Il brutto lavoro
dei due colonnelli

Peccato che lei, così giovane e anche così guerriera, abbia lasciato tutto nelle mani dei suoi colonnelli, come Ignazio La Russa o Francesco Lollobrigida. Perché con questa delega Giorgia Meloni, leader incontrastata di Fratelli d’Italia e molto vicina alla conquista di Palazzo Chigi, ha perso un’occasione per rigenerare la classe dirigente e aprirla al vento nuovo della politica. Basta dare un’occhiata alle liste compilate in Sicilia. Atro che impresentabili. Imboscati tra i patrioti, sono entrati caporioni e capi elettori, personaggi inquisiti e campioni del cambio casacca, venerati maestri dello spreco e scialacquatori di denaro pubblico. Per quest’ultima categoria le pagelle sono state tratteggiate da Lollobrigida, cognato di Giorgia e custode delle segrete casse del partito. Al resto ha pensato La Russa, il Vercingetorige lanciato da Fiorello nel varietà.

Le molteplici colpe
di un suicidio politico

Giuseppe Conte e la sua inaffidabile ciurma di stelle cadenti saranno stati certamente infingardi, fedifraghi, traditori. Ma in politica non bisogna mai confondere le cause con gli effetti. Il suicidio della sinistra si deve anche all’inadeguatezza politica di Caterina Chinnici. Il magro popolo delle primarie le aveva assegnato il difficile compito di guidare la coalizione alla conquista della presidenza della Regione. Ma dopo una pallida stagione di silenzi, la sua leadership si è concentrata sul moralismo delle liste pulite. Un moralismo strabico: Nostra Signora dell’Inconcludenza ignorava le travi del governo di centrodestra – quello di Musumeci, dei bulli e dei balilla – e si accaniva sulle pagliuzze che ombreggiavano negli occhi dei suoi compagni di partito. Per Conte, a quel punto, è stato gioco facile agitare lo scandalo degli impresentabili..

Il Cav. piazza in Sicilia
una divanista di lusso

Che hanno fatto di male i siciliani per caricarsi sulle spalle i figli di Bettino Craxi: Bobo a Palermo e Stefania ad Agrigento, il primo con il Pd e la seconda con Forza Italia? E cosa hanno fatto di male le laboriose popolazioni di Trapani e Marsala per meritarsi Marta Fascina che il quasi-marito Silvio Berlusconi ha preteso di candidare e blindare in quel collegio? La giovane signora ha già alle spalle una legislatura ma vanta anche un primato: ha messo piede alla Camera solo per prestare giuramento, dopo non si è più vista. Potrebbe vivere agiatamente tra i lussi Arcore e gli sfarzi di Villa Certosa. Ma il Cavaliere – con una prepotenza incivile – l’ha paracadutata in Sicilia. Succederà che sarà eletta, senza neppure sapere quanto dista Marsala..

Il moralismo strabico
di Caterina Chinnici

Avrebbe potuto varcare la soglia di Palazzo d’Orleans – palazzo che conosce bene, essendo stata per anni al fianco di Raffaele Lombardo, un presidente indagato, imputato, processato e assolto – e chiedere a Nello Musumeci se è venuto a capo dello scandalo dell’Ente Minerario e dell’azzardo su venti milioni messo in piedi dalla cricca del Bullo. Avrebbe potuto chiedere al governatore notizie anche sulla brutta storia dell’Oasi di Troina, riconducibile al potentissimo Razza, assessore alla Sanità. Ma Caterina Chinnici, candidata della sinistra alla presidenza della Regione, non ha voglia di mettere il naso nel malgoverno della Sicilia. Soffre di un moralismo strabico: non vede le travi che straripano dagli occhi degli avversari e si accanisce sulle pagliuzze che non appannano nemmeno la vista dei suoi compagni di partito. Forse cerca..

I quattro santissimi
del cerchio magico

Il Bullo è stato elevato agli onori degli altari da Mara Carfagna e Maria Stella Gelmini. Le due gentildonne gli hanno versato sulla testolina impomatata l’acqua battesimale della nuova parrocchietta della politica e, così facendo, hanno cancellato oltre al peccato originale anche le macchie nere degli ultimi cinque anni. Enzo Trantino, venerato maestro delle faccette nere catanesi, ha invece santificato tra i labari Nello Musumeci: non al grido del dannunziano “eia eia alala” ma del grillesco “onestà-tà-tà”. Resta in piedi la beatificazione del Balilla e del Corazziere. Al Balilla penserà l’editore Cairo per grazia ricevuta; una grazia milionaria, va da sé. Per il Corazziere, padrone della sanità e delle opere pie, l’operazione si complica: dopo il blitz sacrilego e clientelare all’Oasi di Troina, Santa Romana Chiesa ha risposto con un..

