra al vertice della Regione. Ma ora che il tempo stringe e la sconfitta si avvicina, Caterina Chinnici si è fatta furba. Altro che Nostra Signora dell’Inconcludenza. Con un fiuto politico tempestivo e ben addestrato ha tenuto a precisare che lei resta “indipendente” e che la sua è stata una “candidatura civica”. Un modo, sottile, per prendere le distanze dai futuri perdenti. Cioè quelli del Pd. Che, dopo il 25 settembre, non potranno..

Profeta o farfallone?
Lo scopriremo lunedì

Cateno De Luca è un cialtrone, uno sbruffone e anche un fanfarone. E’ un guitto che gira in mutande, che parla e straparla, che denuncia magagne e ruberie, che urla da cafone nelle piazze e da cafone litiga con il sindaco di Furci e anche con il giornalista perfettissimo che, manco a dirlo, fa bene il suo mestiere e scrive sempre la verità. Cateno è rissoso, borioso, impetuoso, mai cerimonioso. Attacca brighe con i santi e anche con i reverendissimi imbroglioni della Regione. Alza i coperchi delle pentole, sventra i salotti della politica, provoca tormenti e terremoti. E in questo vortice, va da sé, diventa impresentabile, inaffidabile, inqualificabile. Che ne sarà di lui? Abbiate un’altra settimana di pazienza, per favore. Lunedì 26 settembre sapremo se sul partito parallelo del centrodestra..

Il Bullo travestito
da moralizzatore

Vedo il Bullo che piritolleggia da un giornale all’altro, da un sito all’altro, da un forum all’altro. E mentre lui sermoneggia, si sente l’effetto della legge scandalo; cioè di quel bando affidato da Musumeci e dal suo cerchio magico all’Irfis per aiutare l’editoria e all’un tempo premiare, con palate di euro, velinari e servi sciocchi. Il Bullo si impanca con la spocchia di un esattore venuto a riscuotere le quote di gratitudine; insinua veleni contro chi non ha mai creduto ai suoi imbrogli, e si traveste, manco a dirlo, da moralizzatore: proprio lui che è stato il consulente di Ezio Bigotti, l’avventuriero piemontese che ha rapinato oltre cento milioni alla Regione con un censimento fasullo. Ma i leccaculisti sparsi nell’editoria, chiamiamola così, non gli presentano mai il conto. Meglio una..

Gerenza

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