Le ferree certezze
di Renzi e Calenda

Carlo Calenda e Matteo Renzi non hanno avuto bisogno di ricorrere ai sondaggi per elevare il Bullo agli onori degli altari. Si sono affidati a due postulatori di grande attendibilità: Mara Carfagna e Maria Stella Gelmini. La ministra per il Sud ha ammesso che il sopracitato Bullo arrivava nel suo ufficio accompagnato da un intermediario di affari ma poiché aveva la testolina impomatata e teneva la pochette nel taschino non poteva che essere una persona per bene. La ministra per gli Affari Regionali invece ha tratteggiato gli orizzonti di gloria che si aprono davanti al Terzo Polo in vista delle elezioni regionali del 25 settembre: il Bullo le ha promesso che porterà con sé oltre metà di Forza Italia; che arriveranno le colonne agrigentine di Marco Zambuto e Riccardo Gallo..

Davide Faraone
e la ragion di stato

Questa è la cronaca di un dolore. Conosco Davide Faraone da molti anni. Conosco la sua onestà, la sua affidabilità, la sua intelligenza, le sue battaglie per i diritti civili, la sua straripante voglia di aiutare gli umili e i disabili. Tutto potevo immaginare tranne che il “compagno Davide”, dirigente tra i più illuminati della debole sinistra siciliana, finisse per caricarsi sulle spalle un bullo della destra più arrogante e spregiudicata, un avventuriero, un funambolo che passa la vita a saltellare da un partito all’altro, che ha servito i peggiori padroni, che da vent’anni rastrella affari e consulenze. “Precipitiamo verso il fondo senza mai toccare il fondo”, scriveva Leonardo Sciascia. Carlo Calenda e Matteo Renzi il fondo l’hanno toccato. Per un minuto ho sperato che Faraone non li seguisse. Ma..

La Russa vince
e il Cav. perde

Ai tempi d’oro del varietà, Rosario Fiorello lo chiamava Vercingetorige. Il fantasista siciliano voleva evocare la rozzezza che spesso finisce per segnare il carattere del colonnello al quale la Meloni ha affidato la trattativa con gli alleati del centrodestra in vista delle elezioni regionali. Ma Ignazio La Russa è andato molto al di là del disegno tracciato da Fiorello. Oggi l’immagine del barbaro che sfidò Giulio Cesare gli sta addirittura stretta. Perché lui è diventato un tagliatore di teste. Ha tagliato quella di Raffaele Stancanelli, di Stefania Prestigiacomo, di Barbara Cittadini e per metà anche quella di Renato Schifani. L’altra metà la taglieranno i moderati di Forza Italia, sconcertati da questo immondo teatrino. ‘Gnazio ha un solo obiettivo: radere al suolo Micciché e gli uomini di Miccichè. Ci sta riuscendo...

Ora chi spegnerà
la vandea dei balilla?

Ora che il centrodestra ha raggiunto un accordo sul futuro candidato alla presidenza della Regione – un accordo di vertice e perciò surreale – chi spegnerà la cornacchiante vandea dei “Boia chi molla”, dei fanatici di Musumeci che non intendono per nessun motivo votare Renato Schifani? Ci penserà Giorgia Meloni o Ignazio La Russa? L’una e l’altro sanno bene che la rivolta dei balilla, dei bulli e dei caporioni neofascisti rischia di portare Schifani dritto alla sconfitta. Anche perché l’ex presidente del Senato non ha né il carisma né lo slancio per conquistare folle di elettori. E’ stato imposto a Forza Italia da La Russa. Lo stesso La Russa che – senza un motivo decente e confessabile – ha fatto di tutto per stroncare la candidatura di quel Raffaele Stancanelli..

Non è un gigante
però può farcela

No, non è il candidato più forte che ci sia. Non ha il carisma che trascina le folle e nemmeno lo slancio giovanile di Giorgio Mulé. Ma Renato Schifani, 72 anni, è certamente un uomo delle istituzioni: è stato presidente del Senato e ha retto la seconda carica dello Stato con equilibrio e con uno stile rispettoso di tutte le forze politiche. La convergenza di tutto il centrodestra sul suo nome ha messo finalmente fine alla macelleria dei veti incrociati, alla spocchia boiarda di Ignazio La Russa, alla cornacchiante vandea dei “Boia chi molla”: una rivolta contro gli alleati alimentata dalle vedove di Nello Musumeci e dai tre bulli che avevano trasformato Palazzo d’Orleans in un eldorado per le lobby e gli intermediari di affari. Certo, ora c’è l’impegno più..

Gerenza

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